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L’Obiezione miracolata

3. Una voce nuova La Chiesa valdese

5.3. Stato, Parlamento e censura

«Aiutatemi con la preghiera» aveva chiosato, con bonaria ironia, La Pira al parterre di San Gallo. «Chi è credente preghi per me e chi non è credente preghi lo stesso, perché le grane non mancano». A proiezione conclusa, le grane furono celeri. Scelba emise immediatamente una circolare diretta agli organi esecutivi in cui sollecitava l’applicazione degli articoli 668 (relativo alla proiezione pubblica di una pellicola non sottoposta alla revisione dell’autorità) e 266 (istigazione dei militari a disobbedire alle leggi) del codice penale e delle norme della legge di P.S. Il primo Consiglio dei Ministri utile, attraverso un comunicato ministeriale sollecitato da Andreotti e dallo stesso Scelba, diede il proprio sostegno alle misure prese, manifestando «l’esigenza che le norme di leggi in materia di pubblici spettacoli siano rigorosamente osservate»959. Oltre a sconfessare pubblicamente l’operato di La Pira, si voleva arginare l’emulazione di altri sindaci che «mettendosi al di sopra della legge e della morale comune», provocassero nuovi imbarazzi al governo. L’ostentazione di decisionismo aveva una valenza più deterrente che pratica: come aveva evidenziato su «Politica» Giovan Battista Cavallaro il centro-sinistra «passava anche attraverso il cinema e il “non uccidere”»960

. Un uso bulimico delle questure e prefetture avrebbe estenuato le divisioni interne e allontanato le prospettive di un’apertura a sinistra. Si era di fronte a un’Italia diversa, nella quale, anche tra gli stati moderati, la censura e i provvedimenti scelbiani che avevano caratterizzato la difficile transizione degli anni Cinquanta, apparivano anacronistici e poco forieri di consenso e per questo nei fatti “spuntati”, come dimostrò una nuova visione privata, non impedita, organizzata per magistrati, avvocati e costituzionalisti961. Più rappresentativi dell’imbarazzo in cui la Dc si trovava furono le contraddittorie parole del ministro Folchi davanti ai giornalisti: la circolare andava intesa come un semplice richiamo ad applicare le norme che regolano la materia delle proiezioni pubbliche e private, dando un’interpretazione uniforme; se altri sindaci avessero seguito l’esempio di La Pira, « a cui tutti vogliamo bene» si sarebbe visto l’apprezzamento che ne avesse fatto la Pubblica Sicurezza ed, eventualmente il magistrato962.

A partire dalla proiezione fiorentina, la vicenda del film seguì due percorsi. Da un lato vi fu la coda processuale che coinvolse il sindaco di Firenze e si intrecciò con il ricorso alla commissione di appello della Zebra film, società distributrice della pellicola963. Il perentorio telegramma di

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Fu lo stesso regista a ricordare queste parole rivoltegli del sindaco fiorentino C. Autant-Lara, Niente guerra, «Il Ponte» n.2 febbraio 1962, pp.159 e ss).

959 «La Stampa», 23-11-1961. L’articolo 266 statuiva in particolare che il reato si riteneva avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso: col mezzo della stampa, o con altro mezzo di propaganda; in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone; in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata».

960 G. B. Cavallaro, La censura non può uccidere i problemi, in «Politica», 1 dicembre 1961. 961

Era d’altronde impensabile un intervento della questura di fronte al presidente della prima sezione civile del tribunale di Roma, Elia, al sostituto procuratore generale della Cassazione, Scardia, al presidente di sezione del tribunale penale, Gianlombardo, al professor Niccolò e al titolare della cattedra di diritto costituzionale nell'ateneo romano, Gismondi, avrebbe generato un ulteriore cancan ancor più difficile da gestire. In quell’occasione, al termine della riunione i convenuti, discutendo sul tema proposto dal regista, si trovarono unanimi nel rilevare che non vi fossero gli estremi dell'apologia di reato, comunque di competenza della magistratura. L’episodio venne raccontato dal socialista Jacometti. AP Camera, seduta 4 aprile 1962, p.28652.

