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Pietro Pinna: radiografia di un caso

2. L’obiettore in Parlamento

Se la liberazione di Pinna costituì la prima simbolica conquista del gruppo pacifista ottenne, l’obiettivo a medio raggio era quello di aprire rapidamente nella legislazione italiana una breccia all’obiezione di coscienza, perché non ci fossero nuovi Pinna costretti a soffrire per i propri principi di coscienza.

I riflessi sull’attività parlamentare furono immediati. Non appena il gesto di Pinna risuonò al di fuori del carcere di Torino i deputati socialdemocratici Calosso, Bianca Bianchi, Benanni e Longhena, presentarono un’interrogazione al ministro della Difesa «per conoscere in base a quali orientamenti fosse stato espulso dalla scuola di allievo ufficiale di complemento e messo in prigione l’obiettore di coscienza soldato Pietro Pinna e se oltre ai motivi generali di origine cristiana e alla possibilità d’impiegare i coraggiosi obiettori di coscienza in utili servizi dove non si uccide ma si può essere uccisi si sia tenuto conto del principio tecnico (…) che i migliori eserciti sono quelli che non amano la guerra, nonché dell’esperienza secondo la quale i regimi dov’è ammessa la obiezione di coscienza di solito vincono le guerre»386. L’impronta di Calosso era evidente. Il deputato, già prima che il caso Pinna esplodesse, aveva manifestato privatamente a Capitini, la propria disponibilità «a fare qualcosa in merito» all’obiezione di coscienza, in sostituzione di Caporali che «disgraziatamente» non era stato rieletto387. Così, non appena l’obiezione del giovane ferrarese cominciò a circolare, Calosso si mosse388. Come già nel dibattito in Costituente e come avrebbe ripetuto in seguito ai giudici, il deputato lasciava da parte i principi ideali degli obiettori per incalzare gli interlocutori in campi a loro famigliari facendone «un problema cristiano e un problema militare di sostanza»389, attraverso quello che divenne un tenace leitmotiv: a vincere le guerre erano gli eserciti che «accolgono il principio dell’obiezione di coscienza (…), perché ammettere questo principio significa far sì che l’uomo giunga al combattimento attraverso una maturata decisione di coscienza, significa che il combattente è molto cittadino e niente affatto mercenario»390. Più che di accreditare una teoria che poteva avere molte falle, l’intento era quello di disorientare «i generali e i nazionalisti fedeli alla tradizione (…)» con un’impostazione «quasi militaristica»391 che metteva in luce, con l’evidenza statistica, l’inconsistenza dei timori sulla compromissione al sistema difensivo della nazione che un’approvazione avrebbe comportato.

382 P.Pinna, La mia obbiezione di coscienza, cit. p.42.

383 Lettera di Pietro Pinna ad Aldo Capitini, Ferrara, 12 gennaio 1949 in FC, b.1390. 384 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino 19/1/1950, Ivi b.75.

385

Lo stesso Pinna, ripercorrendo la propria vicenda riconosceva che fosse impossibile pretendere di più, da quelle circostanze P. Pinna, La mia obbiezione di coscienza, cit., p.44.

386 AP, Camera, seduta 18 luglio 1949, p.10557. 387

Lettera di Umberto Calosso ad Aldo Capitini, Roma 9 settembre 1948, in FC, Corrispondenza, b.601. 388 Lettera di Umberto Calosso ad Aldo Capitini, Roma 15 febbraio 1949, Ivi.

389 AP, Camera, seduta 18 luglio 1949, p.10558.

390 Parti dell’articolo sono riportati in «Cittadini del mondo», nn. 2-3, aprile-maggio 1949. 391

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La risposta del sottosegretario alla difesa Mario Rodinò giunse alcuni mesi dopo, in luglio. Fu estremamente evasiva, carattere che improntò tutti gli interventi governativi in proposito: ricostruiva per sommi capi la vicenda di Pietro Pinna e glissava sulla novità del fatto, trattandolo normale caso di applicazione della legge vigente per cui non avevano valore le questioni storiche e filosofiche392. «Il Ministro della Guerra ha dato una risposta semplicemente pietosa,» commentava Calosso in una lettera a Capitini. «Ha letto gli articoli del regolamento per dimostrare che… in Italia la coscrizione è obbligatoria!»393.

