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GENESI E SVILUPPO DELLE SOCIETA’ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA

Le società̀ a partecipazione pubblica sono sempre state oggetto di particole interesse da parte del legislatore e, di conseguenza, della giurisprudenza e delle dottrina. Si possono annoverare, infatti, innumerevoli interventi in materia, da ultimi l’approvazione del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché́ misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario ( la c.d. spending review ) e della legge finanziaria per il 2014.

Il fenomeno dell’intervento pubblico in economia ha connotato, più o meno marcatamente, la storia di tutti i sistemi economici nazionali ed il successo di tale diffusione, almeno alle origini, deve essere individuato nella possibilità dell’azione degli stati moderni di incidere tanto sul piano dell’efficienza quanto su quello della distribuzione, potendo così occuparsi di quelle zone grigie in cui il mercato non è in grado di regolarsi da sé94.

Per meglio comprendere l’essenza dell’intervento pubblico in economia è necessario ripercorrerne brevemente lo sviluppo storico, focalizzando esclusivamente l’attenzione sulla trattazione delle dinamiche inerenti le società a partecipazione pubblica, oggetto del presente elaborato.

94 Cit. U. MATTEI, A. GALLARATI, S. PUGNO, A. ROSBOCH, I monopoli pubblici, i giudici della legge e la

Costituzione economica, in R. DI RAIMO e V. RICCIUTO ( a cura di ), Impresa pubblica ed intervento dello Stato nell'economia, Napoli, 2006, 20 e ss.

L’intervento pubblico ha mostrato, sin dalle origini, una notevole versatilità che gli ha permesso di avviare quel progressivo procedimento di estensione dell’ambito di intervento e di assunzione di forme giuridiche sempre più articolate.

Si è passati, infatti, da forme più semplici di organi dotati di parziale autonomia agli enti pubblici economici fino ad arrivare alle realtà ben più complesse delle società di capitali mano pubblica95.

Il fenomeno delle società̀ a partecipazione pubblica non ha origini risalenti nel tempo ed è pacificamente fatto discendere da tre principali cause storiche: l’avvento dello Stato imprenditore a partire dalla prima metà del secolo scorso; la privatizzazione formale di enti pubblici nel corso degli anni Novanta; l’esternalizzazione di attività̀ svolte da apparati amministrativi96.

Di queste, le prime due sono a carattere prettamente economico in quanto riconducibili all’articolato rapporto intercorrente tra Stato e iniziativa economica. Rapporto, questo, che ha condotto all’evoluzione dello Stato da liberista, concezione dell’800, a regolatore, concezione sincronica, passando per quella dello stato imprenditore; la terza, invece, si è manifestata in tempi più recenti in relazione all’esigenza di snellire e rendere più efficiente l’azione amministrativa, pertanto attiene più alla dimensione organizzativa delle funzioni amministrative che non a quella più generica di mercato.

Benché la concezione di Stato imprenditore, quale patrocinante dell’azione pubblica in economia, si sia diffusa nel nostro paese nell’arco temporale compreso tra gli anni

95 Cfr. E. CIANCI,, Nascita dello stato imprenditore in Italia, Milano, 1977, 87.

96 Cfr. G. DI GASPARE, Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e amministrazione,

in Amministrazione in cammino, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione a cura del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet”,4.

‘20 e la metà del secolo scorso, è comunque possibile ravvisare forme di intervento pubblico, seppur del tutto marginali, già in epoche precedenti.

Infatti, la prima impresa pubblica, la Cassa depositi e prestiti, nacque in qualità di grande banca del Ministero delle finanze nel 1863, ovvero in un’epoca

ispirata ai principi liberisti e, dunque, caratterizzata dall’assenza di una macchina statale di governo dell’economia97.

Nei decenni a cavallo dei sec. XIX-XX ( nel periodo della c.d. prima industrializzazione) si è potuto assistere a una notevole crescita dell’intervento statale connotata da caratteri inediti.

D’altronde, se nel modello liberista lo stato si limitava a definire la mera cornice giuridica per la realizzazione del libero mercato, invece in questo periodo cominciò a trasformarsi da semplice spettatore avulso dalle dinamiche di mercato, a protagonista dello stesso attraverso l’intervento diretto di gestione di imprese e di produzione di beni e servizi.

Si costituirono numerose imprese pubbliche essenzialmente in due settori fondamentali, ovvero, quello dei servizi pubblici, con particolare riguardo alle telecomunicazioni, e quello del credito .