962 F. Fabbrini, Tu non ucciderai, cit. p.24. 963

Nel ricorso la motivazione veniva presentata come illegittima sia perché «manifestare o no le proprie simpatie verso l’obiettore di coscienza (…) non significa fare l’apologia di reato», sia perché «la valutazione morale della situazione dell’obiettore» era del tutto marginale nel quadro del film il quale « si risolve in una affermazione dei fondamentali valori morali dell’uomo e nella negazione delle forze brute che negano le guerre». Il ricorso è riportato in R. Curti- A. Di Rocco, Visioni proibite, cit., p.382).

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Andreotti, alludendo all’illegalità della proiezione, formulava «una precisa denuncia»964

che un cittadino romano, Giorgio Lai concretizzò in un esposto. Il giudice istruttore Corrado Di Biase aprì un procedimento penale contro La Pira sia per violazione delle norme relative alla proiezione pubblica delle pellicola cinematografica965, sia per apologia di reato e istigazione. L’iter processuale966 ebbe la sua svolta il 24 febbraio 1962 quando il giudice istruttore rinviò a giudizio La Pira, ma solo sulla base del primo capo di imputazione. L’incriminazione così formulata dava di fatto legittimità di circolazione al film, come rilevò il socialista Busoni in una interrogazione al ministro dello Spettacolo967. La caduta dell’apologia di reato era un’acquisizione di cui Ergas si sarebbe potuto avvalere di fronte alla commissione di seconda istanza, se Folchi non avesse decise di procrastinare la convocazione al verdetto definitivo. La situazione era destinata a prolungarsi indefinitamente: il giudice istruttore ritenne fondata l’eccezione di costituzionalità sollevata dall’avvocato difensore sulla base del contrasto tra la legge della censura e l’articolo 21 della Costituzione e tra il concetto di riunione pubblica adottato dal regolamento di polizia e l’articolo 17. Moris Ergas e Autant Lara decisero di ripresentare una versione sensibilmente modificata in modo che l’iter potesse riprendere dalla Commissione di primo grado che l’avrebbe valutata come nuovo film968.

Accanto al processo istruito contro La Pira, Non uccidere accompagnò anche la definizione della nuova legge sulla censura in Parlamento, insinuandosi tra i nuovi equilibri politici che si andavano assestando. In un clima già surriscaldato dalla mobilitazione di registi, produttori, intellettuali e parlamentari per i tagli e le attese a cui erano sottoposti i film che trattavano questioni politicamente sensibili, il mancato nulla osta del film di Autant Lara fece della presentazione di un’ulteriore proroga (la decima) dell’impopolare legge sulla censura cinematografica, un casus belli. Nei piani governativi l’ennesima richiesta non si sarebbe dovuta verificare. In occasione della discussione sul bilancio del Ministero, Folchi aveva affermato che il Governo non aveva la più «lontana intenzione di chiedere una nuova proroga». Ma il provvedimento approvato al Senato che prendeva il nome dal parlamentare Zotta, seguitando a concedere al giudizio della commissione un’alta discrezionalità, era satato approvato con i soli voti della Democrazia cristiana e delle destre monarchica e fascista, maggioranza antitetica all’orientamento perseguito dal monocolore delle «convergenze parallele». Il progetto era stato congelato e, provvisoriamente era stata riesumata una proroga della legge in vigore. Il dibattito solitamente piuttosto rapido e procedurale in occasione delle proroghe precedenti occupò tre sedute alla Camera e una al Senato969, proprio nei giorni in cui si svolgeva il primo interrogatorio di La Pira. Il fronte che aveva avversato il progetto Zotta si ritrovò nuovamente compatto nel richiedere un ritiro della disposizione. Il caso di Non uccidere era l’esempio dell’improponibilità della legge del 1923 rispetto allo «sviluppo artistico e culturale del nostro cinema» (Matteotti)970. Diventava semmai preferibile una vacatio legis che affidasse in toto

964 «Il Mondo», 28 novembre 1961.

965 Oltre al già citato articolo 668 del Codice penale veniva contestata al sindaco la violazione dell’articolo 68 del Testo Unico di pubblica sicurezza collegato all’articolo 118 del regolamento di polizia (mancata licenza del questore per evento in luogo pubblico).

