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L’Obiezione miracolata

2. Protagonisti ai margini: i Testimoni di Geova

Nella pagina iniziale del reportage di Renzo Trionfera su «L’Europeo» campeggiavano due grandi foto in bianco e nero. La prima immortalava Pietro Pinna, ormai trentenne, seduto a tavola e la sorella Francesca nell’atto di porgergli il piatto. Nella seconda erano raffigurate la madre di Santi e la madre di Pietro Ferrua al convegno del 1950 alla Sala Capizucchi (Capizzutti nella didascalia dell’immagine). Se i numeri nel corso del decennio erano aumentati la rappresentazione dell’odc rimaneva tuttavia ferma al biennio 1949-1950. Anche se il livello di consapevolezza era decisamente aumentato, la situazione appariva, per certi versi, simile all’impegno per l’obiezione di coscienza condotto nell’immediato dopoguerra. La mobilitazione per l’istanza era nuovamente condotta esclusivamente da un mondo di intellettuali e giuristi che interpretava le concrete rivendicazioni degli obiettori, reali o potenziale, senza esserlo. «Tutto sommato, gli unici a

832 Lettera di Giacomo Rosapepe a Giovanni Pioli, Roma, 13 giugno 1957 in FC, b.75.

833 Ivi. Fenaltea aveva evidenziato diversi punti critici che non avrebbero facilitato l’approvazione. In particolare veniva discusso l’articolo 1 del progetto che estendeva le esenzioni «per ragioni di coscienza dal servizio militare» anche da attività collegate col medesimo. «Il servizio ospedaliero militare è o non è obiettabile?» chiedeva. «La panificazione, la sartoria militare vi rientrano? Capisco che l’obiettore integrale rifiuti tutto ciò che accompagna le unità combattenti: ma penso che si limitasse il riconoscimento legislativo (…) al vero e proprio maneggio delle armi, la proposta avrebbe maggiori possibilità di essere approvata». Capitini riteneva che «il servizio ospedaliero militare, la panificazione o la sartoria» fossero comunque «servizi o militarizzati o meschini» e che gli obiettori dovessero essere destinati ad «un corpo speciale organizzato per l’aiuto a popolazioni civili» (Lettera di Giacomo Rosapepe ad Aldo Capitini, Roma 19 luglio 1957 Ivi, b.75).

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Lettere di Giacomo Rosapepe ad Aldo Capitini, Roma 2 maggio 1957 in FC, Corrispondenza, b. 1460. 835 Lettera di Giacomo Rosapepe a Giovanni Pioli, Roma, 13 giugno 1957 Ivi, b.75.

836 Il numero è citato da Rosapepe. Lettera di Giacomo Rosapepe a Giovanni Pioli, Roma, 13 giugno 1957 cit.

837 Ap, Camera, Documenti, proposta di legge n.3080. E’ inoltre l’unico progetto di cui ci rimangano le tracce di una costruzione condivisa tra gruppo parlamentare proponente e movimento civile. Delle diverse stesure si ha una testimonianza in un giornale estremamente vicino al gruppo come «L’Incontro» che dando notizia della presentazione del progetto di legge, pubblicò una versione precedente (Alla Camera il progetto di legge per l’obiezione di coscienza, «L’Incontro», ottobre 1957).

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Oltre al già citato reportage de «L’Europeo», «Il Paese» ospitò nuovamente sulle sue pagine un ampio excursus di Capitini sul lavoro svolto sull’odc in Italia fin dalla Liberazione presentando la legge come una «precisa e coraggiosa conclusione» (A. Capitini, L’obiezione di coscienza, «Il Paese», 4 agosto 1957), mentre «Settimo Giorno» promosse la prima inchiesta tra la popolazione civile sul tema, riportando alcuni pareri raccolti per strada (17 agosto 1957).