E poiché il superamento del modello liberista venne improntato ad una progressiva sostituzione dei privati con l’impresa pubblica, non mancarono casi ( invero in pochi ) di sostituzione coatta dei privati con l’impresa pubblica in posizione di monopolio attraverso la tecnica delle concessioni98.

97 Cfr. S. CASSASE, La nuova costituzione economica, Bari, 2012, 11. 98 Cfr. G. DI GASPARE, op. cit., 6.

Tale crescita si è manifestata in due differenti direzioni, ovvero nella progressiva estensione degli ambiti di intervento statale che dai servizi pubblici e dal settore del credito ha convolto i settori più dispariti del mercato, e nell’affermarsi di una nuova entità organizzativa nello scenario dell’intervento statale, la neonata società a partecipazione pubblica statale.

Occorre anzitutto rilevare che, se si escludono pochi casi di acquisto diretto di azioni da parte dello stato ( al riguardo si possono segnalare pacchetti azionari di maggioranza nella società Südbahn e in Cogne-ROMSA, unitamente alla costituzione, con altri enti pubblici, dell’AGIP ), la partecipazione pubblica si rese necessaria e venne effettuata dallo Stato non direttamente, ma per mezzo di un ente pubblico all’uopo creato, l’IRI.

L’IRI nacque nel 1933 come ente provvisorio con il duplice compito di risolvere il problema del risanamento bancario e di procedere alla riorganizzazione delle partecipazioni nelle imprese che erano detenute dalle banche, e divenne poi, nel 1937, ente permanente finalizzato al conseguimento degli obiettivi di politica economica dello Stato consacrando, in tal modo, l’intervento tramite impresa pubblica a modello sistematico dell’attuazione del bene della collettività.

Dal fine per cui venne istituito mutuò la sua denominazione: Istituto per la Ricostruzione Industriale99.

Lo Stato assunse, dunque, la veste di azionista in società̀ di diritto comune.

Nel dettaglio, lo spettro della grande crisi del 1929 incombeva sul ( già debole100 )

sistema economico italiano traente la propria forza dal ruolo ibrido delle tre principali

banche dell’epoca: la Banca commerciale italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma.

Queste, infatti, rivestivano al contempo la duplice veste di finanziatrici delle più importanti realtà del settore industriale e di holding partecipative delle stesse101.

L’inusuale intreccio di ruoli finì inesorabilmente per esporle alla crisi su due fronti rischiando così di compromettere, a loro volta, la stabilità della Banca d’Italia.

Per risolvere la crisi ed evitare le drammatiche conseguenze che si ebbero negli U.S.A., l’IRI divenne coattivamente proprietario delle Banche e delle imprese controllate dalle stesse, trasformandosi in holding di controllo del sistema bancario e industriale italiano102.

La fase seguente, contrassegnata dall’esplicazione dello Stato del benessere, nel suo esordio vide da protagonista la neo promulgata Costituzione repubblicana, la quale, ben lungi dal prevedere disposizioni volte ad arginare il fenomeno, riuscì ad improntare un compromesso, tra le diverse anime dell’Assemblea Costituente, per giustificare lo sviluppo di una economia tendenzialmente mista.

L’intervento statale in economia è, infatti, un argomento particolarmente caro al costituente, come suffragato dagli stessi artt. 41103 e 43104 Cost., la cui previsione nella

Costituzione risponde ad esigenze ontologiche differenti.

100 A causa della crisi di conversione post bellica che travolse le principali imprese industriali portando al tracollo

le banche che ne possedevano pacchetti azionari di controllo, caso emblematico è la Banca di Sconto.

101 Cfr. L’IRI – Istituto per la Ricostruzione Industriale – una storia di quasi 70 anni. Dalle origini al dopoguerra: riorganizzare

il sistema industriale e bancario per superare la crisi ( 1933-1945 ) in www.archiviostoricoiri.it

102 Cfr. G. DI GASPARE, op. cit., 6.

103 Recitante: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in

modo recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata ecoordinata a fini sociali”.