Calosso tornò nuovamente sul tema nella discussione dello Stato di previsione della spesa del Ministero della Difesa. L’articolato intervento, nel quale chiedeva un ridimensionamento degli effettivi dell’esercito in vista di una maggiore formazione dei militari, ripropose la questione dell’odc, rispondendo pubblicamente a un pensiero che il ministro Pacciardi gli aveva espresso privatamente: «l’obbiezione di coscienza va bene per gli americani e gli inglesi, abituati a vincere le guerre, ma non per gli italiani che vogliono imboscarsi»394. Nell’ «avvilire un popolo che si voleva esaltare» circolava in realtà «lo spirito di Caporetto, 1’8 settembre, il chiasso, la demagogia, quel perdere la testa che si manifesta quando i popoli sono deboli»:

Si è detto che, se noi ammettiamo gli obiettori di coscienza, tutti diventano tali. Ma questo scetticismo profondo verso un caso solo non è serio, è un atto di sfiducia verso il contadino e l’operaio italiani. I veri nemici d’Italia sono i teorici del patriottismo, i quali; in fondo, mai hanno compreso il proprio popolo. Dunque, si dice da più parti che se ammettiamo gli’ obiettori di coscienza, tutti diventano tali e, quindi, scappano tutti. Altri rispondono: ma perché affaticarsi su questioni del genere, quando basta scappare all’ultimo momento? (…) Ora, chi sente l’obiezione di coscienza, sente il proprio dovere in modo più chiaro e netto. Lo spirito di Caporetto e dell’8 settembre deve avere una reazione, che tenga su il morale. Quindi è pericoloso non avere obiettori di coscienza, se avete seguito quel che vi ho detto. Insomma, non avete nessun pericolo, mentre avete sempre il vantaggio di evitare la fuga generale dell’ultimo momento, quando, non avendo i capi dell’esercito provveduto a tempo, nascono quei determinati fenomeni395.

La risposta di Pacciardi, commilitone di Calosso in Spagna, fu assai sbrigativa e quasi sprezzante: «L‘onorevole Calosso mi permetta: dell’obiezione di coscienza parleremo un‘altra volta o, meglio, l’onorevole Calosso ne parlerà con un altro ministro, in momenti più calmi e un po’ meno agitati. Ogni tanto ella, amico Calosso, ha dei pallini: una volta era l’iniziativa femminile, adesso l‘obiezione di coscienza. Prima di introdurre di peso istituti e costumi - rispettabili - di altri popoli, occorrono molta prudenza e molta carità di patria. E in ogni caso io mi rifiuterei di portare nelle nostre Forze Armate altri germi di dissoluzione»396.

Calosso chiamò nuovamente in causa il Ministero della Difesa sulla «lealtà con cui si era svolto il processo Pinna», dopo i fatti di Napoli. Il sottosegretario Luigi Meda si limitò a rilevare la correttezza legale del processo, « svolto regolarmente, con l’osservanza di tutte le procedure». Il compito di accertare eventuali violazioni sarebbe comunque toccato al tribunale superiore di guerra- marina. Quanto al comportamento dell’avvocato difensore, Meda affermava di «non dovere né