966 L’iter processuale fu rapido: Il 12 dicembre Non uccidere venne proiettato in versione privata giudiziaria al cinema Odeon davanti al giudice istruttore De Blase, al sostituto procuratore della Repubblica Ciampi, al procuratore generale Sica, al consigliere istruttore Alessandri e ufficiali di polizia giudiziaria. Due giorni dopo La Pira veniva interrogato. Il 4 gennaio si presentarono davanti al giudice istruttore Di Biase, Ergas e Autant Lara che avevano chiesto un colloquio col magistrato per avere una valutazione sulla presunzione di reato nel film, uscendone confortati (Autant-Lara

fiducioso dopo l’incpontro col giudice, «La Stampa» 5-1-1962).

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Cfr. Per «Non uccidere» presto il nulla-osta, «Il Giorno», 28 -2-1962.

968 Le modificazioni si trovano in R. Curti- A. Di Rocco, Visioni proibite, cit., p. 384. 969Ap, Camera, sedute 13-14-15 dicembre 1961; Senato, seduta 16 dicembre 1961.

970 AP, Camera, seduta 14 dicembre 1961, p. 26938. Ma simili concetti erano stati espressi in altri interventi e in particolar modo nella relazione del socialista Paolicchi (Ivi, seduta 15 dicembre 1961, pp. 27041 e ss).

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«alla magistratura il compito di intervenire là dove ravvisi gli estremi di un reato»971(Liberatore). Persino il Partito Liberale fece mancare il suo sostegno alla proroga, pur se portando motivazioni antitetiche rispetto alla sinistra socialista o comunista. Riprendendo un pensiero espresso da alcuni intellettuali come Buzzati, Barzini vedeva in Non uccidere l’esempio degli effetti perversi della censura che aveva fornito pubblicità gratuita al film e «alla confusione di varie idee contraddittorie» contenute: «se il film fosse stato distribuito pacificamente come uno dei tanti film che arrivano nei cinema ogni settimana, credo che esso avrebbe suscitato qualche piccola polemica fra nazionalisti e antinazionalisti, fra militaristi e antimilitaristi (se questa gente esiste ancora nel mondo di oggi), e quindi sarebbe passato immediatamente nel dimenticatoio»972. Al momento di votare il provvedimento la Democrazia cristiana, si trovò di nuovo accomunata alle sole destre: la riduzione della proroga a quattro mesi rispetto ai canonici sei, ma ebbe come unico effetto l’astensione del Pli per l’atto di buona volontà.

La concessione del nulla osta al film e la definizione della legge passarono in eredità al primo governo di centrosinistra inaugurato nel febbraio del 1962, con la presenza di repubblicani e socialdemocratici, e l’astensione dei socialisti. La legge Zotta giunse in Parlamento ad aprile sensibilmente modificata ed emendata dallo stesso Folchi. Anche in questo caso Tu ne tueras point fu un attore importante nel dibattito. Pochi giorni prima Ergas aveva ripresentato alla prima commissione la sceneggiatura modificata. Folchi durante il suo intervento alla Camera sottolineò con una battuta la connessione stabilitasi tra la legge sulla censura e le polemiche legate al film «caratterizzate da un vigore ed un interesse tali da indurmi, in un certo momento , a pensare se noi fossimo per avventura qui, non già per fare una legge valida per tutti, erga omnes, ma piuttosto per fare due leggi: una valida per Ergas e l'altra per omnes»973.

