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L’Obiezione miracolata

3. Una voce nuova La Chiesa valdese

5.4. L’obiezione di coscienza torna di moda?

Tra le modifiche che Ergas dovette varare, vi fu anche l’impegno di far seguire i sopratitoli in cui erano citate frasi di Pio XII e Giovanni XXIII, da una didascalia nella quale si affermava che l’episodio raccontato non si proponeva l’esaltazione dell’obiezione di coscienza, ma di essere spunto «per impostare il vasto problema dell’abolizione della guerra», nobilissimo ideale per cui «si battono tutti gli uomini di buona volontà».986.

Pur se l’attenzione dell’opinione pubblica si rivolse principalmente all’uso politico della censura, l’obiezione di coscienza era il soggetto peculiare di Non Uccidere e nello stesso tempo il motivo che ne aveva impedito la circolazione. Il rapporto tra il film e l’obiezione di coscienza fu tuttavia schizofrenico. In Parlamento gli interventi di lode rimasero generici riconoscimenti al suo messaggio di pace, ma non affrontarono la lacuna legislativa pendente sugli obiettori in carne ed ossa. Varato il nuovo provvedimento sulla censura, nessun nuovo percorso legislativo si apriva sull’odc. La ripresentazione della legge Basso, pur se venne interpretata da alcuni giornali poco informati, come direttamente «ispirata al famoso film»987, era un atto dovuto, suscitato certamente dal rumore di Tu ne tueras point, ma che giungeva alla fine della Legislatura, dopo essersi trascinato sulle scrivanie del gruppo socialista per quattro anni. Per alcuni intellettuali la figura di Cordier quando veniva presa in considerazione diventava spesso metafora di qualcos’altro: «di un eroismo ascetico» che non rischiava di essere imitato «dalla nostra nazionale debolezza» come

983 Ivi, seduta 5 aprile 1962, p. 28743. Si può rilevare una certa consonanza tra questi interventi e quelli dell’allora sottosegretario al Turismo e allo Spettacolo Renzo Helfer che su «Città Nuova» aveva affermato: «Noi cattolici siamo stati ciechi e insensibili al problema cinematografici; i comunisti oltre cortina hanno compreso la forza del cinema per l’edificazione di una società collettivistica e lo hanno decisamente caratteizzato» (citato in AA.VV., La porpora e il

nero, cit., p. 117).

984 I socialisti si astennero sulla votazione dell’articolo 6, quello centrale della riforma, nel quale erano esplicitate le competenze e i limiti della commissione. Era in realtà tutto l’esperimento del centro-sinistra ad essere coinvolto. Il Partito Socialista intese l’astensione come bilanciamento tra la propria contrarietà ad ogni censura preventiva e la volontà di non mettere in difficoltà il governo facendolo recedere verso posizioni più conservatrici (Ivi, seduta del 10 aprile, p.28882. Dichiarazione di voto di Ferri).

985 Lo stesso Autant Lara riconobbe a La Pira questo ruolo. Appena avuto notizia del nulla osta telegrafò al sindaco un istantaneo, caloroso ringraziamento a nome di tutti coloro che avevano lavorato al film, nel quale si attribuiva gran parte del merito di «questa vittoria della libertà e dello spirito di pace fraterna» alla sua opera. (F. Fabbrini, Tu non ucciderai, cit., p. 40). Tra i molti, segno della risonanza che ebbe il gesto del sindaco fiorentino. vale la pena ricordare anche il telegramma inviat da Louis Lecoin a nome del «Comité secours aux objecteurs de con science» nel quale assieme all’Abbè Pierre,a Jean Cocteau e a Jean Giono ringraziava La Pira «de donner aujourd’hui sur l’ecran le film “Tu ne Tueras point” ».

986 Cfr. www.cinecensura.com/ violenza/non uccidere. 987

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scrisse Buzzati, oppure di un’opposizione «[a]i nazisti di Hitler e [a]i colonialisti francesi che nel 1948 massacravano l’Indocina con la stessa criminale determinazione con cui avrebbero straziato il popolo algerino» secondo l’interpretazione data da «L’Unità».