392 AP, Camera, seduta 18 luglio 1949, p.10557. 393

Lettera di Umberto Calosso ad Aldo Capitini, Roma 28 luglio 1949, in AS, FC, b.601. Calosso aveva manifestato già in aula la propria indignazione al rappresentante del Ministero della Difesa, che egli appellava causticamente, secondo la vecchia dicitura, Ministero della Guerra: « Non solo non mi dichiaro soddisfatto, ma sono indignato, perché. non si è risposto affatto alla mia domanda! Anzitutto, l’onorevole sottosegretario di Stato mi dice del regolamento, mentre invece io ponevo un problema cristiano, e un problema militare di sostanza. Lasciamo pure andare il cristianesimo, onorevole sottosegretario: non pretendo ciò da un sottosegretario, sia pure democristiano...(…) Comunque, io avevo posto la questione in modo da venire incontro alla mentalità del Ministero della guerra! (…) Il problema tecnico- militare non potete trascurarlo! (Atti Parlamentari Camera, seduta 18 luglio 1949, p.10558).

394

G. Ferrieri, Il 30 agosto a Torino, processo contro Pietro Pinna, «Il Nuovo Corriere», 28 agosto 1949. 395 AP, Camera, seduta 26 settembre 1949, pp.11250-11254.

396 Ivi, seduta 27 settembre 1949, p.11289. «Disgraziatamente il mio vecchio amico Randolfo è stato catturato dai generali ed ha ormai raggiunto il grado di sergente maggiore effettivo,» commentava ironicamente Calosso in una missiva a Capitini (Roma, 1 ottobre 1949, in FC, b.601).

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potere giudicare il suo operato», dovendo questi svolgere il compito «indipendentemente da qualsiasi nostra influenza» e che comunque, «dai verbali del dibattimento, risulta che l’avvocato difensore ha svolto le ragioni a sostegno della tesi del suo cliente, assolvendo l’azione di difesa». «Sono soddisfattissimo di quel che non ho chiesto e su cui non desideravo essere informato», rispose caustico Calosso, spostando, anche in questo caso, il proprio mirino per disorientare l’interlocutore. «Sono soddisfatto della procedura, della legalità, ecc.. Ma ciò non mi interessa (…) Ricordo che oggetto di questa interrogazione non è la legalità, ma la lealtà morale». L’«imbroglio legale» commesso dalla magistratura partenopea non poteva essere ignorato dal Ministero della Difesa, perché nuoceva all’immagine stessa dell’esercito, alla maniera di un nuovo affare Dreyfus. «I benigni giudici militari presentarono al Pinna un loro avvocato. Pinna, che come me non è giurista e non ha alcun obbligo di esserlo (…) nobilmente fiducioso negli ufficiali effettivi dell’esercito italiano, (…) accettò. Io credo che si debba aver fiducia negli ufficiali effettivi, e lodo il Pinna. L’uomo che stimo di più al mondo, mio padre, era un ufficiale effettivo. Purtroppo, invece, gli ufficiali in cui il Pinna si fidò non meritavano questa fiducia. (…). Questo fatto è deleterio per l’esercito e io lo denuncio.(…) Lo scopo dei giudici era benigno. Lo scopo del loro imbroglio consisteva nel non far risuonare fuori il processo (…) e così poter dare poca prigione al Pinna. Buon cuore e imbroglio. Questi sono fatti che possono creare disastri morali nell’esercito397

».

Difficilmente Calosso avrebbe potuto avere soddisfazione. Quando la seconda interrogazione venne discussa, il governo aveva già espresso la linea alla quale si sarebbe attenuto, per bocca della sua massima carica. L’azione di sensibilizzazione della World Resistent International e di altri organismi pacifisti inglesi aveva mobilitato, attorno alla condanna di Pinna, alcuni fogli progressisti britannici che avevano dichiarato di valutare il caso come saggio della qualità della democrazia italiana398. Prima che il secondo processo Pinna venisse celebrato, diciotto parlamentari laburisti inglesi (due membri della Camera dei lords e sedici della Camera dei Comuni) avevano inoltrato una lettera al Presidente della Repubblica, al Capo del Governo e ai Presidenti di Camera e Senato, nella quale chiedevano una revisione del caso e la «completa liberazione dal carcere e da ulteriori obblighi militari»; inoltre ricordando gli esempi degli altri paesi nei quali l’odc era disciplinata, sollecitavano l’introduzione nella legislazione italiana di una clausola che la rionoscesse quale «ulteriore prova della tradizione di tolleranza e di libertà cui la nuova Italia partecipa con le nostre ed altre nazioni democratiche nel mondo»399. La risposta di De Gasperi datata 3 novembre fu indirizzata ad uno solo dei firmatari il Rev. Sorensen. La freddezza, la cortesia formale, la sfuggevolezza erano simili alle risposte governative ricevute da Calosso in Parlamento:

