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Il territorio di appartenenza

Capitolo 5. Sentimento di “cadorinità”

5.1 Il territorio di appartenenza

Alla domanda posta agli intervistati “Che cos’è per te il Cadore?”, in molti hanno risposto che è un territorio o una Regione di montagna ben definita ma la maggior parte di questi ha risposto con un semplice termine, “Casa”. Il territorio del Cadore è una piccola patria, le persone nate e cresciute qui, instaurano con questa terra un forte legame, difficile da sopprimere, impossibile da eliminare.

Alice Da Vià si esprime così: «Secondo me il Cadore oltre ad essere un territorio è una collettività di persone che condividono delle passioni, perché la passione della montagna non è solo uno stile di vita ma è qualcosa che ti cresce dentro e se poi si fanno esperienze fuori si capisce e si riesce anche a valorizzare».

Il Cadore ha un confine geografico ben preciso e in generale chi è nato in Cadore, magari da famiglie cadorine, genitori cadorini o uno dei due cadorino, e vive all’interno del Cadore si identifica sicuramente con il Cadore perché sa di essere all’interno di un territorio che ha dei confini, ideali, però ce li ha; non c’è un’ambiguità, 22 comuni sono e di là non si scappa. Non c’è stato e forse non c’è neanche adesso la necessità di dire “cadorini di un posto, cadorini di un altro posto”,

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sicuramente c’è un’idea che ci siano dei cadorini (Iolanda Da Deppo).

«Il Cadore è una sorta di patria molto più grande, come valore, di una semplice eccezione geografica, perché ha un’identità, una valenza culturale, storica e anche economica che sono provati dalla storia fin dall’antichità e che purtroppo oggi si è un po’ persa nel corso del ventesimo secolo» (Matteo Da Deppo). La professoressa Ilde Pais Marden Nanon mi spiega che questo sentimento si cerca di tramandarlo o estrapolarlo dai giovanissimi cadorini, mi parla della scuola di Auronzo di Cadore:

Questa scuola ha proprio un’area riservata ai beni culturali e ambientali, all’interno di questa area si tratta la conoscenza della lingua e storia locale, la conoscenza del territorio. Adesso i ragazzi sono un po’ “omologati”, tutti usano gli stessi strumenti e quindi non hanno la specificità della montagna e la scuola parte da questo. Anche se questi ragazzi vivono in montagna non è detto che conoscano il loro territorio, quindi si cerca di fargli conoscere il territorio, l’evoluzione della storia locale, di come anche il paesaggio è cambiato, fino ad arrivare all’istituzione delle Regole come struttura e gestione del territorio. Altro filone è quello del rapporto tra il paese e il Cadore, lavoriamo molto sulla cadorinità. Abbiamo vinto un primo premio su un lavoro proprio sul Cadore che abbiamo intitolato “Cadore piccola patria”.

Le persone più anziane riconoscono ancor più questo territorio come una patria. Giorgio De Candido Romole (S. Stefano di Cadore) per esempio mi dice: «per me è una piccola patria. Difatti se io vado fuori una giornata, alla sera devo tornare a casa mia. Vado ben fuori qualche volta ma io vedo le montagne e alla sera devo tornare qua»; così come Pietro Lorenzini (Selva di Cadore): «Non dico che è una piccola patria perché ormai è passato, comunque è un’identità a cui mi sento orgoglioso di appartenere. Io mi sento cadorino, è un modo di sentirsi».

Il Cadore è una terra d’appartenenza anche per chi se n’è andato e per qualche motivo non è tornato e anche per chi ne ha solo le origini,

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magari tramandate. Antonio Genova mi racconta alcune vicende di giovani che si sono recati alla Magnifica Comunità di Cadore:

[…] soprattutto d’estate, giungono i giovani dall’estero che non sanno dov’è il Veneto, l’hanno attraversato tutto, passano dritti Belluno perché non sanno cos’è, e arrivano in Cadore; ed è incredibile! Mi sono trovato qua più di una volta con dei giovani che parlano solo inglese e mi dicono “qui è casa nostra”, entrano tranquilli, si guardano attorno e dopo 10 minuti dicono “sì sì, è quello che mi ha raccontato mio nonno”. Per conto mio questo è il senso delle radici.

Irene Prevedello, originaria della pianura veneta, mi esprime ciò che ha percepito negli anni passati in Cadore: «Il rapporto con la provincia è quasi nullo perché è troppo lontana e se si chiede ad un auronzano per esempio dov’è il suo paese non dice in provincia di Belluno, dice in Cadore».

Viviamo isolati perché viviamo in montagna; il Cadore non gravita molto su Belluno e quindi necessita di coltivare un mondo e una cultura locali. Di cadorinità io parlerei come senso di appartenenza ad un territorio che ha delle cose comuni; questo è un dato fondamentale e lo si vede nei momenti particolari, cioè quando nascono dei grandi problemi sociali e collettivi (Emanuele D’Andrea).

