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Tutele giuridiche internazionali

Capitolo 2. Minoranza linguistica

2.1 Tutele giuridiche internazionali

A livello internazionale sono stati creati strumenti per la protezione di minoranze etnico-nazionali, strumenti specifici che mettono in equilibrio i diritti umani individuali e i diritti di minoranza in una dimensione collettiva. Nel 1966 l’ONU emana la Convenzione

Internazionale dei Diritti Civili e Politici, meglio noto come Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), entrato in vigore nel

1976, dove nella terza parte all’art.27 si legge:

In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo9.

In tutti gli strumenti internazionali, antecedenti alla caduta del muro di Berlino, si menziona la lingua ma solo in quanto elemento, soggetto ad obbligo di non discriminazione insieme a razza, religione e appartenenza a minoranza nazionale; non esiste alcun riferimento relativo all’identità linguistica10.

8-

http://www.minoranzelinguistiche.provincia.tn.it/binary/pat_minoranze/Normativa_euroint/Convenzione%20CEI.111 5622431.pdf. Il testo originale è in inglese.

9-http://www.studiperlapace.it/documentazione/patti.html#p2

10 La mancanza di riferimento all’identità linguistica si riscontra anche in altri strumenti internazionali come: nell’art.14

della Cedu, nell’art.2 par.1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nell’art.1 par.3 della Carta di S. Francisco, negli artt.1 e 5 della Convenzione UNESCO del 1960.

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Intorno agli anni ’90 l’UNESCO creò il Libro rosso delle lingue in pericolo (Red Book on Languages in Danger of Disappearing), strumento che raccoglie in una lista, le lingue del mondo a rischio d’estinzione; il testo tratta l’abbandono dell’idioma dalle comunità stesse, in quanto la madrelingua non viene più trasmessa tra generazioni. In questo senso si propongono dei programmi educativi all’insegnamento (Cermel 2009). Lo strumento è stato poi modificato (una prima edizione nel 1996, una seconda nel 2001 e una terza nel 2010) e denominato

Atlante delle lingue in pericolo11 (Atlas of Endangered Languages)

«L'Atlante presenta anche una classificazione del pericolo,

identificando le lingue considerate entro una classificazione che va da “vulnerabile” a “estinta”, passando per altri tre livelli intermedi»12.

Nel 1992 l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato la

Dichiarazione riguardo ai diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche13, uno strumento

soft law forte e conciso. Le qualificazioni di minoranze «[…] possono

sovrapporsi ovvero essere impiegate separatamente nei testi costituzionali di diversi ordinamenti» (Piergigli 2001: 11 nota 3), si fa quindi riferimento alle Costituzioni nazionali, in base al richiamo che fanno della minoranza14. In riferimento all’identità della minoranza

linguistica l’art.4 (in tutte e tre i paragrafi) prevede che gli Stati adottino misure, ove possibile, per far sì che le minoranze abbiano:

11 Le lingue al momento inserite nell’Atlante UNESCO sono 2466 di cui 31 sono in Italia: 5 sono seriamente in pericolo

(Töitschu, Croato del molise, Griko del Salento, Griko della Calabria e Gardiol); 22 in pericolo (Occitano, Franco- provenzale, Piemontese, Ligure, Lombardo, Mocheno, Cimbro, Ladino, Sloveno, Friulano, Emiliano-romagnolo, Faetano, Arbëreshë-Albanese, Gallo-siciliano, Campidanese, Logudorese, Catalano-algherese, Sassarese, Gallurese e Corso), 4 sono vulnerabili (Walzer-Germanico, Veneto, Napoletano-calabrese, Sicilano).

Si veda il sito: http://www.unesco.it/cni/index.php/newsletter/121-atlante-interattivo-delle-lingue-unesco

12-http://www.unesco.it/cni/index.php/newsletter/121-atlante-interattivo-delle-lingue-unesco 13 Per ulteriori informazioni si veda: http://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/92_01_163.pdf

14 «Ad esempio, si riferiscono alle minoranze linguistiche: art.6 Cost. Italia 1948; art.8 Cost. Austria 1970; art.30 Cost.

India 1950, che si riferisce alle minoranze religiose o linguistiche; alle minoranze o comunità etniche o gruppi etnici fanno richiamo, invece, l’art.37 Cost. Estonia 1992, l’art.45 Cost. Lituania 1992, l’art.77.2 Cost. Paraguay 1992, l’art.66 Cost. Guatemala 1985; mentre l’art.64 Cost. Slovenia 1991, designa quelle italiana ed ungherese “comunità etniche autoctone”» (Piergigli 2001: 11 nota 3).

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 le possibilità di esprimere le proprie peculiarità e sviluppare la loro cultura e la loro lingua;

 le condizioni per apprendere la loro madrelingua o di effettuare percorsi formativi nella loro madrelingua;

 le opportunità, nel campo dell'educazione, di conoscere la storia, le tradizioni, la lingua e la cultura all’interno del proprio territorio15.

Nel campo della protezione linguistica, l’UNESCO diede vita nel 1997 ad un programma dal titolo Proclamazione dei capolavori del

patrimonio orale e intangibile dell’umanità (29ᵃ Conferenza Generale),

in cui vennero proclamate due situazioni linguistiche (proposte dal Belize nel 2001 e da Ecuador e Perù nel 2003), ma ben presto «[…] il Comitato si riunì per stabilire che non ci sarebbero più state proclamazioni di capolavori comprendenti la lingua come tale: ciò perché una simile proclamazione avrebbe cozzato contro l’eguaglianza di tutte le lingue […]» (Zagato 2009: 249); questa iniziativa non trovò seguito e il programma non venne più confermato.