«Discutiamo pure,» continuava il giornale comunista «del diritto di un cittadino di sottrarsi alla leva se la sua coscienza ripugna all’idea delle armi, e accettiamo come una voce di civiltà e di progresso giuridico, l’invito a legalizzare l’obiezione di coscienza (…), ma non confondiamo il problema dell’obiezione di coscienza nel film Non uccidere con un soggetto cinematografico fine a se stesso. Autant Lara è ricorso all’obiezione di coscienza solo come all’argomento più efficace e immediato di cui poteva servirsi per condannare la guerra, (…) questa guerra che ci minaccia dai crani e dai tavoli dei generali di qualche comando strategico così come le guerre scatenate dai nazifascisti o le operazioni localizzate ad uso dei nativi che chiedono indipendenza o autotogoverno nelle colonie. (…) Oggi i Cordier (…) protestano in tutto il mondo contro la politica del rischio calcolato e chiedono la distruzione delle armi atomiche. Sono studenti, operai, professori, filosofi e scienziati, sono uomini comuni, gente che è stanca di eroismo e santità»988

Pur se determinato dal proprio coinvolgimento personale, non era pertanto privo di aderenza agli eventi lo sdegno che Fabrizio Fabbrini che nel capitolo dedicato alla vicenda del film nel libro Tu non ucciderai rilevò come l’attenzione dedicata al problema della censura fu accompagnata da una distrazione «sul problema umano dell’obiezione di coscienza»989. Tuttavia il film anni non riscontrò particolare favore tra i futuri obiettori. Essi non avvertirono l’obiettore del cinematografo «come uno di loro». Il primo obiettore cattolico, Giuseppe Gozzini, lo trovò «non molto coerente, in particolare per quanto riguarda il personaggio principale che passa da posizioni nettamente cattoliche ad un generico libertarismo». Inoltre egli riteneva generico il «non uccidere» di Cordier che non esprimeva il «non voler lasciare uccidere», il «non volere che la violenza trionfi»990. Ancora più aspro fu il giudizio dello stesso Fabbrini che vedeva «nell’intento polemico del regista (…) quelle pecche le quali hanno reso alquanto mediocre il suo livello artistico». Fabbrini, cattolico la caratterizzazione dell’obiettore di coscienza:

un fanatico presuntuoso, sprezzante degli altri, per nulla rispettoso della libertà e dignità umana, violento nelle parole, sempre dubitoso circa l’altrui buona fede. Un dogmatico, in sostanza, tutto l’opposto di un non violento: e viene da pensare che tutto sommato i militari fecero bene a portarlo all’ospedale psichiatrico perché egli era davvero il tipo del nevrotico. La stessa figura fisica – un bel giovane, ma con la faccia da schiaffi – faceva sorgere nel pubblico una spontanea antipatia. E si può dire che certamente Autant Lara, con la sua immagine dell’obiettore di coscienza, ha gravemente pregiudicato agli occhi di tutti la figura morale degli obiettori di coscienza in genere. Infatti, pensando agli obiettori di coscienza, l’uomo della strada non ha dinanzi agli occhi la figura del Gozzini o del Pinna, ma quella del Cordier, donde un’istintiva repulsione991.

Il film tornò ad avere una certa discussione nei cineforum dei nuovi gruppi antimilitaristi della fine degli anni Sessanta quando venne usato come pretesto per «socializzare» e discutere la scelta dell’obiezione di coscienza992

.

988 L.Baroni, Il caso «Non uccidere!» prova l’illegittimità della censura, «L’Unità», 7 aprile 1962. 989 Tu non ucciderai, cit., p.19.

990 E. Campironi, Tornerò in carcere, «Vie Nuove», 7-2-1963. Ancora molti anni dopo, presentandolo ad un cineforum tra i giovani di Desio, lo descrisse come «non eccezionale», né «particolarmente riuscito» poiché rifletteva solo in parte l’esperienza dell’obiezione di coscienza» G. Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore (a cura di Piero Scaramucci e Letizia Gozzini), Edizioni dell’asino, 2014.

991 F. Fabbrini, Tu non ucciderai, cit., pp. 17-18. Al regista si poteva riconoscere il merito documentaristico di aver proposto «polemicamente un problema stimolando la discussione» poiché anche le reazioni «negative, immediate, passionali» servivano questo scopo. Si può avvertire una certa consonanza tra queste interpretazioni e l’analisi di un intellettuale, fautore dell’obiezione di coscienza, come Arturo Carlo Jemolo che su «La Stampa», discusse il mancato nulla osta della commissione simulando una certa meraviglia per l’accusa di antimilitarismo, rivolta al film dato che «gli ufficiali francesi, gli stessi ufficiali tedeschi carcerati per crimini di guerra, non apparivano con un volto odioso». Erano semmai i provvediementi di censura a far risorgere l’antimilitarismo in Italia «morto da oltre quarant’anni» poiché «tutti i partiti sono rispettosi per l’esercito. (A.C. Jemolo, Il governo non può porre limiti alla libertà delle

riunioni private, La Stampa, 25-11-1961).

