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LA NATURA GIURIDICA DELLE SOCIETÀ MISTE

2 LE SOCIETA’ MISTE NEL DIRITTO SOCIETARIO

2.3 LA NATURA GIURIDICA DELLE SOCIETÀ MISTE

Uno degli aspetti maggiormente discussi in dottrina e giurisprudenza in materia di società miste attiene la loro natura giuridica in quanto la partecipazione societaria di un ente pubblico, chiamato a perseguire un interesse pubblico in virtù del principio di legalità, ha fatto dubitare della possibilità̀ di qualificare tale organismo come soggetto di diritto privato a tutti gli effetti.

La problematica è stata esaminata attraverso posizioni concettuali del tutto differenti tra giurisprudenza amministrativa e di legittimità; ed è proprio attraverso l’analisi delle più importanti pronunce giurisprudenziali che appare opportuno affrontare l'annosa quaestio.

La giurisprudenza di legittimità̀ ha da sempre sposato la teoria privatistica sostenendo a più riprese146 che le società̀ miste non perdono la loro natura di

soggetto privato per il solo fatto di essere partecipate da enti pubblici.

Stando alla Corte non solo è del tuto irrilevante il fatto che all'ammontare del capitale sociale partecipi anche il conferimento di un ente pubblico, ma dovrebbe altresì trovare applicazione il criterio per cui, in mancanza di una deroga espressa, le società̀ miste soggiacciano alla disciplina comune del diritto societario147.

In particolar, le sezioni unite della Cassazione nell’affrontare la complessa questione della natura giuridica degli atti posti in essere da una società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, affermando che la società in questione opera “nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico”,

146 Cass., Sez. un. civ., 24 marzo 1977, n. 1143, Cass., Sez. un., 6 maggio 1995, n. 4989, Cass, sez. un., n. 7799 del

2005; Cass., sez. un., n. 4991 del 1995, Cass., sez. un., n. 17287 del 2006.

hanno sancito il principio per cui il rapporto tra la società e l’ente locale “è di assoluta autonomia, sicché non è consentito al comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali”148.

La Corte argomenta la natura privatistica sostenendo che la legge non introduce “alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti dall’ente locale. La posizione del comune all’interno della società è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla “prevalenza” del capitale da esso conferito; e soltanto in tale veste l’ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società, (…) avvalendosi non già di poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società”149.

Da ultimo la Corte150 ha avuto la possibilità di ribadire che “la società̀ per azioni non

muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché́ il Comune ne possegga in tutto o in parte le azioni: il rapporto tra società̀ ed ente locale è di assoluta autonomia non essendo consentito al comune di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività̀ della società̀ per azioni mediante poteri autoritativi, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario da esercitarsi a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società̀”.

148 Cass., Sez. Un., 6 maggio 1995, n. 4989. 149 Cass., Sez. Un.,15 aprile 2005, n. 7799. 150 Cass., Sez. Un., 31 luglio 2006, n. 17287.

Ne risulta che in capo all’ente locale non residui alcun potere direttivo, ma soltanto il ruolo di azionista con i poteri che a quello status discendono dal diritto societario. In sostanza si tratta di un'ordinaria società̀ di capitali nella quale, dunque, non assume connotazione pubblicistica l'istituto in sé, bensì il soggetto, o alcuni dei soggetti, che vi partecipano.

In essa, quindi, trovano contestuale applicazione la disciplina pubblicistica che regola il socio pubblico e quella privatistica che invece regola il funzionamento della società. In capo all'ente non è inoltre configurabile, come ovvio, un potere illimitato di scelta circa la facoltà di partecipare o meno ad una società; è stato infatti evidenziato come lo stesso, in linea di principio, possa partecipare alla società̀ soltanto se la causa lucrativa sia compatibile con la realizzazione di un proprio interesse.

Infine, la Consulta, sempre nell'ottica di suffragare la propria posizione, ha rilevato che l'interesse di cui il socio pubblico è titolare assume una rilevanza esclusivamente extra sociale, con la conseguenza che le società̀ partecipate da una pubblica amministrazione hanno sempre e comunque natura privatistica.

