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L’Unione fa la forza

Capitolo 5. Sentimento di “cadorinità”

5.5 L’Unione fa la forza

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Siamo una comunità coesa e la storia ce lo dimostra. Quando ho iniziato questo lavoro di ricerca vedevo i cadorini in una fase di stallo, come se non sapessero più cosa fare, su chi contare. Cinquant’anni di boom economico ci ha fatto divenire individualisti ma ora ci rendiamo conto che solo uniti possiamo fare la differenza. Come sostiene la giovane Alice Da Vià: «Io credo che a livello umano ci sentiamo uniti, ma a livello politico ed economico siamo individualisti. Ci sono individualismi, ci sono le rivalità tra le singole persone, però a livello umano noi ci sentiamo ancora uniti e secondo me quello che prevale è l’aspetto umano».

Il Cadore ha poi sempre gravitato su se stesso e, come testimonia Daniela Larese Filon: «Io vedo il loro rapporto difficile nei confronti del resto della provincia, perché da una parte vogliono il riconoscimento del loro territorio, del fatto che loro sono più di montagna degli altri, c’è questa esigenza e questa quasi rivendicazione nel confronto del resto della provincia».

Giovanni Giacomelli mi dice: «Noi siamo sempre stati sfruttati, perché siamo pochi, non contiamo niente e se fossimo tutti uniti conteremo un po’ di più; politicamente ci hanno sempre dato dei contentini da fame, e quei contentini da fame ci hanno sempre tenuti divisi; sarebbe ora di superarli».

Si parla sempre, ci si riempie la bocca di fare squadra, collettività, e poi in realtà, quando uno si è chiuso la porta di casa alle spalle, pensa per sé, il suo mondo è quello. Il volontariato è una cosa che resiste, della quale potremmo essere fieri, perché mi pare che il Cadore e il bellunese in genere, su questo possa contare. Quindi almeno quello che non sia bersagliato da norme illogiche, ingiuste, che sia aiutato, che siano date possibilità finanziare perché senza volontariato saremmo davvero a terra (Ernesto Majoni).

La giovane infermiera Francesca De Riz dice: «I tagli ai servizi sanitari è un problema a livello nazionale ma nelle nostre piccole realtà si sente di più perché si ha molto volontariato ma non per le piccole cose».

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Il giovane Valentino D’Ambros Rosso mi esprime il suo parere:

A mio avviso bisognerebbe fare unione all’interno del territorio tra le persone che sono veramente convinte di volerci rimanere, di voler credere in un futuro in questo territorio e tirar fuori le idee buone; ci vorrebbe veramente qualcuno che capisse quali sono le potenzialità e che finanziasse delle iniziative. Ci vuole associazionismo. L’associazionismo aiuta a non far morire un paese o una comunità perché la rende viva, crea partecipazione; però non si fa economia con le sole idee. Anche nell’intervista a Matteo Gracis esce questo punto di vista:

In generale però mi capita spesso di trovare delle situazioni in cui posso constatare il senso di appartenenza dei cadorini. Spesso succede in situazioni critiche o negative, mi viene in mente il black-out di due anni fa. In quelle circostanze si sente molto il senso di comunità, ci si aiuta l’un l’altro, c’è molta solidarietà, così come quando ci sono delle tragedie, morti in montagna o cose simili, si sente molto il senso di comunità, di partecipazione, nel sentimento reciproco, ed è sicuramente positivo. Dovremo cercare di farlo non solo nelle situazioni negative ma anche in quelle positive. L’unica speranza che ha questa terra è fare squadra, è mettersi insieme ed essere uniti negli intenti così come il Comune unico, così come il Consorzio turistico unico, ma poi non lo fanno (sono slogan elettorali) perché c’è un campanilismo che non si riesce ancora a lasciarsi alle spalle.

Tiric Emir percepisce: «L’Unità, a grandi linee, perché ci sono tanti piccoli comuni che ogni tanto hanno dei diverbi ma sotto sotto c’è una bella unità».

«L’urgenza è quella di trasmettere un’unità tra di noi. Oggi si parla

molto di un comune unico, attenzione a non reimpostare un’identità unica perché altrimenti faremo un ente vuoto di valori e di basi culturali secondo me» (Matteo Da Deppo).

Magari le persone un pochino più anziane non l’hanno manifestato fisicamente ma sicuramente l’han fatto con il pensiero ed esprimendo un proprio parere, perché veniamo da una realtà in cui comunque hanno subito ad esempio la guerra, la fame, e anche allora, quando è stato il momento di unirsi per salvare le vite dei propri compaesani l’hanno fatto, quindi

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credo che nel momento del bisogno il Cadore sia un popolo unito (Fides De Rigo C).

Arrigo De Martin Mattiò pensa che questo senso d’unione ci voglia di più da parte dei giovani:

[…] perché se decidono di restare qui e non sono uniti il sistema li digerisce in poco tempo, diventeranno come gli altri, invece: 1) hanno bisogno di discutere tra di loro per vivere un ambiente frizzante, 2) poi di entrare in politica e inventarsi. Oggi le cose si inventano! Noi qui tentiamo di arrangiarci perché l’abitudine è quella. C’è leggerezza e immediatezza nei rapporti e questo conta, si potrebbe essere ancora più uniti ma insomma, vedo che la cosa è già migliorata perché c’è più senso di familiarità. La giovane Aurora De Martin afferma: «C’è unione anche tra noi giovani, perché ci sentiamo appartenenti a questo posto. Una volta lavorando anche tra le famiglie e tutti insieme forse c’era più unione, però anche tra i giovani che crescono qua ci si sente uniti». Mi fa l’esempio di una situazione in cui sono stati ospitati a Santo Stefano di Cadore dei ragazzi dell’Africa: «c’è stata molta unione in quel momento perché tutti gli abitanti del Comelico li hanno accolti. Secondo me è stato anche un momento di crescita. I comeliani si sono dimostrati disponibili». Come dice Denise Monti Nia: «significa lavorare tutti insieme per un unico obiettivo».

Anna Simonetti mi esprime il fattore che le consente di stare qui: «Mi piace tanto perché siamo uniti, siamo tanto uniti che è una cosa che secondo me si fa fatica a trovare in altri posti. Sono comunità piccole, al giorno d’oggi poi si stanno perdendo i valori e i paesi stanno morendo, molti ragazzi vanno fuori e noi che restiamo qui siamo tanto uniti».

È una comunità, siamo tutti legati gli uni con gli altri, ci conosciamo tutti perché è piccolo e siamo tutti ben uniti. C’è poi il lato bello e il lato brutto perché c’è sempre la credenza “de savé duto de dute, no sei come dì149” e quindi tutti fanno

parte di tutto; realtà piccola, tutti vicini e al posto di usare questo come un’arma collettiva e positiva (l’unione fa la forza)

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tante volte viene usata proprio al contrario di come potrebbe essere utilizzata. Dovremmo renderci conto che siamo tutti una big family e quindi dovremmo veramente aiutarci l’uno con l’altro, come facevano una volta! Se c’era bisogno di qualsiasi cosa ci si aiutava, c’era una collettività, una comunità vera! Noi siamo ancora una comunità ma dobbiamo recuperare tutti i valori che avevamo (Vania Gerardini).