Capitolo 2. Minoranza linguistica
2.2 Strumenti europei
Alla fine del Novecento, in Europa si avverte la necessità e si assume la consapevolezza della tutela delle minoranze (Cermel 2009). Infatti, per quanto riguarda gli strumenti europei, la CSCE (Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) divenuta poi OSCE
22-www.unesco.beniculturali.it/getFile.php?id=48 23 ibidem
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(Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), approvò la Carta di Parigi del 199024, documento volto alla cooperazione
dell’Europa per garantire pace e unità tra gli Stati parte; l’anno seguente si tenne una conferenza a Ginevra dove la OSCE, con un gruppo di esperti elaborò un rapporto in cui si fa riferimento alle minoranze nazionali nel rispetto degli obblighi internazionali e dei diritti ad interesse della comunità internazionale25. Venne inoltre
creato un organo ad hoc, l’HCNM (Hight Commissioner on National Minorities) per monitorare gli sviluppi, il quale agisce nel diritto delle minoranze con strumenti di soft law.
Il Consiglio d’Europa (CdE), nel 1990 istituì la Commissione Europea per
la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione di Venezia
(luogo in cui si riunì), la quale «[…] contribuisce in modo significativo alla diffusione del patrimonio costituzionale europeo, che si basa sui valori giuridici fondamentali del continente, e garantisce agli Stati un "sostegno costituzionale"»26. In materia di minoranze (o nuove
minoranze), la Commissione ha contribuito in maniera esaustiva con attività di studio e monitoraggio. I criteri di riconoscimento minoritario sono: la consistenza numerica di un determinato gruppo e l’uso di una lingua d’appartenenza. Negli stessi anni il CdE, creò due strumenti vincolanti, specifici in materia di minoranze: nel 1992 la Carta europea
delle lingue regionali o minoritarie27, e nel 1995 la Convenzione-quadro
per la protezione delle minoranze nazionali28 (entrambi in vigore dal
1998). Il primo strumento è l’unico improntato specificatamente sulla questione linguistica anche se non «[…] offre una definizione politico-
24 Anche in questo documento si afferma il diritto ad ogni identità etnica, culturale, linguistica o religiosa che sia, di
esprimere liberamente, di preservare e sviluppare la propria appartenenza in quanto minoranza nazionale, senza alcun genere di discriminazione; http://www.osce.org/it/mc/39519?download=true
25-http://www.regione.taa.it/biblioteca/normativa/Org_internazionali/Osce/Ginevra%201991.pdf 26-http://www.venice.coe.int/WebForms/pages/?p=01_Presentation
27 «Nonostante la presenza dell’aggettivo “minoritario” nel suo titolo e di alcuni articoli operativi, l’obiettivo della
Carta è chiaramente limitato al miglioramento della situazione dei parlanti lingue minoritarie, al fine di mantenere e sviluppare le tradizioni e la ricchezza linguistica e culturale Europea» (Palermo 2009: 117 nota 46). Detto strumento è stato firmato dall’Italia nel 2000, ma non è mai stato ratificato. Per ulteriori approfondimenti si veda:
https://www.coe.int/t/dg4/education/minlang/textcharter/Charter/Charter_ita.pdf
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sociale o etnica di “lingua” poiché il suo scopo prioritario non è quello di tutelare le minoranze linguistiche, bensì di privilegiare la funzione culturale della lingua […]» (Piergigli 2001: 16), permettendo al singolo individuo di valorizzare la propria lingua madre; nell’art.1 definisce cosa s’intende tutelare:
a. Con l’espressione “lingue regionali o minoritarie29” si
intendono le lingue
I. tradizionalmente parlate nell’ambito di un territorio di uno Stato da cittadini di quello Stato che costituiscono un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato e
II. diverse dalla/e lingua/e ufficiale/i di quello Stato;
tale espressione non comprende né i dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato né le lingue degli immigrati;
b. Per “territorio nel quale una lingua regionale o minoritaria viene usata” si intende l’area geografica nella quale questa lingua costituisce il modo di esprimersi di un numero di persone tale da giustificare l’adozione delle diverse misure di tutela e promozione previste dalla presente Carta; […]»30.
È interessante vedere come detto strumento faccia riferimento alle lingue minoritarie o regionali, le quali non sembrano essere obbligatoriamente lingue materne o lingue proprie (Piergigli 2001). La Carta tende a tutelare ed essere applicata in particolare, nelle aree territoriali che godono di uno status speciale di autonomia come definito dalla Carta costituzionale dello Stato italiano. Per questo nella Val d’Aosta, nel Friuli e nel Sud Tirolo, sono considerate rispettivamente le lingue francese, ladino (friulano) e tedesco (Cermel 2009).
Va inoltre aggiunto che gli obblighi, i principi e le varie disposizioni sono alquanto austere e statiche, non consentendo così agli Stati quella duttilità necessaria alla protezione della diversità linguistica.
29 Si tratta di lingua regionale se nell’area designata la maggioranza degli abitanti parlano detta lingua; è lingua
minoritaria quando in una determinata zona è un gruppo ristretto a parlare la lingua tutelata.
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La Convenzione-quadro tutela le minoranze in quanto tali e, la questione linguistica, è richiamata attraverso i doveri e le manovre di protezione, promozione, conservazione, sviluppo delle Parti nei confronti delle minoranze nazionali presenti nello Stato. Anche in questo documento (come nella Carta) non si fa riferimento alla lingua materna bensì alla lingua minoritaria.
