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Nel reportage su «L’Espresso» Lia Quilici aveva raccontato con tinte colorite l’incontro avvenuto a film ultimato nel Centro Cattolico Cinematografico davanti allo stato maggiore dei gesuiti. «Risero, s’appassionarono, e alla fine, esplosero in una discussione violentissima. L’ala destra, i conservatori dicevano che quella storia era una bomba nelle coscienze dei cattolici. Gli altri, invece, affermavano che alla Chiesa non doveva importare se il protagonista si dichiarava cattolico o no, e che bisognava trovarsi d’accordo con ogni messaggio di pace. (…) Alla fine prevalse l’ala sinistra». Il quadro di una zuffa tra gesuiti, a nel chiuso di una stanza è troppo simile alla corrusca ai aneddotica di Autant Lara per essere verosimile1009. Rimane tuttavia una rappresentazione, forse fantasiosa, ma efficace di quella «diaclasi» frattura impercettibile in superficie, che attraversava tanto il rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo1010, quanto, conseguenza, il mondo cattolico. Una delle più profonde fenditure, riguardava la percezione della dottrina della guerra giusta e del principio di presunzione. All’apparenza la riflessione ecclesiale sul punto appariva imbalsamata. Il nuovo modo d’essere di papa Roncalli non sembrava aver scosso fondamenti secolari. Solo alcuni osservatori più attenti e distaccati avevano saputo comprendere meglio la novità che il discorso di Giovanni XXIII introduceva, in un quadro teologico tradizionale, ponendo l’attenzione sui «mostruosi ordigni bellici, scoperti nel nostro tempo» che non corrispondevano alle domande rivolte dai popoli alle autorità1011.

Prima del film di Autant Lara gli interventi nel mondo cattolico sull’obiezione di coscienza avevano continuato a reiterare gli stessi concetti (e le stesse firme) dei tempi di Pietro Pinna. I nuovi contributi anche quando si annunciavano quali riflessioni calate nella contemporaneità poco o nulla modificavano all’impianto dottrinale del gesuita Messineo. Nel 1960, padre Giacomo Perico del Centro milanese di San Fedele aveva pubblicato su «Aggiornamenti Sociali» un ampio studio sul rapporto tra la guerra moderna e la coscienza del singolo. La novità era tutta nelle attese che il titolo poteva generare: la relazione veniva affrontata attraverso una dettagliata indagine della casistica di ordini con cui la coscienza di un soldato si sarebbe dovuta confrontare: l’ordine di attacco o di bombardamento, l’accettazione di commesse per la fabbricazione di armi nucleari, l’effettuazione di esperimenti atomici e simili1012. Poiché la guerra moderna poneva l’uomo di fronte a continue

1009 Albino Galletto ne diede una versione più sobria. Anche in questo caso tuttavia la ricostruzione va tarata rispetto all’intento apologetico della lettera attraverso la quale l’ex direttore voleva scagionarsi dal suo precedente appoggio al film: «Ai primi dell’agosto del 1961, il mio successore dell’Ente dello Spettacolo mi invitò a visionare nella saletta del CCC il film (…). Mi informò anche che sarebbero stati presenti il regista e il produttore. Gli risposi che avrei visto il film – a titolo personale – ma desideravo che non fossero presenti né il regista né il produttore. Quando mi recai trovai il produttore Ergas che il Consulente Ecclesiastico aveva ritenuto di accogliere, aderendo alle sue insistenti richieste, e all’evidente scopo di suggerirgli eventuali correzioni. Erano anche presenti (…) due o tre sacerdoti, che collaborano nella revisione dei film. A proiezione avvenuta rilevai che nessuna delle osservazioni da me fatte, nonostante le assicurazioni a suo tempo datemi, erano state tenute in considerazione e affermai anche davanti ai predetti testimoni, che senza radicali modifiche il film era da ritenersi moralmente negativo e pericoloso» Dai documenti d’archivio relativi al film Non uccidere presenti sul sito: http://cinecensura.com/violenza/non-uccidere-tu-ne-tueras-point/

1010 L’immagine è utilizzata da F. Mazzonis, La Chiesa di Pio XII: dalla riconquista alla diaclasi in Storia della società

italiana, vol. 23 La società italiana dalla Resistenza alla guerra fredda, Milano, Teti, 1989.