104 Recitante: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione

e salvo indennizzo,allo Stata, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imoprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio

Se infatti è pacifico che siano stati adottati in ossequio all’idea di una “Costituzione presbite105”, dall’altro è innegabile che attraverso un riferimento generico all’iniziativa

economica pubblica attribuiscano un riconoscimento formale all’attività a carattere imprenditoriale svolta sino allora dallo stato e, più in generale, dai pubblici poteri. Inoltre, la riserva ab origine e il trasferimento mediante espropriazione salvo indennizzo, ex art. 43 Cost, non rappresentano i soli modi in cui lo stato può assumere la veste di imprenditore, ma quelli in cui l’assunzione comporta forme di coazione nei confronti dei privati.

Lo Stato, pertanto, può provvedere ad esercitare attività economiche nei modi più vari come l’acquisizione di imprese già esistenti con atti di diritto comune, quali acquisto d’azienda o di partecipazioni in società, oppure la costituzione ex novo di complessi aziendali.

Tali interventi, per quanto possano estendersi in concreto fino al caso limite dell’acquisto di tutte le imprese operanti in un certo settore, restano comunque ricompresi nell’ambito delle assunzioni singolari poiché non comportano, in nessun caso, l’esclusione del diritto di impresa dei privati.

La disciplina di queste ultime azioni pubbliche è assai più permissiva di quella prevista dall’art. 43 Cost. difatti, non rinvenendosi restrizioni poste alla tipologia di attività assumibili, non incontrane il limite dei servizi pubblici, fonti di energia o monopoli106.

Da ultimo occorre ricordare che il costituente non ha assoggettato la materia a riserva di legge, per cui è possibile provvedere all’assunzione dell’attività in via

ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

105 “ La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano, non essere miope” così scrisse Piero Calamandrei

in occasione della seduta del 4 marzo 1947 all’Assemblea Costituente.

amministrativa purché giustificata, al pari di ogni altra azione amministrativa, da uno specifico interesse pubblico.

Condizione, questa, invero superata nella realtà mediante l’autorizzazione delle assunzioni singolari direttamente con leggi.

In sostanza si può asserire che la Costituzione rappresenti il fulcro per lo sviluppo di un’economia mista.

Negli anni avvenire vennero istituiti due importanti enti nazionali, assunti ad esempio paradigmatico di tale sistema, ovvero l’Ente nazionale idrocarburi107 ( ENI istituito con

l. n. 163/1953 ), l’Ente nazionale per l’energia elettrica108 ( ENEL istituito con l.n.

1643/1962 ), ed infine l’ente partecipazione e finanziamenti industria manifatturiera ( EFIM istituito con l. n 1176/1964 ).

Il fenomeno dell’azionariato privato per quanto diffuso ( si pensi alle partecipazioni pubbliche indirettamente riconducibili allo stato negli enti di cui sopra ovvero alle partecipazioni dirette attribuite a vari Ministeri) si era manifestato in modo frammentario e disorganico. Un primo importante elemento di razionalizzazione venne introdotto con la l. n. 1589/1956, istitutiva del Ministero delle partecipazioni statali a cui vennero devoluti tutti i compiti e le attribuzioni prima spettanti in questo campo ad altri ministeri ed organi dell’esecutivo.

Al neo Ministero, che indubbiamente ebbe il pregio di rappresentare la più stringente forma di intervento diretto statale in economia, vennero attribuiti poteri di direzione

107 Era un ente pubblico istituito per la gestione, in regime di esclusiva, della ricerca e delle coltivazione di

giacimenti di idrocarburi nella valle padana, gli vennero affidate le partecipazioni azionarie, già̀ dello Stato, nell'AGIP nonché́ il patrimonio dell'Ente nazionale metano.

108 La sua istituzione è particolarmente significativa poiché rappresenta l'unico esempio di applicazione del potere

previsto dall'art. 43 Cost., infatti, in un primo momento lo Stato espropriò, previo indennizzo, le imprese elettriche e, successivamente, venne disposta la riserva originaria a favore del neocostituito ente pubblico ENEL, precludendo l'iniziativa economica privata.

e controllo tali da permettergli di influenzare, attraverso gli enti storici di gestione, in primis IRI, ENI, EFIM, le scelte produttive ed istituzionali delle società private109.

Si delineò un sistema di partecipazioni statali organizzato in forma piramidale alla cui base vi erano le numerose società con partecipazione statale, a livello intermedio l’ente di gestione con veste di vera e propria holding pubblica e al vertice due comitati interministeriali ( il Comitato interministeriale per la programmazione economica e quello per la polita industriale, meglio noti come, rispettivamente, Cipe e Cipi ) e il Ministero delle partecipazioni statali, con funzioni di vigilanza e poteri di direttiva nei confronti delle holding pubbliche.