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disinteressarsi di queste “faccende terrene” sono proprio i maggiori interessati Gli obiettori, cioè, per i quali è importante non l’uscire al più presto dal reclusorio, ma di mantenere integra e inviolata la propria coscienza» commentava Trionfera con una punta di sarcasmo. L’assenza di un corpo fisico, di una concreta esigenza morale che potesse essere proiettata nell’opinione pubblica era fortemente penalizzante per un’azione legislativa, che continuava a vedere apparire sulla stampa, vecchie foto, vecchie dichiarazioni, vecchie storie.

Rispetto al dopoguerra vi era al tempo stesso una differenza sostanziale: gli obiettori non erano assenti, ma nascosti. Nel convegno del 1956 Pioli, nella relazione scritta che aveva inviato, aveva potuto denunciare, retoricamente, «la congiura del silenzio» della stampa italiana e contrapporre la risonanza che le condanne degli obiettori raccoglievano in altri paesi in cui l’o.d.c. non era riconosciuta, come la Francia: «Chi si è accorto in Italia della condanna di Giuseppe Gazzotti, nello scorso marzo, a tre anni e due mesi di carcere, benché la sua salute fosse gravemente scossa?» domandava839. La proposta di sopperire alle carenze con un servizio di informazione più che una soluzione era una manifestazione dell’impotenza del pacifismo italiano nel dare rilevanza all’odc. I pacifisti potevano legittimamente affermare che gli obiettori di coscienza esistevano e la stampa li ignorava. Tuttavia non solo il contesto italiano non era più paragonabile con quello francese, dove l’obiezione di coscienza stava entrando nei travagli e conflitti di una società civile coinvolta nel dramma algerino, ma gli obiettori che si susseguivano nelle carceri, si distinguevano per caratteri assai peculiari che li rendevano molto diversi dal prototipo dell’attivista nonviolento o libertario. In una storia dell’obiezione di coscienza i testimoni di Geova rappresentazione la sua contraddizione esemplare tra teoria e prassi. Essi furono protagonisti assoluti nei tribunali e nelle carceri militari lungo gli anni Cinquanta. Dalla condanna dell’anarchico Barbani fino al 1962, a parte alcuni casi rari e isolati di pentecostali, come il trentino Felice Torghele o il calabrese Giuseppe Aronne, tutti i processi ad obiettori riguardarono testimoni di Geova. L’obiezione di coscienza, che il progetto di legge prendeva in considerazione assumeva nella prassi i contorni di una tutela nei confronti di una setta precisa. Le stesse questure indugiavano talvolta nell’identificare la particolare appartenenza religiosa col rifiuto del servizio militare840, fino ad utilizzare i due aspetti per dare forza a provvedimenti che ne vietassero le riunioni841.

Pur se protagonisti, i testimoni di Geova erano dei protagonisti ai margini. Vi era una sorta di reciproca incomunicabilità tra loro e la società civile. Aveva certamente una rilevanza il clima di intolleranza clericale particolarmente pesante nella parte centrale degli anni Cinquanta, ma ancor più forte era la tenace autoreferenzialità delle loro comunità. Le motivazioni addotte a favore dell’obiezione di coscienza erano così particolari da non poter essere assunte in nessun modo a modello di fronte all’opinione pubblica, mentre la loro fede li portava a rifiutare qualsiasi coinvolgimento nella mobilitazione per il conseguimento di un diritto, che pure li riguardava in prima persona. Quando dunque accadeva accidentalmente che la foto di un nuovo obiettore finisse in un rotocalco, il motivo non risiedeva nella possibilità di farne un “caso”, ma nello scoop che poteva venire dall’aver realizzato la foto dentro un tribunale militare dove «sono rigorosamente

839 Il testo dei progetti e degli appelli è reperibile nel libro di Giovanni Pioli Per l’abolizione della guerra, cit.

840La questura di Mantova, dando notizia della costituzione di un piccolo nucleo in città dell’organizzazione religiosa internazionale “testimoni di Geova”, rilevava che «i membri di detta organizzazione si proclamerebbero soldati dell’esercito di Cristo e verrebbero denominati anche “obbiettori di coscienza”» (Rapporto della Questura di Mantova, 5 Novembre 1951in ACS, Mi, Dps, “G Associazioni” b. 62, Testimoni di Geova).

