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L’Obiezione miracolata

3. Una voce nuova La Chiesa valdese

5.1. Genesi di una censura italiana

Il rapporto tra il film di Autant Lara e l’Italia cominciò nel 1959 quando Autant Lara propose la sceneggiatura al produttore Moris Ergas, greco, da diversi anni affermatosi nell’ambiente romano, per riparare alle perdite subite da La giumenta verde, da lui coprodotta, ma proibita in Italia. Già allora esisteva una sceneggiatura dal titolo L’obiecteur, scritta diversi anni prima insieme alla coppia di sceneggiatori più famosa (e criticata) della nouvelle vague, Pierre Bost e Jean Aurenche908. Per il regista era stato allora impossibile trovare una produzione francese disposta a realizzarlo909: un film che inscenava una contrapposizione elementare, una sorta di duello etico- morale tra “obbedienza” e “coscienza individuale”, accusando il militarismo dei generali, le ambiguità della chiesa di fronte alla guerra e mettendo in discussione la legittimità dell’autorità statale, attraverso il volto dell’astro nascente Gerard Philippe910

, a cui Lara avrebbe affidato il ruolo di Moreau (Cordier nel film), era potenzialmente esplosivo in un Paese attraversato dal controllo sempre più cruento delle periferie dell’impero, esasperato dalla guerra d’Algeria. Il progetto era tuttavia rimasto per molti anni tra gli obiettivi di Autant Lara, che, come spiegò successivamente in un articolo-manifesto su «Il Ponte», vedeva nella sua realizzazione un’espressione della sua politica artistica di intellettuale engagé911; quella di giovani che amano «i loro fratelli sconosciuti, al punto da rifiutare le armi e di soccombere essi stessi, per non essere messi in condizioni di uccidere» era la «più nobile storia d’amore»912. L’incontro con Ergas permise a un’idea tenuta per tanti anni nel cassetto di giungere a compimento.

Per non rischiare un salto nel vuoto il produttore sottopose la sceneggiatura ad un autorevole gesuita padre Angelo Arpa, direttore dell’istituto Colombianum di Genova, fine intellettuale e rigoroso teologo, tra i primi a diffondere l’esperimento di cineforum di Morlion. Egli diede un giudizio entusiasta all’«inquadratura» degli «urti spirituali» che facevano «intuire una gamma di colori finissimi nel tessuto di questo film», e al tempo stesso non vide dal punto di vista religioso motivo di disturbo rispetto agli orientamenti dottrinali, poiché il testo si concludeva «anche se fatalmente, con la condanna della libertà individuale spinta all’esasperazione mistica e con l’assoluzione di un assassino che non voleva uccidere, ma non ha saputo non uccidere»913

.

908 Autant Lara maturò l’idea del film dopo aver letto la notizia dei due processi su «Combat» nel 1949 (L. Quilici,

Generali contro gesuiti, «L’Espresso», 1 Ottobre 1961). Nei mesi seguenti Autant Lara fece numerosi incontri nelle

carceri, nei tribunali, nelle caserme e nei campi di lavoro con giudici, militari, religiosi e obiettori di coscienza per ricostruire la situazione nella maniera più verosimile. Le fasi processuali furono messe in scena sulla base dei documenti fornitigli dai giudici dissenzienti di quella corte, che in seguito al verdetto si erano dimessi. La rivelazione venne fatta dal produttore Ergas durante una tavola rotonda sul film organizzata da «Oggi» (Ecco il dibattito

organizzato da «Oggi» sul film che fa paura a tutti i governi in «Oggi Illustrato», 29-10-1961).

909 La produzione che aveva dato il suo consenso nei primi anni del 1950, si era sfilata poco prima dell’inizio della lavorazione, adducendo improvvise e improbabili motivazioni economiche.

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Gerard Philippe era stato il protagonista de Le diable au corps uscito nel 1947 che oltre ad aver consacrato Autant Lara a livello internazionale aveva avviato per Gerard Philippe una carriera folgorante che ne fece un’icona del cinema francese . Autant Lara lo aveva scelto anche per L’obiecteur: «era il ruolo per lui, una parte così delicata e difficile, fatta di angosce e di imbarazzi più che di dialoghi» (L.Micciché, L’intollerabile quinto comandamento, «Il Ponte», numero 11, novembre 1961, pp.1665 e ss.).