Analizzando la Convenzione, la questione linguistica viene trattata come uno degli elementi culturali che costituiscono l’identità di minoranza (art.5 par.1); come strumento per la promozione del dialogo interculturale «[…] per favorire il rispetto e la comprensione reciproci e la cooperazione tra tutte le persone che vivono sul loro territorio, quale che sia la loro identità etnica, culturale, linguistica o religiosa, specialmente nei settori dell’educazione, della cultura e dei mezzi di comunicazione di massa»31 (art.6 par.1); come valore per la
protezione in caso di ostilità, violenza, discriminazione etnica, culturale, linguistica o religiosa (par.2); come oggetto di riconoscimento del diritto alla libertà di espressione, di opinione, di comunicazione, di ideali che ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale possiede (art.9); come strumento per utilizzare liberamente e senza ostacoli la propria lingua minoritaria sia in privato come in pubblico, sia in forma orale che scritta, sia nei rapporti con le autorità amministrative locali (art.10).
L’art. 11 si focalizza sul diritto e il riconoscimento ad ogni persona che faccia parte di una minoranza: «[…] di utilizzare il suo cognome (il suo patronimico) ed i suoi nomi nella lingua minoritaria oltre che il diritto al loro riconoscimento ufficiale, secondo le modalità previste dal loro sistema giuridico»32 (par.1); «[…] di presentare nella propria lingua
minoritaria delle insegne, iscrizioni ed altre informazioni di carattere privato esposte alla vista del pubblico»33 (par.2) e, nel caso di accordi
31-http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/157.htm 32 ibidem
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con altri Stati, si sforzeranno «[…] di presentare le denominazioni tradizionali locali, i nomi delle strade ed altre indicazioni topografiche destinate al pubblico, anche nella lingua minoritaria, allorché vi sia una sufficiente domanda per tali indicazioni»34 (par.3).
Nel campo dell’istruzione gli Stati parte assumono l’impegno di promuovere le condizioni adeguate a garantire la conoscenza della cultura, della storia, della lingua e della religione delle loro minoranze nazionali alla stessa stregua delle misure usate per maggioranza (art.12 par.1), inoltre si ribadisce il diritto all’apprendimento nella lingua minoritaria di appartenenza (art.14 par.1).
Infine all’art.17 par.1, le Parti assumono l’impegno di non ostacolare i rapporti tra le persone appartenenti alle minoranze nazionali e altre persone, con uguali patrimoni identitari - etnici, culturali, religiosi e linguistici – che vivono al di là delle frontiere nazionali e che si trovano regolarmente in altri Stati.
La Convenzione presa in esame, però sembra richiamare una tutela ai diritti individuali all’interno di una comunità minoritaria e non tanto esplicitamente la minoranza stessa. Questa considerazione si sostanzia in primis, per la mancanza, nel documento, di una definizione del termine “minoranza nazionale”, con la conseguenza che la tutela vada a favore del singolo individuo quasi senza considerare possibili situazioni di conflitto/confronti tra nazionalismi.
Inoltre, proprio perché non dispongono di diritti e doveri propri, risultano indirettamente protette attraverso le forme di tutela accordate ai loro componenti, le singole comunità minoritarie non sono in condizione di esercitare sui singoli alcuna autorità. […] L’effetto principale che consegue alla adozione dell’opzione individuale adottata dalla Convenzione- Quadro del 1995, è un decisivo sviluppo autonomistico delle minoranze che postula un atteggiamento interventista da parte degli Stati […] (Trabucco 2008: 15).
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La Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE35 (Nizza 2000), prevede una
tutela linguistica solo all’art.21 nell’elencare i divieti di discriminazione, tra cui la lingua e l’appartenenza ad una minoranza nazionale, pur precisando l’obbligo per gli Stati europei nel rispetto delle diversità culturali, religiose e linguistiche.
Dal 1989 le minoranze non sono più considerate solo dal proprio Stato, bensì in maniera più ampia, in quanto «[…] problema condiviso ed una responsabilità della comunità internazionale» (Palermo 2009: 110). Una lotta alla garanzia del pluralismo, nella sicurezza collettiva delle diverse minoranze etnico-nazionali. «Le minoranze hanno diritto a forme di autonomia, che può tradursi nell’autodeterminazione
interna, cioè in forme di autogoverno, ma mai
nell’autodeterminazione esterna. L’indipendenza […] può essere solo
de facto, […] ma non come modalità tutelata dal diritto» (Ronzitti
2009: 199). Non esistono strumenti e sistemi, a livello universale, specifici a tutelare le minoranze linguistiche, perché un’efficace tutela può essere assicurata solo attraverso lo strumento convenzionale mediante la specifica regolazione dei meccanismi di tutela. Gli accordi internazionali risultano essere la miglior forma di tutela, senza però dimenticare gli strumenti di soft law; la tutela «[…] evidenzia, per un verso, la “protezione” dei loro diritti e, per un altro, la loro “promozione” ad opera dello Stato» (Salerno 2009: 211). Inoltre, a sostegno degli Stati parte, agiscono ONG (Organizzazioni Non Governative) che finalizzano la loro azione a rafforzare la capacità endogena del gruppo nel mantenimento e protezione delle caratteristiche identitarie.
Tuttavia, è sostenuto da diversi studiosi in materia, la carenza di «[…] una norma di diritto internazionale consuetudinario specifica che protegga le minoranze» (Ronzitti 2009: 205).
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