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Pietro Pinna: radiografia di un caso

5. Obiettori a convegno

A metà del 1950, la moltiplicazione degli obiettori auspicata da Ceronetti sembrava aver preso piede, in forme nuove e sempre più rumorose. Tuttavia proprio di fronte alla successione di rifiuti, il dibattito perdeva sempre più consistenza, nonostante l’appoggio internazionale continuasse a tirare per tutto l’anno. Soprattutto per Elevoine Santi la World Resisters International si mosse con dinamismo, con l’intento di fare pressione sul governo per arrivare a una legge. Anzi rivolgendo maggiore attenzione agli equilibri geostrategici e alle sfere di influenza alle quali il governo poteva essere più sensibile, questa volta si volse agli Stati Uniti. «La Wri chiederà ad Einstein di firmare personalmente una lettera diretta a De Gasperi e ad Einaudi (…) e muoverà alcuni membri del Congresso americano. L’intervento degli Stati Uniti è il più efficace che noi possiamo sperare»508 anticipava Ceronetti a Capitini. La lettera di eminenti personalità americane al presidente della Repubblica e a quello del Consiglio venne diffusa da «L’Incontro» a maggio con una significativa impaginazione, essendo posta tra la comunicazione della condanna dell’obiettore Ferrua e la notizia della sentenza emessa dal Tribunale Militare di Roma che riconosceva al generale Graziani le attenuanti per «aver agito per motivi di particolare valore morale», grazie alla quale sarebbe tornato in libertà nel giro di quattordici mesi. La missiva non era dissimile da quella dei deputati inglesi: veniva chiesta la liberazione dell’obiettore incarcerato e l’adeguamento dell’Italia alle altre legislazioni internazionali, a cui si era recentemente aggiunta la Costituzione di Bonn, cosa necessaria per conservarsi «all’avanguardia nella lotta per la libertà e per il diritto della coscienza» 509

. Il mese successivo veniva pubblicato il breve appello dei Einstein, rivolto direttamente all’obiettore emiliano: «Io ho, naturalmente, stima e simpatia per Santi e per la sua azione. E’ una vergogna per i nostri tempi che la soggezione dell’individuo sia tanto avanzata che questi è costretto dallo Stato a fare cose ritenute immorali dalla sua coscienza. Con molto piacere dichiaro pubblicamente questo mio convincimento.»510. A luglio la Wri organizzò significativamente a Torino il proprio convengo annuale per celebrare la presenza nuova che l’obiezione di coscienza stava avendo nel Paese511. A dicembre da quattordici eminenti personalità delegate alla Conferenza Pacifista Mondiale in India, che viaggiavano insieme sullo stesso vapore Yalazad come rappresentanti dei movimenti pacifisti di Belgio, Canada, Danimarca, Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, Irlanda, Norvegia, Svezia, Svizzera e Usa veniva inviato un appello ai governi

505 Un nuovo obiettore di coscienza depone il fucile davanti al gen.Marras, «L’Incontro», nn-7-8, luglio-agosto 1950 506

I Resistenti alla guerra dinanzi al Tribunale Militare, «L’Incontro», giugno 1951.

507 Articolo tagliato, senza l’indicazione della testata, a firma G.S. col titolo L’obiettore di coscienza di Palermo

condannato ad un anno di reclusione, 26-6-1950, conservato in AS, FC, b.75. L’articolo dava notizia che anche il

capitano della decima compagnia alla quale apparteneva il giovane era stato sottoposto ad arresto. 508 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 4/3/1950 Ivi, b.686.

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Un appello americano all’Italia per gli obiettori di coscienza. «L’Incontro», n.5, maggio 1950. La lettera, nella quale si faceva esplicito riferimento al progetto Calosso Giordani, auspicando l’approvazione, era firmata dal senatore William Langer, da Jorn Haynes Holmes, Ministro della Community Church di New York, da Norman Thomas Pitirum Sorokin, preside della Facoltà di Sociologia di Harvard da Dwight Macdonald direttore della rivista «Politica» da Roger Baldwin segretario dell’Unione per le libertà civili.

510 Simpatia di Einstein per gli obiettori di coscienza italiani, «L’Incontro», n.6, giugno 1950.

511. All’incontro presero parte anche Umberto Calosso e Giovanna Bernieri. Marcucci lasciò una vivace descrizione del «piccolo mondo internazionale che vi partecipò (E. Marcucci, Sotto il segno della pace, cit., pp.138-140).

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di Francia, Grecia e Italia. Anche in questo caso la richiesta di «perdono a questi giovani Odc al presente in prigione» si accompagnava alla richiesta di approvazione di una legge512.