841 Il Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza si trovò per esempio a dover esaminare un ricorso al Ministero dell’Interno del procuratore generale dell’associazione contro il divieto di riunione imposto dal questore di Pescara «di adunarsi e di tenere una conferenza in locali di spettacolo» motivato dal fatto che «l’associazione predica, fra l’altro, l’avversione al servizio militare obbligatorio». In un appunto rivolto al capo della polizia, la Sezione I della Divisione Affari Generali rilevava che il ricorrente, aveva « stricto iure, ragione», non essendo previsto, per riunioni in luogo aperto al pubblico obbligo di preavviso all’autorità (art. 17 Costituzione). Tuttavia si poteva trovare un motivo nel dichiarare le loro riunioni in un locale di pubblico spettacolo «pregiudizievoli all’ordine pubblico» nel fatto che «i “Testimoni di Geova” costituiscono una setta contro la Chiesa cattolica (definita “la grande meretrice”)» (Appunto della Direzione Generale della P.S., Divisione A.G. Sezione prima per S.E. il capo della polizia, Roma, 3 aprile 1951 Ivi).

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esclusi gli obiettivi»842. Nel caso di «Settimo Giorno» la didascalia contrapponeva significativamente il presidente generale Tonini al giovane, Giovanni Taddei, la «medaglia d’oro» del primo e il riconoscimento, «com’era logico», della semi infermità di mente al secondo. Anche quando le vicende dei Testimoni di Geova venivano raccontate, come nel caso del reportage di Trionfera, che dedicò ampio spazio ai casi di Nicola Florindo, Edmonte Luciani, Antonio Di Nardo, Guido Valeriani e Ignazio Teppati, ad essere messo in luce era solo l’aspetto pietoso del surplus di sofferenza in cui incorrevano a causa della loro suggestione: «I soggiorni in reclusorio superano di tre volte la ferma di leva. Basta questa constatazione, aggiunta al fatto che la detenzione non è sostitutiva del servizio militare, per far comprendere che si tratta di giovani esaltati, nei confronti dei quali infierire ulteriormente sarebbe del tutto inutile»843. Ne era condizionata anche l’interpretazione della legge, proposta come puro atto umanitario.

L’incomunicabilità non riguardava solo il rapporto con la società civile, ma in qualche modo anche quello tra i testimoni di Geova e i gruppi che si prodigavano a favore del riconoscimento dell’odc. Non nel senso che venisse meno una certa premura nei loro confronti. Pioli continuò a segnalare i loro nomi alla World Resisters International, permettendo che essi fossero destinatari di una campagna di solidarietà internazionale che si traduceva in lettere inviate da tutto il mondo. Fin dai primi anni Cinquanta Segre, che ne era diventato quasi il difensore ufficiale, dedicò ai testimoni di Geova un’ampia attenzione nel suo giornale, sia dando notizie dei processi e delle condanne, sia approfondendone il credo religioso844. Durante il convegno la condizione dei testimoni di Geova venne affrontata da più parti nella sua peculiarità: poiché essi si definivano società di Ministri dell’Evangelo, paragonandosi ai sacerdoti cattolici (e ai Leviti dell’antichità), venne valutata anche la possibilità di un intervento che li riconoscesse quali ministri di un culto ammesso845. Pur se auspicata, questa possibilità non venne inserita tra le azioni che il comitato avrebbe dovuto perseguire. Non sarebbe stata infatti che una toppa, che avrebbe liberato le carceri sul momento e fornito a una singola setta un escamotage, ma avrebbe impedito all’odc di muovere alcun passo in avanti nella coscienza del Paese: i ministri di culto appartenevano ad una categoria già dichiarata di “indisponibili” mentre l’accertamento dell’obiezione di coscienza si muoveva sul piano di una dichiarazione di nonviolenza846. L’inconciliabilità delle due esigenze era molto più profonda della ricerca di un meccanismo legislativo ed affondava la propria radice in una radicale interpretazione della propria militanza terrena. Quando Pinna negli anni Sessanta cercò una collaborazione con il testimone Leonardo Rutigliano per organizzare una pressione sul Parlamento per l’ottenimento di una legge, ricevette un rifiuto motivato dal fatto di non potersi interessare «agli affari della vita

