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La fuga dei cervelli: da necessità economica a necessità intellettuale

Capitolo 4. Il Cadore dei cadorini

4.7 La fuga dei cervelli: da necessità economica a necessità intellettuale

I cadorini, dalla metà dell’800, sono sempre stati grandi emigranti. Inizialmente si dirigevano verso altre zone dell’Italia, poi verso l’Europa, fino ad arrivare in Australia e America, ma il senso di appartenenza alla realtà cadorina non veniva annullato. In passato si partiva per necessità economiche, Nives racconta che a Costa di San Nicolò vivevano 400 persone, ora ne vivono 60 circa. Gianni Pais Becher andò a trovare diversi cadorini emigrati per raccogliere informazioni e nozioni sul Cadore in passato e su attività e valori andati persi, affermandomi che «Il Cadore è più amato dagli emigrati, che da chi vi vive. I nostri compaesani conservano foto e ritratti, molti dei quali mi sono stati dati per scrivere i miei libri». Nell’intervista mi raccontò un episodio avvenuto durante uno dei suoi viaggi in Nord America dove si nota un forte attaccamento alle radici: «ho trovato cimiteri interi di cadorini e villaggi costruiti dai cadorini; per esempio a Bradford, in Pennsylvania, ci sono più Vecellio che in tutto il Cadore, a Main Street nelle case si cucinano cibi della nostra tradizione (pestariéi134, polenta…)».

Lo spopolamento del Cadore è un problema, in questi tempi, non indifferente; accanto ad un indice di invecchiamento molto elevato e alla mancanza di ricambio generazionale, molti giovani vanno a studiare nelle città universitarie (Udine e Venezia le più vicine, con a seguito Padova e Trento), a volte con l’intento di scappare da questi posti, altre volte solo perché non si hanno università più vicine; molti altri se ne vanno perché pensano che il Cadore non possa offrire ciò che cercano. Dopo la crisi economica è aumentato il numero di giovani che hanno deciso di continuare gli studi ma pochi sono quelli che rientrano nella comunità cadorina, concluso il percorso di studi, sia per

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mancanza di prospettiva occupazionale, sia in funzione di un diverso stile di vita che fa fatica a riadattarsi alle condizioni sociali e culturali. Il sindaco del comune di Calalzo, Luca De Carlo, riporta la sua considerazione del Cadore come:

[…] un’area che per qualcuno può sembrare una prigione, per qualcuno è una grande opportunità, per qualcun altro è il posto dei suoi sogni. Noi non possiamo pensare di rimanere chiusi nella nostra area, nella nostra provincia perché fuori c’è un mondo più grande. Si esca pure, si vada fuori, si apprenda, si cominci anche a lavorare fuori, dopodiché, chi è veramente legato a questo territorio torna, torna e arricchisce il territorio delle conoscenze che ha lui. Chi invece interpreta questo territorio come una prigione, può tranquillamente andarsene e magari fare spazio a chi non è nato qua ma ama questo territorio e magari può decidere di vivere.

La mia coetanea Martina Casanova Fuga, che vive a Santo Stefano di Cadore, sulla base alla sua esperienza di studi svoltisi a Venezia e all’estero, nell’intervista sostiene che:

Molti sono i giovani che si sentono in un Cadore povero di stimoli, con gravi carenze, e sono disposti ad emigrare; altri che considerano la terra del Cadore come il proprio luogo di vita. Qui incide la possibilità per alcuni di avere potuto comunque vivere per alcuni periodi, magari quelli di studio in altri contesti e quindi riuscire a valorizzare quello che il Cadore può offrire. È giusto fare esperienze al di fuori del luogo natale, perché solo così si ha la possibilità di sperimentare nuove esperienze ed emozioni e, soprattutto, solo grazie a dei confronti si ha la possibilità di capire realmente il valore del luogo in cui si vive o si è cresciuti.

Non c’è molta consapevolezza di tutto quello che abbiamo; gente come me che è uscita da qui ha potuto fare dei confronti. Io sono andato a studiare, poi la solita valigia un po’ all’estero e sono caduto in zona Milano che mi ha ingoiato per 50 anni, ma ho sempre ragionato con me stesso in ladino, sempre attaccato a questo mondo e poi ad un certo punto ho detto “bene, quel che è fatto è fatto. Ora devo andare lassù e salvare il salvabile!”. Più uno è in grado di far confronti più capisce qual è il senso delle proprie origini e ne fa buon uso, anche se non dovesse più tornare ma ha avuto quel imprinting che riconosce (Arrigo De Martin Mattiò).