Contrariamente a quanto accaduto pochi mesi prima, nessuno di questi appelli ebbe alcuna risposta ufficiale. Il governo aveva ormai trovato una certa convenienza a lasciare che l’attenzione sull’argomento si dissolvesse. Ma nemmeno la stampa li rilanciò: era il segno non solo di un cambiamento tattico, ma di una generale tendenza di cui la stessa tattica traeva beneficio. Il “caso Pinna” non era stato l’impulso ad un’attenzione crescente nei confronti dell’obiezione di coscienza, ma un apice. Non seguì nessun “caso Santi”, nessun “caso Ferrua”, nessun “caso Barbani”. La stampa si occupò di loro con trafiletti sempre più succinti. Nemmeno un gesto clamoroso come quello di Barbani fece, più di tanto, notizia513. Il calo d’interesse attorno all’obiezione di coscienza giovò anche ai corpi militari che seguitarono «ad adoperare la “maniera forte”, a procedere per direttissima a condannare senza attenuanti e condizionali»514.

Con l’aumentare dei casi di obiezione, si attenuava, paradossalmente, la speranza di una rapida approvazione della legge. Interpellato privatamente da Calosso circa l’impiego di eventuali obiettori nei vigili del fuoco, il sottosegretario alla Difesa, aveva precisato che il servizio era volontario e non poteva essere offerto come alternativa al servizio nell’esercito515. Si delineava piuttosto chiaramente che per gli obiettori il governo non avrebbe cercato alcuna soluzione. Si imponeva al gruppo capitiniano il problema di attuare una qualche forma di pressione, nei limiti delle risorse finanziarie e fisiche di cui disponeva.

Mano a mano che si dispiegarono le vicende processuali dei nuovi obiettori e che l’effetto Pinna si smorzò, l’affidamento della mobilitazione alla sola “stampa amica” evidenziò sempre più la propria insufficienza. Ceronetti e Capitini, nella loro corrispondenza, vagliarono i mezzi di cui un piccolo gruppo poteva disporre: pubblicazione di un libro, costituzione di un comitato, raccolta di adesioni, convegno. Di queste tuttavia solo l’ultima trovò un’effettiva realizzazione. Del libro rimane solo una bozza di indice: una serie di nomi proposti da Ceronetti collegati con una matita da Capitini a degli argomenti516. Quanto all’idea capitiniana di costituire una lega volontaria degli obiettori di coscienza, essa fu accolta da Ceronetti con entusiasmo che la perseguì per alcuni mesi: « Giustissima la tua idea, ma dove trovare tanti obiettori da mettere insieme una lega volontaria?» scriveva Ceronetti a Capitini già nel settembre del 1949. «E poi a chi spetta la qualifica di O.d.c.? Io credo che ci siano “amici” dell’O.d.c. – e questi sono molti – e O.d.c. “veri” e questi sono Pietro Pinna e non ce n’è che uno»517

. Nel gennaio del 1950 Ceronetti definiva meglio il progetto, pensandolo come sezione autonoma della Wri, che prendesse il nome di Comitato di studio sul disarmo, in modo da tenere insieme gli o.d.c. e gli amici degli o.d.c.518. Un nuovo impulso venne dal processo a Elevoine Santi, quando i limiti organizzativi del gruppo si palesarono, dandogli la sensazione che rispetto a Pinna, «il ragazzo fosse stato abbandonato»: « Quanto a noi, dobbiamo serrare le fila e studiare un minuzioso piano d’azione in profondità nel paese, non dovevamo disperderci dopo la battaglia per Pinna»519. Ceronetti manifestò al filosofo l’intenzione di formare a Torino «un nucleo efficiente di giovani attivi», approfittando della venuta della segretaria della Wri Miss Beaton, per organizzare una riunione preliminare. «Nessuna formula stantia, nessun

512 G.Pioli, La rinunzia alla violenza, cit., p.193.

513 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 4/7/1950 in FC, b.686. 514 E. Marcucci, Sotto il segno della pace, cit. pp.134-135.

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Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 2/6/1950 in FC, b.686.

516 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 2/2/1950 Ivi. Nella lettera manoscritta di Ceronetti, Capitini aveva collegato i nomi proposti con alcune frecce: a Ceronetti sarebbe toccata la stampa, a Segre l’aspetto giuridico giuridico, a Maiorca la storia, Calosso avrebbe trattato con Pioli la legge, Giordani avrebbe considerato l’aspetto cristiano, Pinna avrebbe pubblicato il suo memoriale.