911C. Autant-Lara, Niente guerra, «Il Ponte» n.2 febbraio 1962, pp.159 e ss Egli affermava di volere, attraverso il film, «rivitalizzare un cinema «vecchio, cerebrale, senza passione» e al tempo stesso «affrontare i problemi dell’ora presente», denunciando un’umanità costruita da una «civiltà dei militari» e fondata sulla corsa pazza agli armamenti e sull’equilibriodel terrore. «Per l’onore del nostro mestiere ho voluto rompere ogni indugio, ho voluto fare un film, almeno uno, che dica ad alta voce ciò che molta gente pensa o sussurra a bassa voce». Il mondo dei governanti avrebbe posto tutti gli ostacoli alla realizzazione volendo impedire « al cinema di guardare con occhio troppo penetrante il mondo di oggi».

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Nel suo film Autant Lara racconta il dramma degli obiettori, «L’Incontro», n.9, settembre 1961.

913Lettera di P. Angelo Arpa, S.J. a Moris Ergas, datata Genova 24-9-1959 e riprodotta in F. Fabbrini, Tu non

ucciderai, Firenze, Cultura Editrice, 1966, p.27. Emergeva nel giudizio lo spessore del fine intellettuale, che non faceva

sconti tuttavia al rigore del teologo. Egli avrebbe dato presto prova della sua apertura e che presto avrebbe manifestato la propria apertura spirituale difendendo La dolce vita di Fellini.

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L’autorevole parere non ebbe l’effetto auspicato. I primi mesi dell’anno seguente il produttore greco venne convocato alla sede della Direzione, in via Veneto, per ricevere la notizia che la Francia aveva dato un giudizio contrario. In realtà raccontò il regista su «Les lettres francaise» che il Ministero della Difesa disponeva di un incartamento scritto su carta intestata dello Stato Maggiore che dava parere fortemente negativo al film giudicandolo pericoloso per il morale della nazione e attentatore alle patrie istituzioni914. Le ricerche di Amoreno Martellini hanno portato in luce il responso militaresco della Direzione Generale dello spettacolo inoltrato al ministro Umberto Tupini. Il lavoro veniva giudicato sottile nel voler «rilevare certe presunte antinomie del cattolicesimo in relazione al suo messaggio di pace e di non violenza tra gli uomini», mentre in realtà accreditava «le equivoche tesi di un imbelle ed anarchico pacifismo»: «non sembra sia necessario aggiungere altre parole per esprimere la nostra netta disapprovazione su questa iniziativa, che palesemente costituisce una gravissima offesa al decoro ed al prestigio delle Forze armate (…) oltre che di fatti che la legge prevede come reati»915

. Il rischio di un incidente internazionale assecondava l’ispirazione del governo appena varato. La data riportata sulla nota era il 29 marzo 1960: otto giorni prima il monocolore democristiano guidato da Tambroni aveva ricevuto per soli tre voti la fiducia alla Camera con l’appoggio determinante di monarchici e missini. La cosa per il momento passò quasi inosservata. Solo «L’Incontro», tradizionalmente sensibile al tema, diffuse la notizia, corredata da un ampio stralcio della sceneggiatura di Aurenche e Bost: «nell’Italia democristiana, dove si possono girare film pseudo-storici inneggianti alla guerra mussoliniana (…) non è gradito che il V comandamento sia qualcosa di più che una formuletta del catechismo»916 commentò amaramente Bruno Segre.

Né il produttore, né il caparbio regista si arresero. Si recarono in Vaticano per confrontarsi con Albino Galletto responsabile del Centro Cattolico Cinematografico. Nelle parole di Autant Lara egli trovò la «questione delicata», ma il «soggetto bellissimo»: «E’ evidente che non possiamo essere contro questo argomento. (…) Bisogna fare questo film»917

. La veridicità di un giuizio così netto appare discutibile dati gli sviluppi della vicenda. Tra i documenti ministeriali figura però una letter indirizzata dal gesuita al regista in cui erano contenuti suggerimenti e indicazioni di materiali utili al film, tra cui un testo di Pio XII, per presentare «dans la juste perspective humaine et morale, le fait de l’obiection de coscience». Il tono era incoraggiante e cordiale: «Je vous sohuaite de tout coeur de bon travail au service d’une si noble cause qu’est un film inspiré par le desir de fair du bien» scrisse al regista918. L’appoggio dell’autorità ecclesiastica spinse Ergas e Autant Lara a proseguire nel proprio intento e a portare a termine il film in Jugoslavia. Scomparso prematuramente Gerard Philippe, la parte del protagonista venne affidata a Laurent Terzieff, mentre, come colonna sonora venne scelta una ballata dal tenue antimilitarismo di Charles Aznavour, L’amour et la guerre, una sorta di Addio alle armi cantato, in realtà poco rappresentativa del pacifismo degli obiettori: come nel romanzo di Hemingway a far dire al soldato «ne comptez pas sur moi, si vous recommencez» era l’amore suscitato dallo sguardo di una donna, poiché solo l’amore «survit parmi les flammes et je veux comme vous voir survivre le mien».