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Gli anni dell’occhiale in qualche modo hanno trattenuto nel territorio le persone, condizionando una generazione, «Una volta si finiva la scuola e si andava a lavorare nell’occhialeria, qua lavoravi e restavi, adesso il lavoro è calato e si va fuori a studiare. Però vedo che tutti tornano, magari per poco tempo» ma tornano (Giampaolo Lozza imprenditore dell’occhiale).

Come già sottolineato, l’attenzione verso il luogo natio e l’interesse verso la montagna, può avvenire solo nel momento in cui avviene un confronto. Un’altra mia coetanea, Alice Da Vià, ha studiato a Treviso e nell’intervista mi racconta la sua esperienza fuori dal Cadore e, in particolare, ciò che ne ha tratto e dedotto: «Le esperienze che ho fatto fuori mi hanno fatto capire che bello che è stare qui, perché noi riusciamo a trovare il bello anche nelle piccole cose (che magari non avviene in città), riusciamo a sfruttare quello che ci viene dato». Dopo aver raccolto le esperienze di giovani che hanno potuto fare dei confronti e apprezzare il Cadore, ho posto la domanda “come vedi il Cadore?” anche a ragazze più giovani, di 18/20 anni. La giovane Denise Monti Nia vive ad Auronzo di Cadore, mi dice che vorrebbe studiare a Trento, mi dà una visione dei giovani:

Vediamo il Cadore più come una cosa che ci sta stretta e che ci costringe a stare qui invece che magari dire “vediamo cosa ci offre completamente”. Invece che prendere e andarsene dicendo “il Cadore non mi dà nulla”, per andare a studiare si è costretti ad andarsene però comunque cercare di creare delle attività che ci facciano rimanere qui.

Martina Fontana vive a Santo Stefano di Cadore e lavora come parrucchiera ad Auronzo, non si è spostata per studi ma anche lei vede il Cadore fermo e ritiene che la colpa sia delle Amministrazioni perché quando si vuole proporre qualcosa: «[…] tutto quello che si prova a fare viene in qualche modo bloccato, a partire dai giovani che vogliono fare qualcosa in più, questione di mentalità».

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L’intervistata Stella Cesco Bolla (di San Pietro di Cadore) rappresenta una testimonianza opposta; a questa ragazza il Cadore piace ma non vorrebbe vivere qui – dopo un’esperienza in Toscana si è resa conto che il Cadore le è stretto – e continua il discorso dicendomi: «Alla fine qui abbiamo tutto ma non abbiamo niente; abbiamo tanto ma non sappiamo fare niente perché non ci siamo mai voluti impegnare per cercare di fare qualcosa».

L’amica Vania Gerardini invece vive e lavora a Lorenzago – il fratello vive da diversi anni in Australia mentre lei è sempre rimasta qui – e durante l’intervista mi esprime il suo parere sull’argomento, in particolare su come rimediare a questo pieno/vuoto, tutto/niente:

Siamo passati alla politica del “prendo e vado perché qui non c’è niente”, in verità qua abbiamo tutto, stiamo benissimo e siamo ancora in un’isola felice e non ce ne rendiamo conto ma piuttosto che impegnarsi e combattere per questa cosa, è più facile fare le valige e dire che il Cadore non ha niente. È importante fare un’esperienza esterna anche per capire dove siamo, per capire quello che abbiamo però appunto per questo motivo dobbiamo farlo e poi tornare; a me piace un sacco vedere la realtà esterna, me la vivo e poi però torno sempre, ancora più carica di prima e con voglia di fare.

Il discorso – a mio parere – è un po’ discordante perché chi se ne va e non torna “sbaglia” ma allo stesso modo anche chi resta qui senza confrontarsi con l’esterno “sbaglia”; bisognerebbe andarsene per poi tornare e donare al Cadore ciò che si è appreso, ma poi ci sono le Amministrazioni – e la gente che non ha avuto la possibilità di confrontarsi con altre realtà - che invece che accogliere nuove idee come ricchezze, sembrano scartarle quasi a priori. Io ho notato che di giovani volenterosi di migliorare e valorizzare il Cadore ce ne sono molti, i quali però si rendono conto di questo freno e quando vedono che nessuno concede gli spazi per concretizzare idee o sogni, se ne vanno. Le attività che vengono proposte sono molto spesso riservate ai turisti e così gli abitanti si ritrovano carichi di attività durante il periodo di lavoro più intenso, mentre quando l’afflusso turistico

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termina o scarseggia ci si ritrova con il nulla. L’economia sembra quindi sovrastare l’interesse per il cittadino.