«Nella nostra legislazione non è contemplato il diritto della Odc così come non è contemplato in molte legislazioni democratiche. E’ attualmente all’esame della Camera dei deputati la proposta di legge del deputato Calosso che mira a introdurre con determinate cautele l’obiezione di coscienza nella legislazione italiana. Si tratta di istituti giuridici che possono essere introdotti solo con estrema cautela nelle Nazioni che hanno esercito permanente e servizio militare obbligatorio, affinché non siano snaturati nella loro essenza e nel loro fine (…) e non servano a sottrarre una parte di essi dal disimpegno dei loro doveri più duri. (…) Prima che una esenzione dall’obbligo militare o il suo adempimento in forme particolari sia previsto dalla legge, nessun cittadino può mettersi al di sopra della legge e il Presidente del Consiglio dei Ministri non ha alcun potere per intervenire».

A contrastare l’implicita accusa di debolezza democratica avanzata dai laburisti inglesi, De Gasperi ricordava il caso della Svizzera «che ha sette secoli di democrazia» e concludeva la sua lettera con parole piuttosto aspre verso Pinna: «Il giudice militare ha a mio avviso tenuto conto (…) di tutte le attenuanti. Per il reato di disobbedienza continuata al superiore ufficiale, reato che comporta in via normale pene gravissime fino all’ergastolo, il giudice ha inflitto al soldato Pinna

397 Atti Parlamentari Camera, seduta 30 novembre 1949, pp.14020-14022.

398 S.Telmon, Obiettori di coscienza non furbi mistificatori, «Giornale dell’Emilia», 6 Ottobre 1949. 399

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nove mesi di prigione con la condizionale, liberandolo immediatamente. Pinna ha continuato la sua illegale condotta e spetta ora alle autorità militari giudicarlo di nuovo»400.

La risposta del presidente del consiglio era in realtà piena di imprecisioni meritevoli di «un pepatissimo commento. Pensa,» scriveva Ceronetti a Capitini «che l’egregio Presidente ignora che Pinna è stato processato il 5 ottobre e parla di un “nuovo giudizio” a due mesi di distanza (l’appello vi accennava circostanziatamente: ciò significa che De Gasperi non l’ha neppure letto; ciò nonostante non si perita di rispondere); inoltre afferma che fu condannato la prima volta a nove mesi (quanti ne ha impiegati lui a venire al mondo) e che in Italia per casi siffatti, la legge contempla anche il carcere a vita! (La pena massima per il reato ascritto a Pinna è di anni tre) . E si fa paravento della legislazione svizzera. E’ assolutamente necessario precisare la verità, ad ammaestramento e scorno del nostro informatissimo Presidente del Consiglio»401. Il «pepatissimo commento», probabilmente scritto dallo stesso Ceronetti, comparve infatti su “L’Incontro” in calce alle parole di De Gasperi. «Come si può in buona fede essere così male informati?» era scritto in conclusione402.

La lettera di De Gasperi venne rilanciata anche dalla stampa inglese che aveva seguito la questione403. Sorensen, nella sua ultima risposta, contestò diverse asserzioni della lettera e auspicò quanto meno che la proposta di legge citata da De Gasperi, « fosse presa urgentemente in esame da parte della seconda Commissione Legislativa per la coordinazione con altre leggi e presentata alla Camera dei Deputati per un ulteriore esame, e ottenesse dal Capo del Governo tutto l’appoggio e le facilitazioni possibili»404.