L’intreccio con l’Italia riprese a lavoro ultimato nella seconda metà del 1961. Il film venne presentato al festival di Venezia, con una cittadinanza jugoslava. Era questa una formula di compromesso raggiunta, per permettergli di concorrere, al seguito delle pressioni agite dal governo francese sulla Direzione Generale dello Spettacolo perché la pellicola non fosse inserito in concorso

914 R. Curti- A. Di Rocco, Visioni proibite, cit. , p.377. 915

Giudizio della Direzione generale dello Spettacolo, Divisione VII, 29 marzo 1960 in Acs, Ministero del Turismo e dello spettacolo, Divisione Cinema, f.3284, riportato in A. Martellini, Fiori nei cannoni, cit., p.112.

916 Un film che non si farà sugli obiettori di coscienza, «L’Incontro», aprile 1960, n.4. 917

R. Curti-A. Di Rocco, Visioni proibite, cit. p.377.

918 Lettera di P.Albino Galletto ad Autant Lara, Rome, le 28 mai 1960 in www.cinecensura.com/ violenza/non uccidere. (il sito riproduce diversi materiali ministeriali relativi al film). Sia dei suggerimenti formulati, sia del testo di Pio XII, si ha solo notizia, mancando l’allegato. La notizia è riportata anche in Lia Quilici, Generali contro gesuiti, «L’Espresso», 1 Ottobre 1961.

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e l’irremovibile risposta dei commissari che avanzarono la possibilità di pubbliche e motivate dimissioni in caso di esclusione919. Contro gli auspici dell’esecutivo francese che si adoperò per creare attorno al regista un clima ostile di isolamento920, il film venne accolto con entusiasmo dal pubblico921, rimanendo fino alla fine in lizza per il Leone d’oro, assegnato ad un’altra pellicola francese, L’anno scorso a Marienbad, opera innovativa e difficile di Alain Resnais922.

Chiusa la rassegna di Venezia tra i sospetti, si aprì il problema della distribuzione. Alcuni intellettuali e politici, temendo le difficoltà che il film avrebbe potuto incontrare per le pressioni francesi o dello Stato Maggiore italiano, presero immediatamente posizione923. Alla Camera il visto, a Tu ne tueras point924 divenne oggetto di dibattito in occasione della discussione sul bilancio di previsione del Ministero della Cultura e dello spettacolo. Diversi furono gli interventi del Partito comunista che in difesa del film, contrappose gli esperimenti nucleari effettuati nel Sahara dalla Francia gollista925, paese ritenuto ormai «sotto una dittatura»926, alla «bomba di pace» del film di Autant Lara che produceva al contrario «benefici e non inquinamenti atmosferici»927. La distanza ideologica tra l’ideologia comunista e l’afflato ideale di Tu ne tueras point, «utopistico» grido di un uomo «che cerca (…) di battersi per la pace» veniva rimarcata, ma al tempo stesso si guardava positivamente alla conferma che uno spirito nuovo stava prendendo corpo, espresso pochi giorni prima dalla marcia Perugia Assisi che era la «chiara dimostrazione che questo film deve essere proiettato per dare agli spettatori la possibilità di discutere (…) le idee che in esso si dibattono». Il ministro Folchi, subentrato a Tupini dopo la caduta del governo Tambroni, glissò sui fatti di Venezia ricordati da Jacometti , assumendo quella posizione vaga che caratterizzò tutti gli sviluppi successivi, riparata dall’inopportunità di un parere dato il suo ruolo isitituzionale di presidente della commissione di appello che in seguito sarebbe potuta intervenire in caso di ricorso al primo giudizio928. Più rassicurante era stato l’intervento di un influente esponente del partito democristiano, Marcello Simonacci, nuovo direttore del Centro Cattolico Cinematografico al posto

919 Le fonti giornalistiche di allora annoveraroo tra le pressioni del governo francese la minaccia del rititro della rappresentativa francese dal festival e la messa in discussione il riesame degli accordi di coporoduzione Italia-Francia (L. Quilici, Generali contro gesuiti, «L’Espresso», 1 Ottobre 1961).