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Tuttavia, pur se posta in secondo piano rispetto al problema della libertà di espressione cinematografica e pur se rappresentata in una maniera che gli obiettori non sentivano coincidere con la propria esperienza, l’odc ricevette dalla forza popolarizzante del cinema un’ improvvisa luce riflessa che ne ravvivò la cera. Era stata in particolare la proiezione fiorentina, incentrando il conflitto sulla motivazione pacifista del film a contribuire ulteriormente a dare risalto al rapporto tra obbedienza militare e coscienza. L’istanza usciva improvvisamente da un’eclissi decennale e trovava improvvisamente pagine di giornale disposte ad approfondirla, pur se spesso con occhio superficiale o parziale993, mentre si generavano spazi di dibattito inediti, nei quali l’iniziativa di avviare un confronto presso l’opinione pubblica era sottratta al solitario impegno del movimento a sostegno dell’odc. Persino un settimanale nazional-popolare come «Oggi», fin dall’ottobre del 1961 dedicava al tema una tavola rotonda e riportava integralmente i contrastanti giudizi sulla tesi del film994.

Il rilievo improvviso che l’obiezione di coscienza acquisiva nella società civile, senza che vi fosse alcun incremento di obiettori, venne avvertito con preoccupazione soprattutto dagli avversari. La rivista «Concretezza» diretta dal ministro della Difesa Andreotti, affidò a Stefania Vaselli Spiga995 il compito di redigere un reportage in tre puntate nel quale cui si peritava di respingere «l’esplosione di una vera e propria “moda” dell’obiezione di coscienza”» attraverso una ripresa dei luoghi comuni tipici della pubblicistica anti-obiezione: l’inconsistenza del problema in Italia, il basso numero di obiettori, l’incostituzionalità di un riconoscimento, la destabilizzazione che questo produrrebbe «in una nazione giovane», l’asocialità, l’ispirazione di estrema sinistra, l’anticattolicità fondata sulla solita analisi di padre Messineo.

La congiunzione tra libertà di espressione e obiezione di coscienza, favorì il riproporsi di quelle occasionali alleanze che si erano già avute tra pacifismo indipendente e cultura già verificatasi nel caso dell’incriminazione di Danilo Dolci o in occasione della marcia Perugia Assisi. Il film si accompagnò ad un nuovo attivismo a favore del riconoscimento giuridico che si allargava oltre il circolo capitiniano. Il 24 novembre, a Roma, nella sede dell’Associazione per la libertà della Cultura, sotto la presidenza dell’avvocato Leopoldo Piccardi, si costituì un nuovo Comitato nazionale col compito di promuovere «le opportune iniziative perché anche in Italia venga riconosciuto per gli obiettori di coscienza un adeguato stato giuridico»996. A figure presenti in precedenti coordinamenti si aggiungevano nomi prestigiosi della cultura laica: oltre a Capitini, aderirono personalità come Calogero, Jemolo, Chiaromonte, Silone, Piccardi e gli onorevoli Riccardo Lombardi e Paolo Rossi. Lo sforzo forse più compiuto di questa convergenza si ebbe un anno dopo quando l’Associazione per la libertà della cultura presieduta dallo stesso Silone, promosse due pubblicazioni sull’obiezione di coscienza: la prima affidata a Giorgio Peyrot,

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Tra i periodici più attenti si confermò «Settimo giorno» che proprio in occasione del dibattito sul film promosse una ampia inchiesta sulla condizione degli obiettori.

994 Ecco il dibattito organizzato da «Oggi» sul film che fa paura a tutti i governi, «Oggi», 29-10-1961. Alla tavola rotonda non era presente nessun obiettore, né alcuna figura autorevole della battaglia per il riconoscimento dell’odc. A dibattere si ritrovarono Giovanni Cavallotti, redattore del settimanale, il deputato liberale Luigi Barzini, il sacerdote Virgino Rotondi che collaborava saltuariamente con la rivista, lo scrittore Leonida Repaci, il maggiore Francesco De Leone, il commediografo Diego Fabbri, La figlia di Svevo, Letizia, , il consigliere nazionale della DC Clelio Darida. Ergas, a cui spettò il ruolo di difensore degli obiettori. Il preconcetto di fondo della rivista non era celato: il resocont o della tavola rotonda era presentato da «Oggi» quale dibattito sul fatto se Cordier fosse «un cattivo cittadino» o il «portatore di un messaggio di civiltà nuova» mentre «noi che con tutto il nostro amore per la pace, (…) rimaniamo devoti alla Patria e alle sue istituzioni siamo uomini superati e retrivi». Tuttavia la discussione sulla moralità dell’odc manifestò uno spettro ampiò di pareri.