Il disegno di legge a cui le lettere accennavano fu il fatto politico più importante che seguì l’obiezione di Pinna. Venne presentato da Calosso e da uno dei più lucidi e specchiati esponenti della sinistra democristiana, Igino Giordani. La proposta era molto restrittiva: come aveva ravvisato lo stesso Sorensen il progetto prevedeva «un trattamento degli odc assai meno generoso di quello vigente nelle corrispondenti leggi di altri paesi»405. I proponenti erano d’altro canto consapevoli che «le misure precauzionali peccavano per eccesso». La proposta era stata calibrata «per venire incontro alla novità della cosa in Italia e lasciarla in qualche modo allo stato sperimentale»406. L’obiettivo massimo che si poteva raggiungere, data l’estraneità del paese rispetto a un’istanza di questo tipo, era di permettere all’obiezione di coscienza di aprire una breccia nella legislazione italiana. Calosso aveva manifestato a Capitini tale proposito, sottolineando che proposte buone e ragionevoli inviategli da lui e da Pioli avrebbero trovato «un’immensa opposizione perché un’associazione di o.d.c. non esiste in Italia e sarebbe sospettosissima dai D.C». Un «progettino (…) molto conservatore» come quello che stava predisponendo avrebbe dovuto destare meno reazioni407.

Pur se non mancarono parole di riconoscenza verso i due deputati, il progetto era tuttavia troppo conservatore perché il gruppo che sosteneva il riconoscimento dell’o.d.c. o ancor più associazioni pacifiste internazionali come la Wri potessero accettarlo. La legge proposta presentava tratti manifestamente persecutori nei confronti degli obiettori di coscienza. Innanzitutto il compito di

400 Il governo e il caso Pinna, «Corriere d’Informazione», 18 novembre 1949. 401 Lettera di Guido Ceronetti ad Aldo Capitini, Torino, 21/11/1949 in AS, FC, b.686.

402 Infelice risposta di De Gasperi al Parlamento britannico,« L’Incontro», n.9 novembre 1949. Nell’articolo venivano precisati i rilievi espressi per lettera: l’esagerazione abnorme della pena in realtà prevista dal codice per disobbedienza continuata, l’errore sull’entità della condanna di Pinna e sulle attenuanti riconosciute,la falsa notizia della sua immediata scarcerazione, l’ignoranza di una nuova condanna.

403

Per esempio dallo «Star» cfr C. Guarino, L’obiezione di coscienza nel mondo, «Il Ponte», anno VII, 1951, p. 115. 404 G.Pioli, La rinunzia alla violenza, cit., pp.183-184.

405 Ibidem.

406 AP, Camera, Documenti, Proposta di legge n.801 annunziata il 3 Ottobre 1949. 407

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riconoscere la sincerità delle motivazioni era affidato al Tribunale Militare408, organo che gli stessi obiettori non riconoscevano, come rilevò Ezio Bartalini, voce storica del pacifismo di inizio secolo409. «Lasciar decidere a un consesso di generali, se un individuo può sottrarsi o no (…) al servizio militare, è come pretendere che un cannibale giudichi serenamente se l’esploratore bianco catturato dalla tribù debba o non debba essere divorato» commentò efficacemente Jemolo, ad un convegno sull’o.d.c. tenutosi un anno dopo410