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«Settimo giorno», n.34, agosto 1955. Va tuttavia segnalato che a partire dalla fine degli anni Cinquanta la rivista diede spesso spazio all’obiezione di coscienza, con servizi approfonditi e spesso inusuali, come, ad esempio, la già citata inchiesta sulla percezione dell’obiezione di coscienza nella popolazione.

843 Trionfera individuava in maniera alquanto bizzarra l’Internazionale dei Resistenti alla Guerra, come responsabile della “suggestione”: «Va osservato, d’altro canto, che spesso gli obiettori sono soltanto vittime dell’altrui suggestione (c’è chi è entrato a far parte dei “testimoni” in tenera età per opera di familiari) e della propaganda che soprattutto attraverso determinate sette religiose viene svolta dall’Internazionale dei Resistenti alla Guerra. Quest’organismo supernazionale, che ha propria sede centrale a Londra, dispone di cospicui mezzi, dirama bollettini in tutto il mondo, svolge continua opera di persuasione e penetrazione specialmente tra i giovani. I risultati di questa propaganda si sono fatti sentire soprattutto in questo dopoguerra imponendo a molti paesi in termini d’urgenza, la soluzione del problema finora rappresentato dagli obiettori.

844 Nel marzo del 1950 veniva ospitato un articolo di Edmondo Marcucci dal titolo I testimoni di Geova. («L’Incontro», n.3, marzo 1950 ). Nel 1951 compariva un articolo che metteva in relazione obiezione di coscienza con il credo religioso (Obiettori di coscienza due testimoni di Geova, «L’Incontro», n.10, Ottobre 195q). Nel numero successivo venivano ospitate alcune precisazioni del Testimone di Geova, Vittorio Paschetto, condannato a undici anni di reclusione da parte del regime fascista (di cui quattro scontati). («L’Incontro», n.11 ). Nel 1952 veniva pubblicata la storia di Remigio Cuminetti, obiettore di coscienza durante la prima guerra mondiale (V. Paschetto, Recupero della

storia di Remigio Cuminetti, n. 7-8, luglio-agosto 1952). Innumerevoli sono poi gli articoli, spesso trafiletti, in cui

veniva data notizia per sommi capi dei processi e delle condanne comminate dai tribunali militari. 845 La proposta era stata caldeggiata da Ceronetti.

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civile»847. Né i testimoni di Geova cercavano un servizio civile alternativo. Molti di loro lo avrebbero anzi rifiutato in quanto «compromesso di essere disponibili della propria persona al servizio della volontà di Dio».

Il differente rapporto con un engagement in rapporto alla rivendicazione dell’odc attingeva a un patrimonio valoriale irriducibilmente diverso. «Le voglio precisare che io non sono un obiettore di coscienza, ma un testimone di Geova (…). Perché il primo è basato solo sulla propria coscienza, mentre il secondo caso è basato sulla Sacra Bibbia, i cui principi sono molto più elevati»848 scriveva Timoncini al futuro obiettore cattolico Gozzini. L’attenzione dei gruppi che si adoperavano per dare uno statuto all’obiettore rimaneva limitata alla solidarietà umana e all’ammirazione che la loro coraggiosa sofferenza destava a prescindere «da qualsiasi considerazione sulla dottrina religiosa», al 849

massimo da un fascino sincretistico che poteva sorgere in alcune figure di fronte a un secolo giudicato «povero di movimenti spirituali» per una fede «talmente profonda» da investire «tutto l’essere umano sino a condurlo al sacrificio supremo» in nome dell’adesione al comandamento di Dio non uccidere850.