La giurisprudenza amministrativa, al contrario, ha da sempre sposato e sostenuto fermamente la natura pubblicistica di questi soggetti giuridici151 ponendo l'accento

tanto sull'irrilevanza della forma societaria rispetto allo scopo perseguito, che si configura sempre come pubblico, quanto sul controllo pubblico ( anche successivo, quale può essere il controllo dei bilanci e degli atti della società ) del capitale o degli

151 Cons. Stato, sez. VI, 1 aprile 2000, n. 1885; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1206; Cons. Stato, sez. VI,

organi societari, anche se non sono mancate pronunce che, distaccandosi parzialmente da questa presa di posizione, hanno rappresentato un tertium datum152. Tale impostazione, solitamente, è confutata da numerosi rilievi di tipo logico/giuridico mossi da giurisprudenza e dottrina.

Anzitutto si rileva che nel silenzio del legislatore, ovvero se non è stata improntata alcuna disciplina derogatoria, un istituto qualificato come “società̀” necessariamente soggiace alle norme del Codice civile per il solo fatto del proprio nomen iuris.

Inoltre, a sostegno di tale tesi, si potrebbe citare l'intenzione del legislatore del 1942 che, nella Relazione al Codice civile, ha espressamente equiparato le società̀ a partecipazione pubblica a quelle a partecipazione privata153.

Il Codice civile, infatti, è scevro di una apposita disciplina dedicata alle società a partecipazione pubblica, totale o parziale, e le norme ( invero poche154 ) recanti

discipline derogatorie non sono sufficienti ne idonee ad attribuire alle stesse una natura giuridica peculiare155.

Una seconda confutazione trae le proprie mosse dal rapporto con strumenti tipicamente pubblicistici, come gli appalti e le concessioni di servizio pubblico.

È pacifico ormai che la società mista rappresenti una valida alternativa alla concessione e all’appalto; si tratta di un’alternatività che trova la propria ragion d'essere nelle marcate differenze ontologiche che connotano i tre distinti modelli, ed

152 Cons. Stato, sez. V, 25 giugno 2002, n. 3448.

153 Così “in questi casi è lo Stato che si assoggetta alla legge della società̀ per azioni per assicurare alla propria

gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità̀ realizzatrici. La disciplina comune della società̀ per azioni deve pertanto applicarsi anche alle società̀ con partecipazione delloStato o di enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente”.

154 Si tratta degli artt. 2449 e ss, dell'art. 2414-bis, comma 2, c.c. introdotto con il D. Lgs. 27/2004. 155 Cfr. R. RORDORF, Le Società̀ «pubbliche» nel codice civile, in Società̀, 2005, 423.

in particolare, “nella profonda compenetrazione fra agire pubblico e logiche imprenditoriali di natura privatistica trasfuse nella attività di produzione o erogazione che caratterizzano la società mista, laddove invece nell’appalto l’affidatario privato è un esecutore della soddisfazione dei bisogni dell’amministrazione, mentre nella concessione è al più beneficiario di un diritto di sfruttamento dei proventi del servizio commissionato dalla p.a. per i suoi utenti.”156

Ma allora, se l'intenzione del legislatore è di consentire il ricorso agli strumenti di diritto comune in materia societaria e contrattuale al fine di integrare la gestione di un servizio pubblico con risorse, dotazioni, capacità e organizzazione squisitamente imprenditoriali, tali da superare le rigide restrizioni tipiche dell'appalto e della concessione, lasciando così la P.A. sostanzialmente libera ( salvo prescrizioni comunitarie o legislative settoriali ) nella scelta, risulta del tutto infondata e irrazionale la pretesa di attribuire alla società mista una natura, qual è appunto quella pubblicistica, assolutamente non congeniale all'alternatività degli strumenti prevista dal legislatore.

Infine, l'ultimo rilievo mosso mira a sfatare la preminenza dell'interesse pubblico generale su un qualsiasi interesse di ordine più marcatamente lucrativo o comunque privato.

A tal proposito occorre prendere in considerazione il meccanismo che scandisce la vita della società mista, ossia il continuo e paritario bilanciamento tra l'intenzione dei privati a ricavare profitti dall'attività svolta in cambio della propria disponibilità di risorse know-how, altrimenti carenti nell'attività della P.A. che al massimo conosce

solo efficienza, efficacia e economicità, e la vantaggiosa necessità di quest'ultima di reperire capitali privati per la gestione di servizi pubblici.