1011 Il messaggio radiofonico Hac trepida hora del 29 Ottobre 1958 fu accolto molto favorevolmente da «Il Giorno» che diede subito a Giovanni XXIII l’epiteto di «Papa della pace». Id 30 Ottobre 1958. Su questi aspetti Cfr. anche G. Crainz, Storia del miracolo italiano, cit., pp. 60-61 e S. Lanaro, Storia dell’Italia Repubblicana, cit., pp. 365-369. Come ha rilevato Menozzi quelle sviluppate inizialmente da Giovanni XXIII non erano idee nuove. La linea intransigente che solo la religione poteva «alimentarla [la pace], rafforzarla, consolidarla» non era abbandonata, né era una novità la condanna delle armi moderne era stata assente dai messaggi di Pio XII. Ciò che mutava era la prospettiva: veniva tralasciata l’insistenza dei criteri con cui giudicare la legittimità della pace e della guerra, attraverso un appello affinché il negoziato eliminasse la minaccia atomica. (D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel novecento, cit. p.259). 1012 F. Perico, Guerra moderna e coscienza individuale, «Aggiornamenti Sociali», marzo 1960. Anche padre Perico era stato tra i religiosi intervenuti all’epoca di Pinna.

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possibili obiezioni di coscienza legate ai diversi stadi, l’obiettore non andava dunque confuso col delinquente comune come «l’indisciplinato, il disertore e il traditore». Gli spazi nuovi di riflessione che l’introduzione dava l’illusione di voler affrontare erano subito chiusi. Perico ribadiva che la dottrina tradizionale aveva sempre respinto l’obiezione di coscienza, quale pericolosa ribellione all’autorità costituita. Solo dopo la seconda guerra mondiale (e il pensiero andava soprattutto alla Francia) alcuni moralisti avevano portato alle estreme conseguenze che non ci potesse più essere guerra giusta, mettendo in dubbio la coscrizione obbligatoria. La dottrina della guerra giusta era invece rimasta intatta, continuando a coincidere con la guerra di difesa. Si poteva semmai auspicare una riduzione degli effettivi sotto le armi, senza che questo comportasse la possibilità del cittadino di trarre conclusioni personali1013. Perico si dilungava lungo questo sottile crinale di timide aperture e repentini distinguo in cui dominante era il linguaggio sofisticato del causidico. Egli non stigmatizzava mai esplicitamente gli obiettori di coscienza, affermando anzi di preferire i paesi dove il diritto era riconosciuto e auspicando che lo stato ne salvasse i valori attraverso «una legge ben architettata che prevedesse i casi più notevoli di obiezione e escludesse con accorgimenti adatti tutti i casi di cattiva fede». Il riconoscimento sarebbe dovuto tuttavia rimanere esclusivamente nella sfera della potestà statuale che poteva concederla. Dove l’obiezione non era riconosciuta, la sua attuazione contra legem finiva per essere «inefficace e all’individuo pericolosa» poiché la resistenza degli obiettori poteva «essere malintesa e danneggiare anziché edificare l’opinione pubblica». Gli spiriti realmente inclini alla pace avrebbero dovuto perseguirla, in altri modi, con una campagna sull’urgenza del disarmo e contro gli esperimenti nucleari, alla quale tutti gli strumenti di opinione sarebbero dovuti essere posti a servizio». «Sembra di sognare. Candore o malizia,» commentò Carlo Falconi sul «Mondo» un anno dopo, in occasione dell’uscita del film di Autant Lara, paragonando il gesuita preoccupato che «i governi che non hanno ancora legalizzato l’obiezione di coscienza non abbiano seccature da quei rompi feste di obiettori», a don Abbondio1014.

Ma l’obiezione di coscienza era confinata solo in apparenza a rarefatte dispute teologiche che ripetevano gli stessi leitmotiv. Il fatto che se ne parlasse poco non significava che non montasse una certa irrequietezza di fronte al mantenimento, in era atomica della dottrina sulla guerra giusta o delle interpretazioni del rapporto tra rivelazione, autorità e responsabilità della coscienza individuale1015. Nella rassegna delle tensioni tra Chiesa e contemporaneità che apparve a tratti nella posta dei giornali cattolici affioravano anche i dilemmi che la situazione internazionale poneva alla coscienza del cristiano nel suo rapporto con la guerra. Occasionalmente capitava che la questione toccasse esplicitamente l’obiezione di coscienza. Fu questo il caso del lettore Nuto Caresini che nel 1959 intervenne sull’«Osservatore della Domenica» per rispondere a un articolo del mese precedente nel quale una riflessione generica sugli obiettori di coscienza era stata accompagnata da una esortazione ai soldati a compiere il loro dovere e ad essere «forti e se necessario eroici per

1013 Solo in caso di una fragrante ingiustizia o di un ordine di un regime totalitario, la rivolta poteva essere ammessa. Perico escludeva comunque per il cristiano il dovere del rifiuto, limitato all’ordine di atti illeciti, o se la disobbedienza non avesse comportato il pericolo alla vita e alla libertà.