Rispetto alla precedente discussione il clima era tuttavia diverso. Oltre all’ottimismo che circolava sulla stampa attorno all’imminente giudizio positivo sulla sceneggiatura ripresentata, la nuova legge, pur se lasciava in piedi la censura preventiva, aveva un’impronta più liberale e recepiva almeno in parte lo spirito del nuovo governo, cancellandola per gli spettacoli teatrali e limitando gli interventi “esclusivamente” al “buon costume” per quelli cinematografici. Negli interventi la pellicola di Autant Lara transitò di campo, venendo assunta come paradigma dalle parti avverse alle aperture della nuova legge, la destra missina in primo luogo, ma anche quella monarchica e democristiana. Tu ne tueras point divenne l’esempio su cui si fissò il confine da dare al concetto di «buon costume»: se cioè si dovesse rinviare alla chiara concezione penalistica che lo limitava all’ambito sessuale («nel film appare una sola donna ed è una madre, e non può bastare per essere appiglio di sorta per difendere il buon costume. (…) Non si vedono gambe, non ci sono scene erotiche» affermò Lajolo) 974. Oppure se dovesse comprendere i “boni mores”, i «valori essenziali che formano parte integrante della nostra concezione di vita, della nostra morale fondamentale, della nostra tradizione cristiana, della nostra coscienza di italiani» come affermò il democristiano Lucifredi nella sua dichiarazione di voto, facendovi implicitamente rientrare «le offese alla moralità pubblica, al sentimento religioso, al culto della patria» contenute in un emendamento esplicativo del missino Calabrò975. Similmente il democristiano Borin aveva in precedenza affermato che «l’osceno non involge soltanto la sfera sessuale. E’ osceno anche il tentativo di suggestionare lo spettatore e di convincerlo della inutilità del rispetto dei principi su cui riposa il nostro ordinamento. Il film Non

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Ivi, pp. 26991 e ss. Era la stessa direzione intrapresa dal progetto elaborato dai giuristi Galante Garrone, Peretti Griva e Berrutti e presentato dell’Intesa Nazionale per la Cultura nel febbraio 1961 nel quale si prevedeva l’abolizione delle misure amministrative preventive.

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Ivi, p.26968.

973 Ivi, seduta, 10 aprile 1962, p.28867. 974 Ivi, seduta 5 aprile 1962 p. 28636.

975 Ivi, seduta 11 aprile 1962, p.28937. Ritenendo che questi assunti fossero impliciti nell’interpretazione vigente di “buon costume” Lucifredi si dichiarava di fatto d’accordo con Calabrò, ma si smarcava dal voto dell’emendamento.

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uccidere incita chiaramente a disobbedire alle leggi e come tale va vietato»976. Folchi, cercando di mantenersi baricentrico tra le posizioni fornì una definizione tautologica («tutto il buon costume così come lo intese e lo volle l'Assemblea Costituente»977), rimandando agli organi preposti il compito di definirne i limiti.

L’Msi partecipò animatamente alla discussione, vedendo nella difesa della coscrizione obbligatoria e della censura l’occasione per dimostrare l’esistenza di un blocco sociale e culturale alternativo all’esperimento riformista del centro-sinistra che comprendeva la destra missina, monarchica e pezzi di quella democristiana. Tu ne tueras point evidenziava un collante di valori fondato da un lato nel richiamo alla patria e alla morale pubblica insidiate dalla decadenza dei costumi, dall’altro in un anticomunismo viscerale e fobico978