Tant'è che la partecipazione pubblica, per quanto consistente e dotata di poteri potenzialmente autoritativi, non potrà mai comprimere i diritti e le garanzie accessorie che spettano al socio privato, salva l'ipotesi dell'espropriazione dell'azionariato privato, ma in tal caso si esulerebbe dal l’ambito della società mista per ricadere nella definizione di ente pubblico.

Alla luce di ciò, appare dunque più opportuno esprimersi in termini di equiparazione o, comunque, di bilanciamento degli interessi piuttosto che in termini di indiscussa preminenza dell'interesse pubblico generale.

In dottrina invece si possono individuare posizioni più eterogenee, comprendenti tanto di più classiche che avvallano o criticano la concezione privatistica suffragata dalla Consulta, quanto di più intermedie e innovative che corroborano o perfezionano il tertium datum del Consiglio di Stato, tra le quali si può ricordare quella in cui la società̀ mista assurge a modello speciale nel quale si coniugano in maniera originale scopo di lucro ed interesse pubblico157 o, ancora, quella che ritiene la questione non

debba essere risolta in termini astratti e generici, ma di volta in volta in relazione al caso concreto con riguardo alla natura della singola società̀ mista e al rapporto di autonomia o di subordinazione con l’ente locale di riferimento158.

Infine si può ricordare i legislatore che, dal canto suo, non resta ai margini della diatriba quale mero spettatore, ma si rende partecipe della stessa appoggiando,

157 Cfr. M. LEVIS, C. MANACORD, E. GROMIS DI TRANA, Le società miste, in www.IlSole24ore.it

158 Cfr. F. CARINGELLA, I servizi pubblici locali, in L’ordinamento degli Enti Locali, Commentario al testo Unico ( a cura

di ) F. CARINGELLA, A. GIUNCATO, F. ROMANO , 2007, 711; F. CARINGELLA, Gli organismi di diritto

nemmeno poco velatamente, la concezione sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa.

D'altronde nelle leggi finanziarie per il 2007 e 2008 provvede ad assimilare le società a partecipazione pubblica ad enti pubblici piuttosto che ad imprese pubbliche.

Tale assimilazione è corroborata dalla collocazione geografica delle disposizioni in esame all'interno dei testi legislativi, i quali le rubricano, non casualmente, sotto le misure di riduzione e contenimento della spesa degli enti pubblici.

In questo scenario di offuscante incertezza teorica si apre uno spiraglio di innovazione destinato a risolvere ( o comunque, ad indicare la soluzione per ) la diatriba tra concezione pubblicistica e privatistica: i giudici di Palazzo Spada, forse traendo banalmente spunto dal prosaico assunto aristotelico “μέσον τε καὶ ἄριστον”, approntano un tertium datum con cui escludono, da un lato, sia la natura privatistica delle società miste che la loro assimilabilità alle aziende speciali ( finalizzate all’esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico ) e, dall'altro, ne riconoscono una natura sui generis, in quanto necessita di essere chiarita di volta in volta tramite l’analisi approfondita del legame che intercorre fra essa e il soggetto pubblico che la partecipa159.

Sostanzialmente, in questa occasione i giudici di Palazzo Spada abbandonano momentaneamente le concezioni generali e astratte per guardare alla rilevanza dei singoli casi concreti.

“Questa soluzione non offre assoluti indizi di certezza, bensì la possibilità di chiarire come la società mista sia un istituto giuridico complesso fondato su un’ampia serie di indici che la giurisprudenza e la dottrina sapranno identificare.

La strada è insomma quella di ricostruire la società mista come una struttura giuridica costruita su quote di partecipazione, poteri societari, controlli e garanzie, formazione del bilancio, scelta degli organismi dirigenti, modalità di scelta e quantificazione della quota privata, natura dell’attività e degli atti ( e via dicendo ), con quello stesso metodo ed iter logico-argomentativo che la dottrina e la legislazione comunitaria hanno utilizzato per l’ormai famosa nozione di organismo di diritto pubblico, accedendo così ad uno schema ricostruttivo allo stesso tempo tipico ( per questo tipo di soggetti ) e speciale ( cioè facente leva su parametri e “figure sintomatiche” peculiari )”160.