Altro strumento UNESCO è la Dichiarazione Universale sulla Diversità

Culturale16 (adottata nel 2001 alla 31ᵃ Conferenza Generale), dove, in

materia linguistica - all’art.5 – si afferma:

[…] Ognuno deve quindi avere la possibilità di esprimersi, di creare e diffondere le proprie opere nella lingua di sua scelta e, in particolare nella lingua madre; ognuno ha diritto a una educazione e formazione di qualità che rispettino pienamente la sua identità culturale, ognuno deve poter partecipare alla vita culturale di sua scelta, ed esercitarne le forme, nei limiti imposti dal rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali17.

15 Cfr: (http://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/92_01_163.pdf) 16 Per ulteriori informazioni si veda il sito:

http://www.unesco.org/new/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CLT/diversity/pdf/declaration_cultural_diversity_it.pdf

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Spesso però, le Convenzioni hanno dato lo stesso peso alle diverse minoranze – o alle minoranze in generale senza distinguerne la tipologia – attribuendo (nel nostro caso per le minoranze linguistiche), tutele non appropriate o non propriamente specifiche. Due strumenti più recenti (per così dire) dell’UNESCO sono la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale18 del 2003, e la

Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali19 del 2005, nati con l’intento di garantire la tutela

del patrimonio culturale e rivelatisi ben presto deficitari perché incompleti (Zagato 2011). Considerando i due strumenti sul piano in analisi, la Convenzione 200520, nata per proteggere e promuovere le

diverse espressioni culturali, non fa alcun riferimento alla diversità linguistica se non in quanto mezzo di diffusione, produzione e distribuzione in relazione alle attività, ai beni e ai servizi. La denominazione data a detta Convenzione non rappresenta ciò che ci si può aspettare in quanto, la diversità culturale è considerata in due visioni: la prima la tratta come attività, beni e servizi culturali aventi «[…] una duplice natura, economica e culturale, e non possono “essere trattati come dotati esclusivamente di valore commerciale”» (Zagato 2011: 93); la seconda affronta la questione della «[…] salvaguardia delle diversità culturali nel contesto della globalizzazione e della rapida evoluzione delle tecnologie della informazione e comunicazione […]» (ibidem) e degli effetti che potrebbe produrre nel rapporto tra Paesi ricchi e Paesi poveri.

Per questo motivo «[…] la vera Convenzione sulla protezione della (identità e della) diversità culturale non è quella del 2005, quanto piuttosto la Convenzione del 2003 sulla protezione del patrimonio culturale intangibile» (Zagato 2009: 244). Durante la preparazione della Convenzione del 2003, un gruppo di esperti elaborò un

18-www.unesco.beniculturali.it/getFile.php?id=48

19-http://www.unesco.it/_filesDIVERSITAculturale/convenzione_diversita.pdf

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documento intitolato Language Vitality and Endangerment; ove si evidenziava il fatto che una lingua, una volta estinta, non possa più rivivere, conseguendo un impoverimento etnico e culturale e ne constata i pericoli e le possibili cause «[…] che possono essere esterne (sottomissione militare o per altri motivi) o interne (atteggiarsi negativo della comunità nei confronti della propria lingua) o, più facilmente, derivante dall’inserzione delle due […]» (Zagato 2009: 245). I nove parametri utilizzati, per misurare la vitalità e la conservazione di una lingua secondo il documento, sono:

1. la trasmissione intergenerazionale della lingua, 2. il numero assoluto di parlanti,

3. la proporzione di parlanti la lingua in relazione alla popolazione totale della comunità,

4. le tendenze nei domini linguistici esistenti, 5. la risposta a nuovi domini e media,

6. i materiali per l’alfabetizzazione e l’educazione linguistica, 7. gli atteggiamenti e politiche linguistiche del governo e delle

istituzioni, inclusi status ufficiale e uso,

8. gli atteggiamenti dei membri della comunità verso la propria lingua,

9. l’ammontare e qualità della documentazione sulla lingua21.

La Convenzione 2003, all’art.2 par.1, definisce ciò che tutela:

per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro

patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale

immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità,

21 Tradotto dal testo in inglese:

http://www.unesco.org/new/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CI/CI/pdf/unesco_language_vitaly_and_endangerment_me thodological_guideline.pdf

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promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana […]22.

«Essa ha per oggetto privilegiato d’intervento non la diversità culturale né la diversità delle espressioni in quanto tali, ma la diversità delle espressioni culturali in quanto beni e servizi […]» (Zagato 2011: 94). La Convenzione infatti, non tratta la lingua in maniera diretta, bensì parla di «[…] tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale»23

(art.2 par.2 lett. a)). Detto strumento vede la lingua (e l’espressione gestuale), come mezzo e sistema di cooperazione e comunicazione, presente in qualsiasi espressione culturale; non come elemento di tutela in quanto tale. Il professor L. Zagato sostiene quindi:

[…] si potrebbe osservare che, in un’ottica attenta alla relazione bioculturale/biolinguistica, l’attenzione diffusa per il patrimonio intangibile culturale di uno specifico gruppo […] contribuisce di per sé ad accrescere la vitalità e la forza anche del relativo linguaggio, e quindi aumenta la possibilità della sua feconda trasmissione ai membri giovani della comunità (Zagato 2009: 253-254).

La tutela delle minoranze linguistiche, a livello internazionale, ha potuto quindi riferirsi alla sola garanzia della libertà di espressione linguistica e alla continuità di esercizio, configurandosi come una parte del principio di libertà di espressione.