517 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 30/9/1949, Ivi. 518 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, 27/1/1950, Ivi. 519

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programma generico: ci batteremo contro il patto Atlantico e la coscrizione»520. L’obiezione di coscienza ritornando al centro della futura organizzazione sarebbe dovuta apparire nella stessa denominazione trasformata in “Comitato di difesa degli O.d.c.”. Ceronetti prevedeva la creazione di un fondo permanente di assistenza per gli obiettori e l’invio di una circolare a tutti o quasi i parlamentari – postulandone l’adesione o inducendo personalità insigni della cultura a firmare una dichiarazione programmatica»521.

Ceronetti redasse anche un manifesto programmatico del Comitato di difesa, estremamente prudente nelle intenzioni, con il proposito di fare «da sirena ai parlamentari d.c.» per raccogliere un maggior numero di adesioni: «la mia povera “astuzia” si è spremuta per loro e di certe cose da me scritte sono soddisfatto quanto mostri di esserlo tu» scriveva a Capitini critico per l’eccessiva cautela522. Il progetto non andò oltre lo stadio di bozza. Insieme alle prime adesioni al Comitato (oltre a quella scontata di Calosso, Capitini, Marcucci e Maiorca, vi fu anche la sottoscrizione prestigiosa di Jemolo523) giunsero anche le critiche e le divisioni che avrebbero sempre più travagliato il gruppo. Cominciarono a incrinarsi i rapporti con Segre che si oppose alla pubblicazione del manifesto su «L’Incontro», ritenendolo un torto a Pioli: «Non capisco queste formalizzazioni su questioni di lana caprina» si sfogava Ceronetti con Capitini. «Ma so che le impuntature di sostanza sono meno ardue a sormontare. L’opera del Segre è indubbiamente molto utile, ma per quanto io sia duttile e perfino accomodante non riesco a intendermi con lui»524. Si ripeteva in maniera ridotta, un copione già veduto due anni prima durante la creazione dell’Associazione dei Resistenti alla Guerra525

. Di fronte ai problemi sorti, Ceronetti accantonò, momentaneamente il progetto, con l’idea di riprenderlo in un secondo tempo. Inoltre aveva cominciato a dedicare tutte le energie ad un’altra iniziativa lanciata da Capitini, alla quale egli credeva molto526. Proponendo di convocare un primo convegno di studi sui problemi dell’odc, il filosofo aveva pensato ad una proposta indirizzata specificamente ai giovani, dal taglio pedagogico. Le alte possibilità di insuccesso di un simile tentativo lo avevano spinto a virare sulla proposta più generica di un «convegno aperto a tutti coloro che s’interessano del problema ed hanno a cuore il buon diritto degli o.d.c.», suggerito da Ceronetti527. Ad Assisi528, prima ipotetica sede, fu preferita Roma nella speranza «di avere il gruppo della «Via» e riempire un teatro o un’altra grande sala, con oratori Giordani, Calosso, Capitini.

Ceronetti mise nell’organizzazione molta passione «convinto della pratica utilità»529 che il convegno avrebbe avuto in quel momento storico, soprattutto dopo l’aspra condanna subita da Ferrua. Fu lui a radunare il comitato promotore (ne fecero parte Lamberto Borghi, Aldo Capitini, Umberto Calosso, Arnaldo Carsaniga, Guido Ceronetti, Giovanni Gonnet, Carlo Majorca, Edmondo Marcucci, Esther Merlo, Tommaso Pedio, Pietro Pinna, Bruno Segre, Giacomo Zanga). La scelta di

520 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini Torino, 25/2/1950, Ivi. 521Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 4/3/1950, Ivi. 522

Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 2/6/1950 Ivi. Nel fondo Capitini è conservata una versione dattiloscritta del manifesto. Il programma del Comitato era compendiato da quattro punti: a) Riconoscimento legale dell’obiezione di coscienza, in limiti e modi definiti dalla legge b) Creazione di un Fondo permanente per spese di giudizio in favore degli Obiettori di Coscienza c) Convocazione di riunioni, conferenze stampa e congressi periodici per illustrare all’opinione pubblica il significato ed i limiti dell’Obiezione di Coscienza. Fondazione di centri di studio, sale di lettura, uffici di consulenza legale d) Appoggio incondizionato agli Obiettori di Coscienza di altri paesi». (FC, b.75). 523 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 2/6/1950. Ivi.

524 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 19/6/1950, Ivi.