920 Autant Lara raccontò a «L’Espresso» di essere stato trattato durante i giorni del festival, «come un fantasma, come se semplicemente non esistessi. Miei vecchi amici mi passavano davanti, al Lido, senza vedermi. Il direttore generale dello Spettacolo francese arrivò a fingere, per non parlarmi, d’essere malato di una malattia contagiosa che lo costringeva a non vedere nessuno. Ero colpevole di lesa patria, nella Francia dei generali e della guerra d’Algeria». Il 21 agosto, giorno della presentazione, i francesi ricevettero l’ordine da Parigi di non andare in sala e di non cedere i propri biglietti (tra le sedie vuote ci fu anche quella di René Claire). Diverse testimonianze dell’epoca ricordavano tuttavia che molti «rimasero dietro i tendaggi ad ascoltare» per assistere di nascosto o almeno captarne l’audio (AP Camera, seduta 9 ottobre 1961. Intervento di Jacometti, p.24456).

921 Meno dalla critica che vide in Cordier una figura «troppo ideologica e troppo oratoria», Il Merighetti. Dizionario del

film, 2014, p.2600.

922

Lia Quilici su «L’Espresso» interpretò la decisione come frutto di un veto posto dalla Francia, mentre nel reportage di Micciché su «Il Ponte» la decisione veniva considerata un compromesso politico: Alain Resnais, era anch’egli un oppositore del governo, firmatario del manifesto dei 121 contro la politica del governo in Algeria, ma preferibile ad Autant Lara poiché il suo film non toccava questioni sensibili.

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In un telegramma pubblico il regista ringraziò Sandro Pertini per l’interessamento (AP, Camera, Intervento di Greppi, p.24497).

924 Ivi, p. 24456.

925 Ivi, seduta 6 ottobre 1961, p.24392 (Intervento di Lajolo). 926 Ivi p.24487 (Intervento di De Grada).

927

Ivi, p.24392 (Intervento di Lajolo).

928 Ivi, seduta 10 Ottobre 1961, p.24540. Al di là delle cautele Folchi, gronchiano, era meno a suo agio di Tupini nell’utilizzo dello strumento della censura. Tuttavia non aveva impresso alcun evidente cambio di linea, avendo al fianco un fervido sostenitore quale sottosegretario, l’andreottiano Renzo Helfer. (Cfr AA.VV., La porpora e il nero,

Milano, Edizioni di Cinema Nuovo, 1961, pp. 87-96). Egli stesso manteneva una vsione sostanzialmente conservatrice:

il 6 marzo del 1961 in una conferenza sul tema Cinema e censura aveva sostenuto «il dovere di difendere la morale cristiana» attraverso la censura «che ci consente di contenere entro determinati limiti le offese al pudore e alla morale» (Ivi, p.96).

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di Galletto929. Nel suo intervento si complimentò con il nullaosta già dato dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo all’importazione e ricordò l’accordo rinnovato sulla coproduzione italofrancese, che già smentiva «le illazioni sulle pressioni che una nazione avrebbe fatto sul nostro governo per impedire la circolazione del film» e dimostrava «il senso di libertà e di responsabilità verso la società, che ispira le nostre azioni». «La discutibile tesi sull'obiettore di coscienza – che è per me da rigettare – non ci esime dal dare un giudizi o positivo sull'opera artistica di Autant-Lara e sul messaggio di pace, che del film costituisce la sostanza. (…) Sono convinto che gli organi preposti alla censura sapranno giudicare responsabilmente930». Dati gli sviluppi l’intervento avrebbe assunto i contorni del più amaro paradosso931.

La sera del 20 ottobre via delle Quattro Fontane si trovò paralizzata da una manifestazione di protesta scoppiata davanti all’omonimo cinema. I convenuti invitati ad una proiezione privata dall’Associazione Europea degli scrittori presieduta da Carlo Vigorelli trovarono le porte del cinema sbarrate da plotoni di poliziotti932. La polemica divampò immediatamente. Il presidente del consiglio Fanfani, interpellato dallo stesso Vigorelli affermò di non saperne nulla: i movimenti erano venuti direttamente dal ministero della Difesa, premuto dell’ambasciata francese933

. Nei giorni successivi monsignor Galletto che già in occasione della mostra di Venezia era intervenuto su «L’Osservatore della domenica», si affrettò a smentire l’approvazione delle «competenti autorità ecclesiastiche», sostenuta sia dal regista, sia dal produttore, e a smarcarsi da ogni complicità con Tu ne tueras point. In una lettera prontamente inviata al Centro Cattolico Cinematografico ricostruiva dal suo punto di vista, le precedenti vicende e accusava il regista di non aver accolto le sue osservazioni, nonostante le rassicurazioni ricevute: egli aveva anzi visionato successivamente il film su invito del suo successore, alla presenza di Ergas, e anche in quell’occasione aveva espresso il giudizio che senza radicali modifiche il film «era da ritenersi moralmente negativo e pericoloso»934. Ai principi di novembre un nuovo divieto della questura impediva una seconda proiezione privata organizzata dal comune al Lirico di Milano, in occasione della settimana internazionale cinematografica. A nulla era valso né l’invito esteso al ministro Folchi da parte del sindaco socialdemocratico Gino Cassinis, che a gennaio aveva avviato a Palazzo Marino la prima esperienza di giunta di centro-sinistra, né la minaccia di dimissioni degli assessori socialisti e