L’appartenere a questo territorio di montagna, aspro e isolato ma allo stesso tempo bellissimo, comporta anche una sorta di rivendicazione. Quando qualcuno chiede a un cadorino dove abita, questo dà dei punti di riferimento che per lo più sono Cortina d’Ampezzo oppure, più in generale, le Dolomiti; la giovane Aurora De Martin mi dice: «Se qualcuno me lo chiede io dico sempre che sono cadorina, secondo me è una cosa bella da dire perché molta gente non sa nemmeno dove si trova il Cadore e quindi mi piace anche parlare di questi posti». Daniele De Meio spiega:

Tutti i paesaggi e tutti i posti con grandi caratterizzazioni geografiche probabilmente creano una certa appartenenza in chi ci abita, un forte legame con il territorio. Sono cadorino, per un fatto di appartenenza ad un legame specifico per chi ci vive, dato da questo forte legame con la natura, con le montagne; e

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anche da un certo isolamento per un bel po’ di secoli, nel senso che essendo vallate non facilmente raggiungibili. C’è da dire che il Cadore è stato attraversato un po’ da chiunque e quindi non siamo neanche riusciti a cementare una vera e propria identità a livello linguistico permanente, è più data dal territorio d’appartenenza. Il legame con Venezia è stato molto forte, anche Tiziano, probabilmente è sempre legato al discorso di appartenenza al territorio. La vita era anche più dura e ti portava a dei sacrifici e ad un modo di vivere che gli altri da fuori neanche capivano; un po’ come quelli che adesso dicono “la montagna è di tutti”, è assolutamente vero da un certo punto di vista ma io sono convinto che la montagna appartiene molto di più a chi ci vive, per il semplice motivo che viverci tutto l’anno comporta dei sacrifici completamente diversi.

«Vivere qui non è facile e mi rendo conto che siamo persone capaci, tenaci e non molliamo la presa. Per me il Cadore è la mia terra. È tutto per me, anche quando vado al mare una settimana e mi alzo alla mattina senza vedere le mie montagne sento che mi manca questo rapporto con la mia terra» (Giovanni Lozza).

Un’ulteriore conferma di questo sentimento di appartenenza l’ho avuta nel momento in cui: l’ultimo comune meridionale del Cadore, Ospitale, quello più isolato di Zoppè e quello più conservatore di Selva, dovevano scegliere se unirsi a comuni limitrofi (non appartenenti al Cadore) o restare in questa situazione e la risposta è stata a dir poco patriottica. Il Sindaco e il vicesindaco di Ospitale mi raccontano della loro possibile unione al Comune di Longarone:

Noi abbiamo uno stretto rapporto con Longarone, anche a livello operativo. Qualche anno fa è uscita quest’idea di provare a fare un unico comune e nell’ultimo periodo abbiamo sentito un po’ gli abitanti per sondare come avrebbero reagito, si è poi fatto un referendum. Qui sono uscite fuori diverse anime che si sentivano proprio cadorine, che non avrebbero mai voluto perdere il nominativo del Cadore. Non abbiamo fatto la fusione.

Moltissimi abitanti di Zoppè di Cadore sono artigiani del gelato (come a Cibiana) e per lunghi periodi vivono in Germania, il paese si spopola,

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finita la stagione ritornano. La giovane Anna Simonetti mi spiega: «Zoppè è il comune più alto del Veneto143. Adesso con la Val di Zoldo

ci sono stati dei dibattiti perché hanno proposto di unire i comuni ma noi abbiamo rifiutato. Non abbiamo rifiutato loro, non abbiamo rifiutato nessuno, ma finché possiamo vogliamo rimanere noi!». Anche il Comune di Selva di Cadore ha mantenuto questa appartenenza e come testimonia Menegildo Rova: «Si sente ancora il legame con il Cadore anche se non ci sono più i contatti di una volta, il contatto è stato interrotto dalla strada perché ora ti fanno fare un giro diverso», perché anche qui una volta c’era una strada diretta che portava a San Vito, che non è mai stata più ripristinata. Il signor Rova mi racconta un episodio storico risalente al 1898:

[…] c’è stato un tentativo da parte degli abitanti di Selva, una proposta di spostare l’emendamento di Pieve di Cadore all’emendamento di Agordo; c’è stata una sollevazione di popolazione che per oltre il 90% ha manifestato contro questo e da tutti i paesi del Cadore è venuta solidarietà, il sentimento cadorino era molto ma molto forte! La popolazione originaria sente ancora questo sentimento.

Lucia De Meio mi fa notare l’orgoglio di appartenere a questa terra: «C’è appartenenza perché io mi ricordo che quando si parlava del mio paese, mi bastava che una persona parlasse del mio paese e scatenava in me un senso di appartenenza fortissimo, e chi mi tocca il Cadore ancora peggio!»

«Ho bisogno di vedere le mie crode» (Alessandro Coffen). C’è poi chi fa una distinzione con il Cadore come territorio d’appartenenza e le Dolomiti, intese come montagna. Aldo Corte Metto per esempio mi dice: «Io mi sento parte delle Dolomiti perché il concetto di territorio, di area montana, di vivere la montagna non si limita al mio paese. Sono sempre stato appassionato di montagna e di questo territorio e quello

143 Zoppè di Cadore, situato a 1461m, non ha dei collegamenti diretti con il Centro Cadore se non una vecchia strada

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penso che sia un sentimento che vada anche oltre l’essere cadorini». Mentre Valentino D’Ambros Rosso risponde dicendomi:

Appartengo al mondo ma vado fiero e sottolineo il fatto che sono dolomitico, cadorino e comelicense; se non altro come appartenenza geografica al Cadore o come modi di comportarsi o di chiusura mentale. Il Cadore, in quanto territorio di montagna è molte difficoltà come molti privilegi; può essere una alternativa futura alla monotonia cittadina, alle manifestazioni critiche delle città.

L’idea quindi che anche altre persone potrebbero appartenere a questa terra, persone che amano la montagna, la natura, capaci di vivere nonostante qualche difficoltà e disposte a rispettare tutto questo, sarebbe possibile soprattutto perché «è una terra dove anche la qualità della vita è molto elevata, si vive molto bene, soprattutto per chi ha famiglia, si segue ancora il ritmo delle stagioni e c’è una certa tranquillità che ti permette di apprezzare tutto» (Tatiana Pais Becher).