525 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 30/6/1950, Ivi. «Pioli ha informato Miss Beaton di un comunicato che io avevo passato al Segre riguardo al comitato, ma probabilmente in termini catastrofici a giudicare dalle sue preoccupazioni. Non comprendo l’ostilità di Pioli, forse teme che naufragherebbe così la sua analoga iniziaitiva? Eppure il l’ho rassicurato che non intendevo creare copioni di alcun genere, che la sua idea andava bennissimo».

526 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 15/4/1950 Ivi. 527 Ibidem.

528 Ibidem. 529

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mantenere la cosa al di fuori dell’ambito dell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra, per non perdere la possibilità «di essere un punto d’incontro di uomini altrimenti assai lontani tra loro»530, costò la presenza di Pioli, al solito molto sensibile sul punto531.

Il convegno venne fissato per il 28 e 29 di Ottobre. La data non fu casuale. Alla funzione di studio, si affiancava una valenza politica di pressione sul Parlamento e sul Tribunale Supremo Militare a ridosso dei processi di appello di Pinna e Santi532. Il biglietto di invito, un semplice carattere blu su campo bianco, metteva in risalto lo scopo533, vanificato pochi giorni prima del convegno, dal rinvio incidentale dei processi534. Nell’invito erano segnalati anche i temi delle relazioni in cui si sarebbero articolate le due giornate:« a) La situazione internazionale e l’obbiezione di coscienza b) Posizione degli obiettori di coscienza nel mondo e in Italia c) Libertà di coscienza e Obbiezione di coscienza d) Il problema del riconoscimento giuridico degli obiettori di coscienza». Furono poi svolte da Capitini, da Bruno Segre, dal pastore valdese Gonnet e da Arturo Carlo Jemolo535.

Nel pomeriggio del 28 i partecipanti, si ritrovarono alla Sala Capizucchi, vicino al Teatro Marcello, un locale che la padrona concedeva a poco prezzo a prescindere dal colore politico a qualunque gruppo, «cattolici e protestanti, ebrei e comunisti»536. I giornalisti de «Il Tempo» e de «L’Avant»i che dedicarono al convegno ampi resoconti indugiarono molto sull’aspetto di «piccolo oratorio»537 o di «cappella gentilizia» coi lumi di pergamena, «le balconate di legno scuro scolpito»538, «i putti goffi e grassottelli»539, la sua «penombra», per ritrarre più o meno maliziosamente un’atmosfera settaria pervasa da un «mistico senso di cospirazione». Per quanto Segre su «Milano Sera» parlò di «pieno successo del convegno» sia per i temi trattati, sia per l’adesione dell’opinione pubblica e della stampa540, l’affluenza fu di una cinquantina di persona541

. Tra i presenti, oltre alla maggior parte dei membri del Comitato Promotore figuravano Jean Goss, l’on. Ezio Bartalini, Leone Iraci, Giustiniano Incarnati, la madre di Elevoine Santi. Diverse furono le adesioni formali inviate dall’Italia e dall’estero, tuttavia anche queste dimostravano l’incapacità di attirare l’attenzione fuori da un circuito ormai consolidato542

.

530 Ibidem.

531 Il dissidio venne recuperato dopo l’adesione della Wri al Convegno così come era formulato del quale Miss Beaton fu lietissima. Pioli non partecipò, ma chiese in seguito le modifiche modifiche proposte al nostro convegno di Roma per il progetto Calosso-Giordani per inserirle in un suo opuscolo. (Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 29/2/1951, Ivi.

532 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 12/10/1950. Ivi. 533

Alcuni esemplari si trovano in BP, FM, sc.11, fasc. 2, b.2a. 534

Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino s.d. in AS, FC, b.75, : «Non credo abbiano avuto sentore del convegno» scriveva Ceronetti, credendo, con Segre, che lo slittamento fosse dovuto all’attesa del verdetto della Camera, ancora ritenuto imminente. Il verdetto non arrivò mai, mentre i ricorsi vennero tutti respinti.

535

FM, sc.11, fasc.2 b.2a. Il programma era stato più volte rivisto. Una circolare di convocazione conservata all’archivio Marcucci prevedeva una bozza di programma molto diversa di temi e relatori (Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 19/4/1950 in FC, b. 686).

536 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 30/6/1950 in FC, b.686, Il luogo era stato reperito da Ceronetti su consiglio di Gonnet e Giordani».

537 A. Grande, Chi darà ascolto alla setta degli “o.d.c.”, «Il Tempo», 30 Ottobre 1950. 538 G. De Chiara, Gli obiettori di coscienza a congresso,« L’Avanti», 31 Ottobre 1950.