Queste ultime, in quanto titolari dirette di azioni, influenzavano le scelte societarie attraverso il diritto di voto nelle assemblee e la nomina degli amministratori.

Appare, dunque, del tutto evidente la funzione di intermediazione di questi enti pubblici economici tra gli input politici provenienti dal vertice, sotto forma di atti di indirizzo, e l’attività di impresa esercitata dalle società di diritto comune.

A partire dagli anni ‘60 la crescita esponenziale dell’intervento pubblico subì una brusca battuta d’arresto conseguente all’affiorare di allarmanti criticità che evidenziavano l’inefficienza del sistema nel suo complesso.

Prese così avvio il progressivo processo di erosione della figura dell’ente pubblico economico.

In particolare, nel corso degli anni ‘70, il sistema delle partecipazioni statali diede prova di non aver sortito gli effetti attesi, raccogliendo su di sé aspre critiche unanimi provenienti dall’allora panorama accademico e politico.

In un primo momento si seguì la via maestra del tentativo di risollevare le sorti del sistema per mezzo di una commissione ad hoc ( la c.d. Commissione Chiarelli, cui fu assegnato il compito di formulare proposte per il riordino della materia in questione ) e di interventi legislativi mirati.

Il sistema, tuttavia, era ormai compromesso, difatti i dati empirici di allora rilevarono evidenti profili di criticità mostrando una vera e propria implosione del sistema che, ben lungi dal realizzare i risultati attesi, finì per determinare ingenti perdite economiche allo Stato.

L’operatività degli enti secondo il criterio di economicità, e dunque di autosufficienza di gestione ( come espressamente previsto ex art. 3 l. n. 1589/1956 ), venne del tutto disattesa poiché gli enti non erano nemmeno in grado di conseguire il pareggio di bilancio per evitare che i costi fossero superiori alle entrate.

Per cui il sistema, incapace di autofinanziarsi, iniziò ad accumulare continue perdite che potevano essere ripianare soltanto mediante contribuzioni periodiche dello Stato110.

Le ragioni della crisi sono state variamente condensate dalla dottrina (i) nell’eccessiva espansione dei settori d’intervento, che ha reso pressoché́ impossibile il controllo ed il coordinamento del sistema111; (ii) nel graduale abbandono dell’ottica imprenditoriale

in favore di quella di sostegno di settori in crisi strutturale, per il perseguimento di finalità̀ politiche e sociali112; (iii) nella dipendenza del sistema dal meccanismo di

finanziamento gestito dal potere politico, con conseguente asservimento del primo

110 Cfr. G. DI GASPARE, op. cit., 7.

111 Cfr. F. MERUSI e D. IARIA, Partecipazioni pubbliche ( voce ) in Enciclopedia Giuridica, Roma 1990, 4. 112 Cfr. G. MINERVINI, Società a partecipazione pubblica, Milano, 1982,182

all’influenza del secondo113; (iv) nell’inesistenza per le società a partecipazione

pubblica della “sanzione economica” a tutela dell’equilibrio finanziario della gestione: il socio pubblico può̀ destinare d’autorità̀, a differenza di quanto avviene nelle società̀ a partecipazione privata, le risorse finanziarie necessarie alla propria impresa, libero dai condizionamenti del mercato.

Benché il sistema fosse ormai compresso, il revirement si realizza soltanto all’indomani del 1992 con l’attuazione di una decisa politica di privatizzazioni diretta a trasformare gli enti di gestione da enti pubblici a società per azioni, i cui valori mobiliari vennero assegnati al ministero del tesoro.

In questo contesto si inserirono i principi del libero mercato, in primis il principio concorrenziale, che contribuirono alla realizzazione della seconda causa di diffusione della società a partecipazione pubblica, ovvero la privatizzazione formale, scardinando il sistema di privilegi che fino allora avevano caratterizzato l’impresa pubblica.

Risalgono a questi anni le politiche di liberalizzazione che hanno condotto allo smantellamento dei monopoli nei servi pubblici ( si pensi alle telecomunicazioni, all’energia elettrica e al gas ) e la modifica restrittiva della disciplina degli aiuti di Stato che ha di fatto vietato il rifinanziamento delle imprese con bilancio negativo.