1014 Celso, Don Abbondio e l’obiettore di coscienza, «Il Mondo» 14 novembre 1961. Celso era lo pseudonimo che Carlo Falconi utilizzava su «Il Mondo» nella rubrica il Bianco e il Giallo, dedicata all’osservazione e alla documentazione di quanto avveniva nel mondo cattolico.

1015 Cfr G.Turbanti, Il tema della guerra al Concilio Vaticano II in M.Franzinelli, R. Bottoni, Chiesa e guerra, cit, p..571. Turbanti ricorda ad esempio come la trattazione del problema della legittimità dell’uso delle armi moderne e della corsa agli armamenti fosse questione assai diffusa nei “vota” inviati a Roma dai vescovi nei mesi precedenti l’apertura del Concilio Questi punti vennero esaminati anche nel lavoro delle commissioni preparatorie. Si era ancora tuttavia dentro una preoccupazione meramente teologica sulla legittimità della guerra moderna, che si inseriva negli schemi classici della guerra giusta. Cominciava ad emergere una forbice tra la preparazione che si stava attuando nelle commissioni (dottrinaria e focalizzata sulla legittimità) e le intenzioni di Giovanni XXIII che poneva al centro della sua riflessione l’azione pastorale per la costruzione della pace (Cfr. G. Alberigo e A. Melloni (a cura di) Verso il Concilio

Vaticano II (1960-1962). Passaggi e problemi della preparazione conciliare, Genova, Marietti 1993) e J. Komonchak, La lotta per il Concilio durante la preparazione, in A. Melloni (a cura di) Storia del concilio Vaticano II. Il cattolicesimo verso una nuova stagione : l'annuncio e la preparazione : gennaio 1959-settembre 1962 (vol I), Bologna,

179 difendere la vita e l’onore della Patria»1016

. Il lettore, dopo essersi definito «ligio ai dettami della Chiesa»1017 invitava il sacerdote a dare seguito al suo insegnamento, andando «in caso di guerra al posto d’onore in prima linea a fare Lei quello che Lei ora insegna agli altri». Altrimenti la solidarietà agli obiettori di coscienza era ampiamente giustificata «perché sono cinquant’anni che gli Eroi dell’armiamoci e partite continuano con le loro guerre a massacrare il Popolo Cristiano». Questa silente formazione di mondi cattolici che partendo da antitetiche considerazioni sul rapporto tra responsabilità personale e guerra moderna valutavano diversamente l’obiezione di coscienza cominciò a manifestarsi in occasione della proiezione del film di Autant Lara. La cosa divenne visivamente evidente: era sufficiente guardare l’elenco dei giornalisti premiati da La Pira per aver difeso la libertà di espressione per accorgersi della contrapposizione a Palazzo Vecchio tra la presenza del direttore de «L’Avvenire d’Italia» e l’assenza di quello de «L’Osservatore Romano». Anche la messa in suffragio dei militari italiani morti a Kindu, celebrata dall’arcivescovo di Firenze nella stessa ora della proiezione del film, apparve ad alcuni commentatori dell’epoca una contrapposizione tra due comunità e così venne talvolta costruita giornalisticamente con la pubblicazione delle due notizie una accanto all’altra1018

. La separazione repentina che attraversò il mondo cattolico in genere e, in particolare, quello fiorentino, fu ancora contenuta, ma già lasciava intravedere linee di divisione che si sarebbero riproposte in maniera sempre più marcata quando l’obiezione di coscienza avrebbe assunto un richiamo evangelico sempre più spiccato. Intanto l’emersione di due schieramenti contrapposti, attorno al principio dell’obiezione di coscienza, rivelava la presenza due aspetti nuovi. Da un lato gli interventi delle tradizionali autorità in materia, come padre Antonio Messineo, che ripropose le proprie teorie su «Il Quotidiano» dell’Azione Cattolica, cominciavano a perdere il carattere di riferimento incontestabile1019, e ad apparire voce tra le voci, paladini di una fazione1020 di teologi più paludati, ai quali andava ricordato che i cattolici «non sono più quelli del tempo di Bousset»1021. In secondo luogo emergeva una nuova generazione di cattolici che sull’obiezione di coscienza prendeva posizione, come i 36 studenti e assistenti cattolici dell’Università di Pisa che riconoscevano in una lettera aperta «la nonviolenza e l’opposizione alla coscrizione obbligatoria (…) parte del patrimonio ideologico e morale del movimento cattolico e democratico in Italia fin dai suoi inizi». Questi

1016 «L’Osservatore della Domenica», n.50, 14 dicembre 1958. 1017

«L’Osservatore della Domenica», n.4, 25 gennaio 1959.

