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Il rifabbrico: da necessità a usurpazione

Capitolo 4. Il Cadore dei cadorini

4.5 Il rifabbrico: da necessità a usurpazione

Il rifabbrico in Cadore nasce come necessità. Dal momento che gran parte degli edifici era in legno, il rischio di incendi era all’ordine del giorno e, come testimoniano anche molti documenti storici, interi villaggi sono stati ricostruiti grazie a questo nuovo metodo edilizio. L’etnografa Iolanda Da Deppo lavora presso la sede del GAL (Gruppo di Azione Locale dell’Alto Bellunese); è impegnata nello studio, nella ricerca e nel ripristino di manufatti cadorini. A proposito del rifabbrico mi spiega:

A partire dal 1845 si inizia a sperimentare per la prima volta il rifabbrico, e il rifabbrico fa parte del Cadore e fa parte del Comelico dove, a Padola nel 1845, si inizia a sperimentare per la prima volta sia dal punto di vista architettonico del singolo edificio, sia urbanistico quindi della sistemazione e riorganizzazione degli spazi pubblici.

Questo fenomeno, nato per necessità, è oggi considerato una peculiarità cadorina; tant’è vero che ad esso è dedicata un’ala nel Museo Algudnei128 (che letteralmente significa “Qualcosa di noi”). Il

curatore del Museo, Arrigo De Martin Mattiò, ha vissuto per diversi anni a Milano ma nel cuore aveva sempre la sua terra, così quando è

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tornato ha dato vita a questo Museo, un luogo che testimoniasse le tradizioni, la lingua e le peculiarità della Val Comelico. Nell’intervista mi espone i cambiamenti avvenuti grazie al rifabbrico:

Le famiglie, che vivevano in spazi stretti, in co-abitazioni, si sono trovati in delle case, passando da 20/30 mq a 300/400 mq; una casa a quattro piani, con due portoni per famiglia e ogni famiglia aveva la sua privacy. Una grande visione del futuro perché prevedevano che le famiglie generassero una discendenza numerosa e hanno provveduto a trovare degli spazi maggiori. Tutte costruzioni molto austere, semplici ma dignitose. È cambiato tutto, con dei risvolti anche negativi perché le case in pietra erano molto più fredde, comportando l’aumento della tubercolosi; poi si sono regolati foderando di legno il locale ben riscaldato che è la stua129 e il tinello.

All’inizio del ‘900 il rifabbrico si rivelò una grandissima innovazione, comportando però la trasformazione del territorio, accentuata poi negli anni ’50, gli anni della grande speculazione edilizia «[…] i paesi si riempiono di seconde case, a scopo turistico130, ma allo stesso tempo

sono anche gli anni della tradizione; diciamo che forse noi non abbiamo una grande cultura dei paesi» (Iolanda Da Deppo). Se oggi abbiamo dei paesi con abitazioni che non richiamano per nulla l’habitat cadorino è perché «Le case sono state trasformate in cubi di pietra, ed il legno quasi scompare per evitare gli incendi, mentre in Alto Adige così come in Val d’Aosta sono state mantenute le tradizionali architetture in legno molto apprezzate» (Gianni Pais Becher). I cambiamenti, anche in ordine agli aspetti architettonici, sono stati poi condizionati anche dall’espansione economica, con la creazione di fabbriche e capannoni che hanno portato a modificare anche le abitazioni

«La gente non è riuscita a mantenere le strutture anche per colpa delle leggi che hanno obbligato a modificare l’architettura. […] Hanno tolto

129 Stùa: «[…] stanza rivestita in legno (v. fiòdro), usata per il riposo pomeridiano e/o serale, dotata di forno a

legna (v. sorafórno); (attualmente: salotto) […]» (http://www.dialettocampolongo.eu/wordpress/s)

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cose particolari come il larìn o fogèr131, sacrificandole alla modernità;

chi ha tenuto queste cose è rimasto rispettabile» (Marco Moretta). In base alle interviste fatte ne ho dedotto che molti cadorini oggi si rendono conto che il rifabbrico è stato una grande invenzione all’epoca; gli anni del boom economico invece hanno trasformato i nostri paesi comportando l’usurpazione del territorio e – di conseguenza – la perdita di identità.

È vero che quando si fa un intervento si deve considerare anche ciò che si ha intorno, ma si va anche avanti, non si può continuare a chiedere agli architetti di costruire abitazioni come i tabià132, ci deve essere anche una capacità di rileggere

la tradizione nel complesso. Io lavorerei molto sul creare una coscienza anche estetica, del bello, che i cadorini forse non hanno in maniera così spiccata (Iolanda Da Deppo).

A livello estetico sicuramente vedere delle abitazioni tipiche di montagna oggi avrebbe tutt’altra valenza, e proprio il fatto che altri luoghi di montagna – in particolare limitrofi come il Trentino Alto- Adige – hanno mantenuto le strutture architettoniche comporta sia il confronto che la volontà di recuperare.

A tal proposito, un bellissimo intervento è stato fatto dallo studioso Philippe Daverio durante il convegno - spettacolo La bellezza

usurpata133 (sopracitato) fa notare di come oggi si guardi il passato con

curiosità e incertezza, e nel parlare di bellezza e armonia dice «Quello che per noi oggi è bello un tempo non lo era […]. I manufatti che oggi ci circondano non sono in armonia con il paesaggio. Nelle case di

131 Larìn (conosciuto anche come fogèr): «[…] focolare aperto, rimpiazzato, nella seconda metà dell’800, dalla più

pratica cucina economica» (AAVV 2008: 134-135).

132 Il tabià è quella struttura comunemente conosciuta come baita o vecchio fienile.

133 La presentazione citava: «Potenzialità, sviluppo e futuro di una provincia dimenticata. Bellezza declinata sul

territorio, quello dolomitico, una terra ricca di meraviglie che pur essendo universalmente riconosciute non vengono adeguatamente promosse né tutelate. Di potenzialità del Bellunese, ma anche di sviluppo, si parlerà giovedì 21 maggio al teatro comunale di Belluno, nel convegno-spettacolo organizzato dall'associazione V.I.V.A.I.O. Dolomiti, che in questa occasione si presenterà al pubblico […]».

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Cortina si possono trovare sale da bagno decorate con paesaggi di Capri. E chi vi vive, come bloccato da una semi-paralisi li vede belli». Si riferisce al Cadore e sostiene che ci sia e che ci sia stato un processo di usurpazione del territorio in quanto, se si volesse parlare di armonia del paesaggio bisognerebbe «[…] difendere i luoghi e la loro estetica e inventare uno strumento per la competitività di domani. Il passato va recuperato per reinventare il futuro, per dare un destino a un territorio che ha la fortuna di avere una specificità estetica, da difendere». Daverio continua dicendo che noi abitanti abbiamo l’obbligo morale di trasmettere e l’obbligo materiale di rispristino, o meglio, di restauro vero e proprio del nostro territorio di montagna, perché il territorio è lo sfondo nella vita dell’uomo che ne determina il modo di vivere. I cadorini, nell’azione di recupero dei valori dell’identità, oggi cercano di riprendere in considerazione anche le caratteristiche architettoniche e dei materiali che qualificano le abitazioni tipiche di montagna per restituire una valenza estetica in armonia con il paesaggio del Cadore.