Le motivazioni portate dai Testimoni di Geova, molto simili nei vari giudizi, muovevano da una particolare visione escatologica del mondo. «Il peccato al cospetto di Dio»851 commesso dal vestire la divisa ruotava attorno a un’adesione profonda al comandamento cristiano dell’amore, comune a molte obiezioni religiose e spirituali. «Ho fatto ciò (…) perché la mia religione mi vieta di impugnare le armi per andare contro i miei simili – essendo io ministro di Dio, debbo solo a lui obbedienza»852 affermò Versari durante uno degli interrogatori. Similmente Antonio Di Nardo motivò la sua obiezione di coscienza con la fratellanza universale desunta dalle Scritture: « Per la Bibbia, non possiamo impugnare le armi contro alcuno. Noi trattiamo gli uomini come fratelli: unico nemico è il diavolo. Se io dovessi uccidere, mi farei piuttosto uccidere»853. E nella testimonianza rilasciata a favore del fratello Ennio, Tancredi Alfarano spiegò ai giudici militari che il servizio militare era un’infrazione alle leggi divine poiché « predichiamo l’amore per il prossimo e la pace universale e siamo contrari alla guerra e alla preparazione alla guerra»854. Questo aspetto si inseriva tuttavia in una dimensione teocratica e una lettura apocalittica del mondo che vedeva il servizio militare contrario «al servizio di Dio e di Cristo Gesù, (…) unico Re » per cui i testimoni di Geova non potevano servire contemporaneamente due padroni855 come spiegò Vittorio Paschetto a Marcucci. Aderendo ad un esercito nazionale avrebbero rinnegato la loro appartenenza ad un unico popolo, sottoposto al governo di Cristo: ai veri cristiani non era concesso uccidersi fra loro come invece fanno «i così detti cristiani del mondo divisi in centinaia di religioni e partiti». L’unica militanza possibile era nell’esercito di Cristo in occasione dell’Harmageddon, la grande battaglia che Gesù avrebbe combattuto contro Satana di cui era imminente il compimento. Le parole di

847 Lettera di Leonardo Rutigliano, Trinitapoli, 10.3.64 in Archivio del Movimento Nonviolento (da ora AMN), b.2, Corrispondenza 1965, fasc.3 . La decisione era motivata con il passo paolino della seconda lettera a Timoteo dove è scritto: «Prendi la tua parte di sofferenza da valoroso soldato di Cristo Gesù. Nessuno, datosi al servizio delle armi, s’interessa agli affari della vita civile, per poter rispondere a colui che lo ha arruolato». L’aiuto richiesto da Pinna era minimo: avere i nomi degli obiettori che si trovano in carcere «perché è l’elemento più concreto intorno a cui suscitare l’interesse vivo della gente». (Lettera di pietro pinna a Leonardo Rutigliano, Perugia 21 gennaio 1964, Ivi).

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M.Monicelli, La coscienza disarmata, «L’Europeo», 10 marzo 1966.

849 P. Pinna, I progetti di legge per l’obiezione di coscienza, «Azione nonviolenta», nn. 7-8, luglio-agosto 1969 850E.Marcucci, I testimoni di Geova, «L’Incontro», n.10, ottobre 1950.

851 Testimonianza di Umberto Diodoro presente nel ricorso al Tribunale Supremo di Roma dell’avv. Gaetano De Martini per il processo in FM, sc.11, fasc.1, b.4.

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Archivio di Stato di Torino, Tribunale Militare, 1945-1969, fasc. 6286.

853 R. Trionfera, Mancano all’Italia 44 soldati, «L’Europeo», n.617, 11 agosto 1957. La testimonianza è dell’avvocato di Di Nardo, Nicola Romualdi.

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Archivio di Stato di Torino, Tribunale Militare, 1945-1969, fasc. 9340.

855 Lettera di Vittorio Paschetto a Edmondo Marcucci , S. Secondo di Pinerolo 9 Ottobre 1952 in FM, sc.11, fasc.1, b.4. Marcucci , sicuramente la figura del gruppo capitiniano più interessata alla diverse testimonianze religiose, aveva richiesto informazioni ai testimoni di Geova Vittorio Paschetto e Aldo Fornerone sulle peculiarità dell’obiezione di coscienza delle loro comunità.