1018 Che tale fosse la percezione emerge anche da alcuni dei telegrammi di rifiuto ricevuti da La Pira nei quali veniva giustifica l’assenza, in maniera più o meno polemica, con la contemporaneità tra i due eventi (Cfr. F.Fabbrini, Tu non

ucciderai, pp.36 e ss). Nel suo libro lo stesso Fabbrini interpretò e la scelta dell’orario della messa come interferenza

volontaria della curia arcivescovile nei confronti della proiezione poiché si pensava «che il film insultasse i caduti per il semplice fatto che esaltava gli obiettori di coscienza» (Ivi, p.21). Più recentemente la storica Bruna Bocchini Camaiani, analizzando i passi dell’omelia di Florit rilevava come in esso affiorasse una presa di distanza dall'iniziativa lapiriana B. Bocchini Camaiani, Il dibattito sull’obiezione di coscienza : il "laboratorio" fiorentino 1961-1966, cit., p. 256.

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«Il Quotidiano», 19-11-1961. Messineo interpretò il film come attacco contro la Chiesa e la religione, ma approfittò dell’occasione per ribadire la propria posizione sull’obiezione di coscienza per cui i motivi soggettivi dovevano restare confinati all’ambito privato e cedere il passo «all’obiettiva prescrizione della legge per il mantenimento dell’ordine e il conseguimento del bene comune», altrimenti « l’ordine sociale le istituzioni, lo Stato cadrebbero in frantumi».. L’Azione cattolica dedicò alla vicenda anche uno spazio sulla sua rivista maschile «Noi uomini», concentrandosi sull’aspetto politico del film: «Se a pellicole come «Non uccidere» fosse data libera diffusione in Italia, ed in genere nel mondo occidentale, si potrebbe verificare che, già in partenza, il nostro schieramento difensivo (…), risultasse sgretolato alle sue basi, le quali, per noi spiritualisti, consistono più che altro, nella giusta interpretazione e nella coscienziosa esecuzione (anche a costo della vita nostra ed altrui) della superiore legge divina». («Noi uomini», 10 dicembre 1961).

1020 Di tenore opposto era il taglio morale dato alla vicenda, sulla base dell’interpretazione del Quinto Comandamento da «Il Nuovo Osservatore»: «La censura, che è anche pronta a chiudere un occhio quando si tratta di trasgressioni a carattere sessuologico, è attentissima quando si tratta di mettere in discussione l’uccidere comandato. L’ordine ne verrebbe turbato e gli eserciti potrebbero chiedere spiegazione per tanti dubbi di coscienza.(…) Problemi morali di così alto significato hanno altri interlocutori e le autorità li conoscono per sentito dire. Il timore incomincia quando problemi di coscienza sul non uccidere sono proposti alle masse» («Il Nuovo Osservatore», 25-11-1961).

1021

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caratteri sarebbero riapparsi amplificati appena un anno più tardi quando un giovane «chiamato presso il magazzino vestiario ove era in corso la vestizione delle reclute» presso il C.A.R. di Pistoia dove era stato aggregato al 2° battaglione dell’84° reggimento di fanteria, rifiutava «di prendere in consegna e di indossare la divisa militare»1022 adducendo come motivazione la propria fede cattolica.

1. Il primo

Sono il primo ad arrivare la mattina dell’11 gennaio davanti al Tribunale Militare di Firenze dove si svolgerà il processo a carico dell’obiettore di coscienza cattolico Giuseppe Gozzini: appena superate le mura cinquecentesche del Sangallo che formano gli spalti della Fortezza da Basso adibita a carcere militare, accanto all’ingresso principale sorge il modesto edificio, con un frontone senza pretese, dalle linee classiche ma con le dimensioni di un teatrino di provincia. Oltre a me ci sono già due carabinieri in alta uniforme e due guardie di P.S. che vanno su e giù, parlando, fra le altre cose, anche del processo. Uno chiede se l’imputato «è quello che legge sempre la Bibbia». Un altro risponde che «questa volta è un cristiano, non un testimone di Geova». Cominciano ad arrivare gli amici di Gozzini da diverse parti d’Italia; studenti da Milano, giovani dei campi di lavoro del servizio civile da Roma e da altrove. Poi arriva Capitini con un gruppo di non-violenti e Piero Pinna che nel 1949 ha aperto la lista degli obiettori di questo dopoguerra e che è stato allora protagonista con il suo difensore On. Calosso di un vivacissimo processo; poi ancora un altro gruppo formato da preti fra i quali Don Borghi, anche lui a suo tempo processato con gli operai della “Galileo” – e da seminaristi. Infine giungono gli avvocati difensori e l’altro testimone, il salesiano don Germano Proverbio. E’ ora d’entrare nell’aula che nel frattempo si va riempiendo (…). L’imputato, Gozzini, se ne sta in un angolo infagottato in una tuta blu, la cintura slacciata1023.