995« Concretezza», numeri 3,4, 5 dell’1 e 16 febbraio e 1 marzo 1962. La prima ripercorreva in chiave polemica e con alcune falsificazioni storiche le vicende dell’obiezione di coscienza in Italia. La seconda era dedicata la legislazione internazionale. La terza si concentrava, polemicamente, appunto sull’esplosione di una moda dell’obiezione di coscienza.

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inquadrava la situazione attuale degli obiettori di coscienza nella società italiana997. La seconda proponeva invece un vaglio molto approfondito degli snodi che una legislazione che riconoseva il riconoscimento dell’obiezione di coscienza avrebbe dovuto affrontare. Pur se nella veste informale dell’intervista, quello realizzato era lo studio più completo compiuto in Italia sugli aspetti legislativi dell’odc, sia per la sistematicità dei quesiti posti, sia per la competenza delle figure coinvolte998

. La struttura del libro era semplice, ma serrata: i pareri dei ventisette autorevoli esponenti del mondo giuridico, politico o culturale999 erano stato raccolti attorno a domande circostanziate, articolate sulla base dell’opzione preferenziale di ciascun intervistato, tra una disciplina giuridica che avvenisse «in modo diretto e soggettivo tramite il riconoscimento della qualità dell’obiettore» da parte di una commissione oppure «in maniera indiretta e obiettiva, offrendo a tutti i cittadini di leva una libera scelta alternativa tra un servizio militare e la prestazione di un altro servizio civile non armato». Nel libro si componevano le due visioni che avrebbero seguito la strutturazione del riconoscimento negli anni successivi. La prima, oltre che a valutare irrealistica la possibilità di approvazione di una legge che istituisse l’odc come diritto, si preoccupava soprattutto di mantenere il fenomeno dentro proporzioni contenute, concentrando le risposte sugli aspetti negativi di un aumento incontrollato delle obiezioni (rischio di un eccessivo svuotamento dell’esercito, introduzione di manodopera a basso costo, timori per la costituzione di un esercito professionale). Le posizioni che invece sostenevano la libera scelta, spesso mantenendo un discrimine temporale erano rivolte alla costruzione e all’utilità sociale di un servizio civile per un Paese che aveva una strutturale carenza di manodopera per alcune opere pubbliche1000. Si trovavano, presenti sottotraccia, le considerazioni di un pamphlet scritto da Ernesto Rossi durante il confino di Ventotene e pubblicato nel 1946 col titolo di Abolire la miseria, ancora ricordato in un ambiente laico, liberale o azionista, nonostante l’autore ne avesse predisposto il ritiro1001.

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G.Peyrot, Il problema degli obiettori di coscienza, cit.

998 AA.VV., Per una legge sull’obiezione di coscienza, Roma, Associazione per la libertà della cultura, 1962. La volontà di dare al dibattito un carattere conclusivo veniva evidenziata nell’introduzione da Ignazio Silone. Egli proponeva il lavoro per tre tipi di pubblico: gli «avversari tenaci e autorevoli» dell’obiezione di coscienza per dimostrare che l’opposizione non si reggeva su «fondamenta di principio» e qualche «avversario non fanatico» motivato da «un oscuro presentimento di conseguenze catastrofiche in caso di adozione della legge richiesta» per chiarire alcuni dubbi; ai fautori del riconoscimento giuridico per dare uno strumento che permettesse loro di argomentare la questione in termini diversi rispetto ai « termini generici e moralistici»; la società civile in genere in modo da ampliare il dibattito poiché «nessuna arte del rinvio da una legislatura all’altra può togliere questo tema all’ordine del giorno della nostra vita pubblica» né il «comportamento dello struzzo» tenuto dalla classe dirigente italiana che nemmeno si era preoccupata di coprire «l’assurdo vuoto giuridico concernente la punizione di tale reato in caso di persistente recidiva» (Ivi, pp.5-8). Nemmeno la Francia poteva più fungere da pietra di paragone dell’immobilismo italiano: fin dal 1958 De Gaulle aveva emanato un decreto che limitava provvisoriamente a un massimo di cinque annidi prigione la durata complessiva della pena da infliggere a un obiettore recidivo.