. Anche l’affidamento a servizi non armati disposto all’articolo 2 non poteva soddisfare gli obiettori di coscienza che erano disposti a svolgere servizi di particolare gravezza o pericolo», ma chiedevano che fossero al di fuori dell’esercito e utili alla comunità411. «Ubbidire alla coscienza non è un delitto che richieda una punizione»412 rilevava Pioli in un volume sull’obiezione di coscienza pubblicato nel 1951, chiedendo almeno la sostituzione della frase “dove non si possa uccidere” con la formula “dove non si debba uccidere». Era inoltre privo di giustificazione il fatto che il mancato riconoscimento da parte dei giudici costituisse motivo di punizione di per sé, comportando la privazione del soldo e l’impiego nelle mansioni di «maggior gravezza e pericolo»413. «Non può essere una colpa che dei giudici non approvino i sentimenti morali di un giovane». La condanna di chi non era riconosciuto doveva essere semplicemente «quella di prestare il servizio»: solo un’eventuale ulteriore opposizione sarebbe dovuta essere sottoposta a giudizio. Veniva infine contestato il fatto che l’articolo 4 punisse ulteriormente frodi e corruzioni, reati già previste dal Codice Penale414. La legge così formulata instaurava un’anomalia giuridica sottoponendo un’intenzione di coscienza ad un processo penale. Capitini evidenziò a più riprese il rischio del cortocircuito che un simile dispositivo poteva generare, concedendo ai giudici militari una tale discrezionalità nel comminare pene severe, da poter persino aggravare la condizione degli obiettori rispetto alla situazione attuale415.

Alcuni detrattori avrebbero ripreso le questioni sollevate dai fautori dell’odc, per avvalorare la tesi opposta. Ad essere criticato era soprattutto l’impossibilità di qualsiasi tribunale di sindacare la coscienza. Il giurista e filosofo Felice Battaglia, che con Calosso animò una discussione cartacea sulle pagine dell’ «Idea», ne auspicava il respingimento, proprio per il fatto che «un tribunale e per di più…militare» non fosse adatto a «giudicare ciò che di più alto c’è nel mondo: il comportamento morale, la coscienza religiosa. (…) E gli uomini sono quel che sono, grossi, pesanti, i giudizi loro ardui e faticosi»416. L’argomento venne adoperato anche dalla destra irridente e nostalgica raccolta attorno a «Il Tempo» che aveva in Giovanni Ansaldo la penna più celebre417. Le sanzioni proposte da Calosso potevano essere anche funzionali in tempo di pace, ma in tempo di guerra «di sanzioni vere, atte a controbilanciare la tentazione di simulare, non ce ne potrebbe essere, che una: la morte. (…) Basta enunciare questa possibilità per vederne l’assurdo. Non si può comminare la pena di morte in una faccenda tutta di induzione psicologica. E se la coscienza, là in fondo, avesse parlato sul serio? Chi ci va a vedere?». L’impossibilità di giudicare la coscienza aveva tuttavia come

408 L’articolo 1 pomposamente recitava: «Gli obiettori di coscienza, i quali si ritengono obbligati per motivi morali o religiosi ad ubbidire assolutamente al precetto di non uccidere, se soggetti a obbligo di leva, potranno chiedere al Tribunale militare che sia riconosciuta la loro qualità di obiettori di coscienza, cioè a uomini che per carattere. Mentalità e abitudini di vita posseggono la dignità umana e il coraggio consoni alla loro non comune professione di fede». 409 Lettera ad Aldo Capitini, s.d. in FC, b.75.

410

G. De Chiara, Gli obiettori di coscienza a congresso, «L’Avanti», 31 Ottobre 1950.

411 Art.2 «Gli obiettori di coscienza riconosciuti verranno adibiti a servizi non armati, dove non si possa uccidere e dove si possa togliere altri uomini da impieghi di particolare gravezza o pericolo».

412 G.Pioli, La rinunzia alla violenza, cit p.186-187.

413 Art. 3 «Coloro che non saranno riconosciuti come obiettori di coscienza, verranno privati del loro soldo durante il servizio militare e adibiti agli impieghi di maggiore gravezza o pericolo».

414 Art. 4 «Coloro contro i quali sarà provato che con mezzi fraudolenti vogliono ingannare il tribunale, cercando di