La scena raffigurata da Valerio Ochetto nel reportage che «Il Mondo» dedicò al processo di Gozzini, riportava le lancette all’epoca dei servizi dedicati a Pietro Pinna. Simile era l’eco sulla stampa, simile la calda partecipazione della gente. L’occhio che indugia sulla composizione della folla che stipa il recinto del tribunale restituisce una realtà mutata: il gruppo dei nonviolenti, tra cui figurano anche alcuni dei protagonisti di allora, è circondato da studenti, militari e soprattutto dalle tonache di preti e seminaristi. Un paese variegato, ma graniticamente solidale con l’obiettore pulsa nel vivace racconto di Ochetto: «quasi tutti, militari compresi, parteggiano per l’imputato». Questo paese applaude alle parole di Gozzini, si riconosce nelle battute in toscano di un giovane prete, urtato dall’insistenza con cui il Presidente rivolge domande all’imputato, si ritrova unito a Palazzo Vecchio, nell’intervallo tra seduta mattutina e pomeridiana, dove il sindaco La Pira aveva accolto difensori, testimoni e pubblico. Gli steccati tradizionali di questa folla si ricompongono soltanto a pranzo: «i vegetariani stretti come Capitini, i cattolici che “mangiano di magro”, essendo venerdì e giornalisti e spettatori che divorano costate alla fiorentina e fagioli all’uccelletto».

Per comprendere appieno il significato di rottura dell’obiezione di Giuseppe Gozzini mi pare sia necessario affiancare l’affresco del pubblico intervenuto al processo col dato biografico dell’obiettore. Sono almeno tre gli aspetti da tenere presenti. In primo luogo la decisione di Gozzini aveva alla base una fede profonda, richiamata immediatamente nella sua lettera memoriale indirizzata agli amici dal carcere, e da questi ciclostilata e diffusa in centinaia di copie: «Il 12 novembre ho rifiutato di indossare la divisa militare perché il servizio militare contrasta con la mia coscienza di cattolico»1024. La spiritualità di Gozzini può essere scomposta lungo tre direzioni da lui

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Dalla sentenza del tribunale militare di Firenze dell’11 gennaio 1963 nei confronti di Giuseppe Gozzini in F.Fabbrini, Tu non ucciderai, p.63.

1023 V. Ochetto, Un cattolico davanti al tribunale militare, «Il Mondo», 29 gennaio 1963.

1024 Lettera dal carcere di Giuseppe Gozzini in G. Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore (a cura di P.Scaramucci e L.Gozzini), Edizioni dell’asino, 2014, pp.87-90.

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stesso indicate nella lettera. Innanzitutto egli poneva alla base di essa la sua personale concezione antropologica mutuata dal vangelo «dell’uomo figlio di Dio e dei rapporti degli uomini tutti fratelli in Cristo». Inoltre egli intendeva l’obiezione di coscienza come «vocazione alla santità» e come tale prettamente personale, priva di qualsiasi valenza universale, poiché maturata «durante lunghi anni a vivere il più integralmente possibile quella nonviolenza evangelica fondata sulla legge nuova che mi comanda di “amare il prossimo come me stesso” e che si realizza, nel rifiuto della “violenza connaturale all’uomo”, come se la natura non potesse essere redenta dalla Grazia»1025

. Ai giudici replicò questa posizione asserendo di non voler stabilire con la sua obiezione «un aperto contrasto tra il professarsi cattolici e l’uso delle armi», ma di intendere il proprio atto come «vocazione che avrei senza dubbio tradito accettando di prestare il servizio militare». Infine la decisione di Gozzini non era la semplice risultante di una maturazione personale della propria coscienza, ma era correlata con un contesto ecclesiale ben definito, al quale egli rivendicava di appartenere. L’obiezione di Gozzini intesa come atto di fede non aveva una valenza solo evangelica o intima, ma anche comunitaria. «La Chiesa mi insegna che il Vangelo non è un sistema di tipo teorico, un codice morale, ma è la Parola rivelata e il Cristo non è un personaggio storico o un grande filosofo, ma la