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fratellanza universale si affiancavano così alla giustificazione delle guerre bibliche o a un linguaggio figurato che adoperava metafore del mondo militare. L’espressione paolina del “soldato di Cristo” era ricorrente nelle testimonianze856

, espressione di una militanza senza armi «contro le forze spirituali della malvagità, combattute con opposte forze spirituali»857. I testimoni di Geova non avrebbero combattuto fisicamente nemmeno nell’Harmageddon finale, perché nessuna creatura carnale vi avrebbe preso parte, rimanendo una battaglia tra Dio e il demonio. Tuttavia questa componente marziale era sufficiente a portare alcuni testimoni di Geova come Sergio Versari a distinguere il suo «non potersi addestrare in armi micidiali» con l’atteggiamento pacifista, «perché desidero farvi notare che il nostro Capo Gesù Cristo non è un pacifista perché come prima ho accennato Egli fra poco combatterà assieme al suo padre Geova e nostro Dio una grande battaglia contro tutti i sistemi malvagi di questo mondo corrotto, distruggendo ogni governo malvagio». Anche quando l’interpretazione dell’Harmageddon non dava esiti così radicali, rimaneva uno scarto insuperabile tra “pacifismo nel senso comunemente inteso” e la fede dei testimoni di Geova «Certamente, sento molta simpatia per le persone che come lei sono pacifisti» scriveva Aldo Fornerone a Edmondo Marcucci. «Le persone che si adoperano per la pace hanno dei bei sentimenti, e una grande nobiltà di carattere», ma non gli uomini che vivono sotto questo mondo (Kosmos) o sistema di cose, avrebbero potuto «stabilire la pace sulla terra, malgrado tutte le loro buone volontà». Questo compito poteva spettare soltanto a «Geova Iddio» che mediante «il Suo Glorioso Re Cristo Gesù e il suo Regno (nel Nuovo Mondo)» avrebbe stabilito «la Pace perenne»858. Era dinque vano «entrare a far parte di qualsiasi istituzione di questo mondo che abbia lo scopo di perpetuare l’attuale ordine di cose, i cui dirigenti, in molti dei quali riconosciamo nobiltà di carattere, sincerità e buona fede, si illudono di poter stabilire da loro stessi e con mezzi propri la pace e la fratellanza»859 spiegava Vittorio Paschetto a Marcucci. Le guerre recenti assurgevano a prova incontrovertbile della vanità di ogni impegno umano860. Anzi, «poiché Jehovah ha promesso nella sua Parola di voler fondare un mondo totalmente nuovo (…) noi crederemo andare contro la sua volontà se ci adoperassimo a pro di un ordine di cose ch’Egli ha detto di voler distruggere»861

. I « servitori fedeli e leali dell’Onnipotente Iddio» potevano adoperarsi per la pace, solo «serbandola e praticandola fra di loro e nella sua organizzazione (I testimoni di Geova)», senza immischiarsi «negli affari del mondo (Politico-Religioso e Capitalista)» 862.

Purché non in contrasto con la legge di Dio, il rispetto per le norme statali era massimo e inaccettabile qualsiasi forma di opposizione o disobbedienza civile. «Lo Stato può imporci tutte le leggi, come quella di pagare le tasse, non imbrattare le strade e rispettare le norme della circolazione, ma non di uccidere. Uccidere è contro la legge di Dio» avrebbero detto ad un giornalista in pieno «Sessantotto» Michele Leone e Vittorio Cataldo poco prima del loro quinto processo863. Ma furono eventi rari, privi di sviluppi. Con la progressiva politicizzazione

856 Cfr R. Trionfera, Mancano all’Italia 44 soldati, «L’Europeo», n.617, 11 agosto 1957. 857

La testimonianza è di Ennio Alfarano in Archivio di Stato di Torino, Tribunale Militare, 1945-1969, fasc. 9340.