999 Oltre a personalità da sempre in prima linea nella battaglia per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza come Aldo Capitini, Giovanni Pioli, Giorgio Peyrot, Armando Borghi e gli avvocati Bruno Segre, Giacomo Rosapepe e Nicola Romualdi , figuravano tra gli autori importanti giuristi quali Costantino Mortati, Paolo Barile, Arturo Carlo Jemolo, Pietro Nuvoloni, Leopoldo Piccardi, Giuliano Vassalli, Giuseppe Perrone Capano, Alfredo Poggi, Francesco Finocchiaro e Salvatore Mastrogiovanni, numerosi intellettuali (oltre al già citato Silone erano presenti Guido Calogero, Nicola Chiaromonte, Giorgio Spini e il vicesegretario del Movimento federalista europeo Alberto Cabella) alcuni deputati (Paolo Rossi, deputato del Psdi che durante la Costituente aveva espressamente sostenuto l’emendamento di Caporali, Igino Giordani, Alberto Jacometti firmatario del disegno di legge presentato da Basso nel 1957), un pastore valdese (Giorgio Girardet) e il pastore evangelico Elio Milazzo.

1000 Fu soprattutto Arturo Carlo Jemolo a dedicarsi all’articolazione del servizio civile in diversi ambiti. Egli propose squadre di lavoro per la costruzione di strade o di edifici nell’interesse di enti pubblici, per lavori pubblici molteplici e prestazioni inerenti al proprio titolo di studio (maestro elementare mandato nelle scuole sprovviste, studente di medicina assegnato a un ospedale). Inoltre egli proponeva che «chi già stesse prestando servizio in una pubblica amministrazione o in un’azienda di pubblico interesse, potrebbe essere lasciato al suo posto di lavoro, sostituendo al trattamento economico in atto quello del soldato di leva e versando la differenza allo Stato o a un’opera filantropica».

1001 E. Rossi, Abolire la miseria, Roma-Bari, Laterza 1977. Ernesto Rossi lo aveva fatto ritirare dal commercio trovandolo «stampato così male e su carta tanto brutta» da vergognarsi di mandarlo persino in omaggio. Fu pubblicato postumo per Laterza.

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Il legame instauratosi col mondo della cultura portò l’obiezione di coscienza dentro un’inedita diffusione sul territorio di iniziative a favore del riconoscimento dell’odc. A partire dallo stimolo di poter unire il valore artistico del film con una meditazione sulla sorte degli obiettori, in città grandi e piccole, associazioni o circoli più o meno attivi organizzarono tavole rotonde e momenti di riflessione. Al seguito della proiezione fiorentina il calendario divenne fitto. Il 2 dicembre il Circolo della stampa romano promuoveva a palazzo Marignoli un convegno dal titolo «Il film di Autant Lara e l’obiezione di coscienza», il 6 un incontro simile riempì il circolo Castello a Milano, il 7 a Trieste al Circolo «Antoni», il 9 ancora a Firenze (questa volta l’organizzatore era il Centro Evangelico di Cultura)1002. Uno dei dibattiti più importanti si tenne il 4 dicembre a Torino per iniziativa dell’Unione Culturale con interventi Franco Antonicelli, Bianca Guidetti Serra, Gianni Rondolino e Norberto Bobbio e letture di parte dei dialoghi del film da parte di una compagnia teatrale. Di quel momento rimane la relazione che fece Bobbio, pubblicata sul numero di dicembre di «Resistenza» e molti anni dopo nella raccolta di saggi Il Terzo Assente1003, una delle più lucide disamine sul cambiamento al concetto di guerra portato dalle armi atomiche, trattato non tanto come principio apodittico, ma storico. Egli individuava quattro ideologie che proponevano la giustificazione della guerra: quella fondata sulla distinzione tra guerre giuste e ingiuste, quella che riteneva la guerra un male minore di fronte a mali peggiori, quella che intendeva la guerra come male necessario per lo sviluppo storico, quella che guardava alla guerra come semplice fatto, una maestà superiore da accettare, senza chiedersi se è bene o è male. L’obiettore, essendo per definizione «colui che rifiuta incondizionatamente la guerra», non poteva che rigettare ciascuna di queste teorie. Tuttavia la svolta della storia umana rappresentata dall’età atomica dava al «dir di no alla guerra (…) un significato più attuale, più vasto, più universale». La corsa spaventosa verso gli armamenti atomici, introiettando l’umanità dentro la possibilità di una guerra totale «che può portare all'annientamento della vita sulla terra, cioè della storia stessa dell'uomo» faceva venir meno