539 A. Grande, Chi darà ascolto alla setta degli “o.d.c.”, «Il Tempo», 30 Ottobre 1950. Se grande insisteva sulla descrizione della sala per volgere l’atmosfera mistica e settaria verso tratti grotteschi e irridenti, De Chiara la utilizzava per rendere tratti di tormento spirituale, nobile ed evanescente.

540 Sicor, Radunati a Roma gli obiettori di coscienza, Milano Sera, 2-3 novembre.

541 Lettera della Questura di Roma all’on. Capo della polizia, Roma 31-10-1950 in ACS, Mi, Dps, “G Associazioni”, b.186, Cos, fasc.1.

542 Resoconto del primo Convegno Italiano per i problemi dell’o.d.c. FM, sc.11, fasc.2 b.2a. Aderirono la War Resisters’ International (che inviò un lungo messaggio, a firma del presidente Harold Bing e della segretaria Grace Beaton), gli onorevoli Calosso e Giordani, il Mouvement pour la Reconciliation e André Trocmé da Versailles,l’avvocato Jan Van Vijk di Harlem, noto difensore degli obiettori di coscienza olandesi, il prof André

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Il convegno fu il primo vero momento di riflessione collettivo sulla situazione dell’o.d.c. in Italia. Il resoconto riassuntivo, per quanto risenta molto dell’impostazione e della relazione capitiniana, dà un’idea dello spettro degli argomenti affrontati: il rispetto morale e giuridico dell’obiezione di coscienza anche da parte di chi non è obiettore; l’adeguamento alle legislazioni più democratiche e civili; il valore dell’obiezione come espressione di alternativa «all’antagonismo delle potenze che minaccia una nuova guerra»; il suo significato di «profonda esigenza di un radicale rinnovamento nel modo di sentire la società, il rapporto con gli altri, la compresenza, il rapporto tra mezzi e fine, tra politica e morale»; la domanda che investiva le religioni attuali di decidere di fronte alla tragica eventualità della guerra; l’implicazione tra obiezione di coscienza e mutamento della struttura sociale di oggi, che è una delle cause di guerra.

Vivace fu il dibattito nel pubblico, sempre incoraggiato dal metodo capitiniano Trovò largo spazio una delle questioni morali fondamentali connesse all’obiezione di coscienza che ne avrebbe sempre caratterizzato l’evoluzione e l’interpretazione: il rapporto tra libertà e testimonianza, tra scelta e sacrificio. Il punto era già stata sfiorato dalla corrispondenza tra Ceronetti e Capitini. Questi aveva espresso alcuni dubbi sull’insistenza sul carattere eroico degli obiettori: «la richiesta di una ferma doppia o comunque prolungata», scriveva, «costituisce da parte nostra una abdicazione morale» che denunciava «un latente complesso d’inferiorità del “pacifismo” in confronto agli ideali guerreschi». Ceronetti era ben conscio che un servizio civile più lungo era la precondizione minima per l’accettazione di una legge da parte del governo, ma si chiedeva se questa impostazione non avrebbe danneggiato la percezione del valore del servizio alternativo: «In fondo siamo un po’ nevropatici: vogliamo accecare il prossimo con continue profferte di eroismo per obbligarlo ad entrare nel nostro ordine di idee, e quindi eleviamo alte grida quasi invocando la peste perché gli o.d.c. possano morire curando gli appestati… Non vorrei che gli O.d.c. futuri facessero le spese di questa nostra timidità. C’è già troppa gente che aspetta di vedere Pinna saltare in aria disinnescando una mina, per poterlo ammirare e compiangere dopo»543.

Durante il convegno la questione fu richiamata in più occasioni. Anticipata da Capitini che aveva ribadito il coraggio che l’obiettore talvolta manifestava fino al sacrificio della propria vita, in nome del principio di “non uccidere” 544, venne radicalizzata all’estremo da Bruno Furlotti che si disse obiettore durante la guerra italo-turca de 1912 e di avere chiesto la fucilazione545,: «Ebbene il più grande dispiacere della mia vita, fu che non l’abbiano fatto!». La visione testimoniale-sacrificale spinta in questo caso all’eccesso ebbe vivaci repliche: «rivendicare il diritto di non uccidere come una delle più alte esigenze della personalità umana non poteva significare che gli obiettori dovessero farsi massacrare, soltanto perché asserivano questa volontà» affermò Ezio Bartalini, alludendo anch’egli alla pari dignità con l’obiettore doveva essere guardato rispetto al militare. In conclusione furono approvati tre ordini del giorno che tenevano insieme la legislazione nazionale, quella internazionale e l’universo carcerario dell’obiettore di coscienza. Da segnalare, il