Inoltre, all’esigenza di ripensare all’intervento statale in economia si aggiunse quella strettamente necessaria di recuperare risorse nell’immediato per rispettare i vincoli di

113 Cit. F.ROVERSI MONACO, Indirizzo delle partecipazioni statali e prospettive di riforma, in Studi in onore di Vittorio

salubrità finanziaria imposti a livello europeo, con particolare riguardo al risanamento del bilancio pubblico114.

Gli anni a venire si susseguirono, dunque, all’insegna di un progressivo ridimensionamento dell’intervento pubblico che condusse dapprima all’abolizione del Ministero per le partecipazioni statali ( invero all’esito del referendum abrogativo del 1993 ) e, successivamente, alla cessione di pacchetti azionari statali di numerose imprese pubbliche.

Il ridimensionamento assunse la forma della privatizzazione, ovvero quel particolare processo economico finalizzato a realizzare o la trasformazione della forma di diritto pubblico, quale ente pubblico, azienda autonoma ed ente gestore di partecipazioni statali, verso una forma di diritto privato più flessibile nonché più adeguata alle dinamiche imprenditoriali, quale la società per azioni, senza alcun mutamento in termini di corporate governance ( privatizzazione formale o fredda ), oppure il trasferimento dalla mano pubblica a quella privata del controllo di società mediante la vendita delle partecipazioni ( privatizzazione sostanziale o calda )115.

La privatizzazione ha assunto forme eterogenee, talvolta discostanti da quelle classiche dal punto di vista strutturale oppure teleologico, per cui si sono avute privatizzazioni formali col fine esclusivo di realizzare il totale passaggio in mano privata del pacchetto azionario e, di contro, privatizzazioni sostanziali che hanno riguardato solo pacchetti azionari di minoranza al fine di introdurre nella società capitale di rischio privato.

114 Cfr. G. DI GASPARE, op. cit., 7.

Infine, la terza causa di diffusione delle società a partecipazione pubblica si inserisce nel contesto della razionalizzazione degli apparati pubblici.

Non di rado diverse pubbliche amministrazioni, per esigenze di efficienza e snellezza funzionale, hanno preferito ricorrere all’esternalizzazione di alcune attività strumentali all’esercizio di funzioni amministrative in senso proprio, a società da esse costituite e partecipate che svolgono la loro attività prevalente per conto delle amministrazioni o enti pubblici di riferimento, le c.d. società strumentali, piuttosto che provvedere direttamente in proprio alla loro organizzazione.

Esempio emblematico è rappresentato dall’esternalizzazione dei servizi ITC ( Information and Communication Technology ), la cui società principale, a livello nazionale, è la Sogei116.

La qualificazione di una società come “strumentale” mutua dal tipo di attività che ne costituisce l’oggetto, la quale, necessariamente, deve rivolgersi agli enti promotori o comunque azionisti della stessa al fine di svolgere funzioni di supporto a quelle pubbliche di cui restano titolari gli enti serviti117.

In sostanza, mentre nei casi precedentemente analizzati lo Stato assume la veste di imprenditore in virtù di modelli pubblicistici o privatistici, in questo caso, invece, svolge attività amministrativa in forma privatistica per le medesime amministrazioni pubbliche118.

116 Società Generale d'Informatica S.p.A. è una società a capitale interamente pubblico che opera nel settore

dell'ICT. Offre servizi in regime di monopolio per la P.A., in particolare per le Agenzie fiscali legate da una convenzione triennale con il Ministero dell'Economia e delle finanze.

117 Cons. Stato, Ad. Pl, 4 agosto 2011, n. 17.

Le società strumentali, in aggiunta alla posizione ancillare rispetto alle funzioni intestate all’ente pubblico, si connotano anche per offrire attività regolate da norme di diritto privato e potenzialmente contendibili sul mercato, per cui l’ente, mediante l’offerta delle stesse, può entrare in concorrenza con operatori privati.

Ne consegue, dunque, la particolare criticità ( rectius: pericolosità ) delle stesse conseguente all’esercizio delle proprie attività in quanto può condurre a distorsioni del funzionamento dei mercati concorrenziali interessati119.

119 Criticità più volte evidenziate dalla Corte Costituzionale dapprima con sentenza n. 326/2008 e, da ultimo, con

sentenza n. 229/2013, con cui ha dichiarato l'incostituzionalità parziale dell'art. 4, nella misura in cui si applica