929 Nei giorni precedenti egli aveva organizzato una proiezione del film aperta ai soli parlamentari. Durante le sedute l’episodio era stato ricordato da più parti, con elogi, talvolta con qualche ironia («Allora sì che avrebbero ragione gli italiani di protestar e contro i privilegi dei parlamentari!» commentò il socialista Greppi, a sostegno della necessità «di non sottrarre al pubblico le ispirazioni regalate» ai deputati dalla visione privata). Ivi, Seduta 9 Ottobre 1961, p.24497. 930

Ivi p. 24494.

931 Nell’assemblea l’avversione esplicita alla diffusione del film era comunque rimasta confinata alla sola estrema destra estrema, alla quale il missino Calabrò prestò la voce, condannando di Tu ne tueras point sia l’apologia di reato sia…il suo messaggio di pace, ritenuto dannoso:« Messaggio di pace ? Proprio l'Italia non ne ha bisogno . Proiettiamolo piuttosto nei paesi che sembrano avere intenzione di fare la guerra, in Russia (…) Messaggio di pace al popolo italiano! Avete visto che le bombe al plastico dei tirolesi non scuotono nemmeno, i facchini delle stazioni dove esplodono?» 932Molti erano i volti noti, ricordati recentemente in un articolo di Papuzzi su «La Stampa» : il socialista Riccardo Lombardi, l’archeologo e storico Ranuccio Bianchi Bandinelli, scrittori quali Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini e Raffaele La Capria, i registi Mario Camerini e Francesco Rosi, diversi attori come Anna Magnani, Gina Lollobrigida, Sandra Milo, Elsa Martinelli, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi. A. Papuzzi, Obiezione di coscienza. Tutto cominciò da un

film, «La Stampa», 21-10-2011.

933 R. Curti, A. Di Rocco, Visioni proibite, cit., p. 378. 934

Appunto sul film “Tu ne tueras pas”, riservato in www.cinecensura.com/ violenza/non uccidere. L’appunto porta una firma incomprensibile e la data 30-X-1961. Tuttavia è facilmente riconducibile ad Albino Galletto. Le versioni date dal gesuita e dal regista sono molto contrastanti. Rispetto alla lettera citata, molto cordiale e interessata ad una buona riuscita del progetto, si nota comunque un cambiamento di posizione e di tono del gesuita, certamente indotto a rivedere le proprie posizioni di fronte alle polemiche sollevate. Non si dispone tuttavia dei rilievi che Gallettto aveva certamente fatto, essendoci accenni in entrambe le missive. E’ verosimile, ma non dimostrabile, che né Ergas né Autant Lara avessero dato particolare importanza ai suggerimenti del padre gesuita, limitandosi a cogliere il parere benevolo ricevuto.

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socialdemocratici935. Il motivo era ancora una volta l’assenza del visto della Commissione censura presso la quale erano state depositate le pizze, ma questa volta c’era il precedente di molti film girati durante l’iniziativa, pur privi di nullaosta. Il comune subì la decisione, affidando al consiglio comunale il compito di emettere un duro ordine del giorno votato da comunisti, socialisti, socialdemocratici, radicali e alcuni settori della Dc936.

Ad esultare per i provvedimenti fu l’agenzia di estrema destra Assi che si arrogò il merito: «Abbiamo sostenuto apertamente e senza mezzi termini la necessità di proibire al Lirico di Milano la programmazione di Non uccidere (…) A chi domanda da chi e da dove si è reclamata la sospensione della programmazione rispondiamo (…): ma siamo stati noi e siamo noi che vogliamo il contrario di quello che volete voi (…) Il dovere (…)di Andreotti, e non solo il suo dovere poiché ciò dovrebbe essere preoccupazione di tutto il Governo e di tutto il Parlamento è quello di difendere i valori morali su cui poggia la dignità e il prestigio dell’Esercito Italiano espressione di uno Stato democratico e repubblicano»937. Nei giorni precedenti sia l’Assi, sia l’andreottiana Aes erano intervenute per chiedere al ministero dello Spettacolo la proibizione del film, appellandosi alla Magistratura perché lo vietasse nel caso in cui «l’arrendevole e remissivo ministro Folchi» non