.«Onorevole Folchi, se ella sarà informato che il film è in programmazione regolare nelle sale pubbliche in Russia, conceda anche lei l'autorizzazione. Io non prendo mai sottogamba la Russia, e se le autorità russe non hanno concesso l'autorizzazione è perché ritengono che il film non può essere visto indiscriminatamente dalla gente comune» affermò il democristiano Terragni. La libertà di espressione artistica veniva presentata come segno di debolezza e decadenza poiché «pellicole oscene» come La dolce vita e Accattone mettevano in mostra «i nostri ragazzi di vita, (…) le nostre vite violente, (…) i nostri giovani dalla dolce vita, (…) la nostra Arialda, (…) i nostri accattoni, (…) i nostri bruciati verdi»979. Affiorava al tempo stesso una larvata ammirazione nei confronti del modello sovietico eretto in alcuni suoi aspetti a riferimento da imitare: l’esportazione di film all'estero andava invece assunta come questione di dignità nazionale980, sull’esempio sovietico i cui film potevano «veramente fare scuola»981 in quanto, affermò il monarchico Cuttitta, manifestazione di un’arte dello spettacolo spinta a «valorizzare tutto ciò che vi è di buono e di positivo, per educare il popolo russo al buon costume ed a sentimenti di amor di patria». Antitesi del film di Autant Lara veniva presentato, tanto dallo stesso Cuttitta che dal missino Tripodi La ballata del soldato di Chucraj uscito due anni prima nel quale l’eroe «non condivide un millimetro di personalità con i nostri obiettori di coscienza: quando 1'U.R.S .S. dichiara la guerra, anche se a dichiararla è il bestemmiatissimo Stalin, egli non va in montagna, non si fa partigiano, ma compie il suo dovere di combattente sino alla morte per la patria russa. E questa, laggiù, non è considerata retorica nazionalistica»982. Poiché i film sovietici veicolavano il valore del combattente, l’ attaccamento alla famiglia «e il sentimento del dovere del soldato che si accontenta di vedere la madre appena per cinque minuti, e poi parte verso la morte, in obbedienza alla disciplina militare» ogni richiesta di abolire la censura preventiva da parte del Pci andava vista come parte di un’azione militare, che, alla maniera di un cavallo di Troia, voleva «svirilizzare il popolo italiano, disabituarlo a i propri doveri, staccarlo dai sentimenti nazionali, dalla religione e dalla famiglia. (…) Vedremo il film Non uccidere. (…)I nostri giovani vedranno così esaltare la figura di un farabutto, di un vigliacco. Perché l'obiettore d i coscienza è

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Ivi seduta 5 aprile, p. 28689 In seguito Borin si dilungava ulteriormente sulle parti presenti nel film che giudicava dannose: «C'è il deliberato proposito di suscitare disprezzo verso il sacerdote e quindi di scardinare negli spettatori, con la fiducia nei ministri della Chiesa, i principi della fede. Come accade infatti all'obiettore che, ad un certo punto del processo, anche per l'intervento di un malaccorto prete operaio che dice un mucchio di corbellerie, abiura apertamente e chiaramente, in faccia ai giudici e sotto gli occhi dello spettatore, alla fede cattolica. Ma siamo o non siamo una nazione a maggioranza cattolica ? (…) Pur di far passare un film così sfacciatamente contrario al generale sentimento degli italiani, si finge di non accorgersi di quanto esso offenda proprio coloro che per la libertà sono morti, si sono sacrificati e hanno combattuto». Borin era stato tuttavia cofirmatario con Simonacci dell’unico progetto di legge democristiano presentato nel 1961 che aveva previsto la censura preventiva per il solo buon costume.

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Ivi, seduta 10 aprile 1962, p.28864.

978 Suu tentativi velleitari di fare di questo blocco sociale un blocco politico, condotti tanto dall’Msi quanto da componenti della destra cattolica cfr G.Panvini, Cattolici e violenza politica: l’altro album di famiglia del terrorismo

italiano, Padova, Marsilio, 2014 pp. 53 e ss.

979 AP, Camera, seduta 6 aprile, p.28803.

980 Ivi, seduta dell’11 aprile, p.28932. Intervento di Calabrò. 981 Ivi, seduta del 5 aprile 1962. p. 28744. Intervento di Cuttitta. 982

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prima di tutto un miserabile, il quale cerca di giustificare la propria viltà con teorie più o meno filosofiche»983.

Durante la discussione della legge, arrivò la notizia della concessione del nulla osta al film di Ergas. Sia dal Pci sia, soprattutto, dai missini la cosa venne intesa come una manovra del ministro rivolta ai socialisti per ottenere un voto favorevole alla legge984. La vicenda di Tu ne tueras point di fatto si chiudeva di fatto qui. Con l’approvazione della nuova legge sulla censura, la coda processuale che coinvolse La Pira divenne un’anacronistica pastoia che si trascinò avanti per altri due anni. Quando la Corte Costituzionale prese in considerazione il caso, non poté che limitarsi a restituire gli atti al giudice invitandolo a giudicare sulla base della nuova legge sopravvenuta. Il proscioglimento del sindaco fu una semplice formalità di cui la stampa quasi non si accorse. Al nome del sindaco di Firenze tanto il film di Autant Lara tanto i passi successivi compiuti dall’obiezione di coscienza rimanevano indissolubilmente legati985

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