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RILEVANZA ECONOMICA: LA PORTATA APPLICATIVA DELL’ART 113.

3 L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI A SOCIETÀ MISTE

RILEVANZA ECONOMICA: LA PORTATA APPLICATIVA DELL’ART 113.

L’art. 113 Tuel detta la disciplina in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica, giacché ai servizi privi di tale rilevanza è dedicato il successivo art. 113-bis. Si tratta di una nozione che assume notevole rilievo in ordine a due differenti conseguenze, infatti la classificazione di una attività come servizio pubblico di rilevanza economica comporta sia la sottoposizione della stessa alla disciplina dell’art. 113 sia l’attribuzione della competenza in materia al legislatore statale.

Benché l’importanza cruciale riconosciuta alla locuzione “rilevanza economica”, il legislatore non si è preoccupato di elaborarne alcuna definizione normativa né di indicarne gli elementi caratterizzanti né, al limite, di fornire un elenco compiuto delle attività ricomprese in questo settore, dunque rimettendo interamente all’interprete l’arduo compito di provvedere all’individuazione dell’ambito di applicazione della normativa.

Pertanto si procederà con l’analisi delle più importanti pronunce giurisprudenziali che hanno contribuito alla elaborazione della nozione in esame.

Anzitutto, autorevole dottrina ha evidenziato che occorre distinguere la nozione di rilevanza industriale da quella di rilevanza economica, poiché la rubrica dell’art. 113 è stata modificata dall’art. 14 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, successivamente convertito con modifiche dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350, con la sostituzione

dell’aggettivo “ industriale”, precedentemente utilizzato dal legislatore, con quello “economico”194.

Già prima dell’entrata in vigore del d.l. 269/2003, la distinzione fra i due tipi di attività non era stata adeguatamente accompagnata da una descrizione delle caratteristiche delle due distinte tipologie di servizi, giacché il legislatore, in questa occasione, aveva previsto il rinvio, ex art. 35, comma 16, della legge n. 448/2001, ad un apposito regolamento di attuazione ed integrazione da emanarsi entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge di cui sopra e finalizzato, per l’appunto, a fornire un elenco completo dei singoli servizi provvisti di rilevanza industriale.

Eppure, la necessità di risolvere questioni ritenute di maggiore preminenza, unitamente alla complicità dello scarso interesse mostrato per la materia in questione, ha indotto il governo a non emanare il regolamento; ciò ha inevitabilmente comportato una serie di problemi interpretativi, legati non solo alla nozione di “industrialità”, già di per sé di non agevole definizione, ma anche all’estrema difficoltà di individuare quando una attività industriale assume dimensioni tali da poter essere qualificata come “rilevante”.

La pacifica assunzione dell’intenzione del legislatore di non ricomprendere nella categoria soltanto i servizi pubblici locali qualificati industriali ai sensi del solo art. 2195 c.c., ha favorito la pronuncia di interessanti interpretazioni giurisprudenziali che hanno rappresentato, in sostanza, gli albori della riforma del 2003.

Si tratta, infatti, di pronunce che ampliano la portata applicativa della “rilevanza industriale” attraverso l’attenzione alla nozione di impresa ( o imprenditore ) tout

court considerata ex art. 2082 c.c., pervenendo in tal modo a definire l’industrialità quale carattere imprenditoriale, ossia economico195, con il conseguente riferimento

alla redditività, almeno potenziale, ed alla competizione sul mercato196.

Sono, dunque, servizi pubblici locali di rilevanza industriale quelle attività economiche che sono svolte contestualmente da più imprenditori presenti su un mercato avente una struttura di tipo concorrenziale, con assunzione diretta da parte di ogni operatore del rischio economico di impresa, non venendo in soccorso in caso di perdite finanziarie, alcun sussidio di fondi pubblici197.

Tuttavia, la persistente incertezza connessa alle difficoltà interpretative è ineluttabilmente sfociata in rilievi mossi all’Italia in sede europea.

La Commissione Europea, infatti, contestava che “la qualificazione di alcune categorie di servizi pubblici come servizi privi di rilevanza industriale non può avere l’effetto di sottrarre l’affidamento di tali attività alle regole in materia di diritto comunitario degli appalti e delle concessioni198; in altre parole, la distinzione previgente, ancorando il

concetto di industrialità del servizio alla nozione di organizzazione in forma di impresa, finalizzata alla produzione e allo scambio di beni e servizi di cui agli artt. 2082 c.c. e 2195 c.c., appariva ingiustificatamente restrittiva, data la possibilità di gestire in forma d’impresa anche servizi di carattere sociale o meramente erogativi, alla luce del quadro normativo interno e delle prescrizioni provenienti dal diritto comunitario.

195 Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2155. 196 T.A.R. Umbria, 24 ottobre 2003, n. 821.

197 T.A.R. Puglia-Lecce, sez. II, 21 maggio 2003, n. 3304.

198 Così Commissione Europea, nota 26 giugno 2002, n. C(2002)2329; invece per la costituzione in mora:

La nuova classificazione del 2003, che ha provveduto a modificare il portato degli artt. 113 e 113-bis del Tuel introducendo la locuzione “rilevanza economica”199, proprio

perché introdotta per conformarsi alle indicazioni comunitarie, non poteva che rispondere alla ratio di restringere le eccezioni alla disciplina pro-concorrenziale ai soli casi di attività che non presentassero alcun interesse per il mercato200.

Tuttavia, come già anticipato, anche la legge n. 326/2003 non contiene una definizione di “rilevanza economica”, né una elencazione dei servizi, né rinvia ad un emanando regolamento governativo come invece faceva l’abrogato comma 16 dell’art. 35, legge n. 448/2001.

Anche in tal caso l’elaborazione della definizione per il distinguo tra servizi a rilevanza economica e privi di detta rilevanza e, dunque, l’individuazione della portata applicativa della normativa, è interamente rimessa all’estro dell’interprete, seppur con l’ausilio di due differenti criteri ( non sempre utilizzati cumulativamente ) a cui dottrina201 e giurisprudenza si sono affidate per le proprie elaborazioni, ovvero il

criterio “esterno” di aderenza alla nozione comunitaria di attività economica, e quello “interno” del rinvio alla nozione di cui all’art. 2082 c.c.

E’ bene accennare che alla omissione del legislatore ha cercato di ovviare, in primis, la magistratura amministrativa che riferendosi alle singole fattispecie oggetto di giudicato ha cercato di individuare ulteriori criteri utili definendo, per quanto

199 In tal senso, la separazione fra una disciplina dei servizi pubblici di rilevanza economica ( art. 113 del Tuel ) ed

una disciplina dei servizi “privi di rilevanza economica ( art. 113-bis del Tuel ) sarebbe apparsa piùcoerente con i principi del diritto comunitario, che, non conoscendo la nozione di servizio pubblico bensì quella di servizio di interesse economico generalea cui si contrappone quella di servizio di interesse generale ( art. 86 del Trattato ) comprende nell’ambito delle proprie norme tutte le attività economiche di prestazione di beni e servizi ( art. 50 del Trattato ), sottoponendole, in quanto tali, al rispetto delle norme e dei principi del Trattato.

200 Cfr. H.BONURA, I servizi pubblici locali privi di rilevanza economica e la potestà organizzatoria degli enti locali, in

www.astrid-online.it

possibile, una interpretazione uniforme delle disposizioni normative vigenti al momento della vicenda fattuale sottesa al giudizio202.

Al riguardo si riportano alcune delle pronunce di maggiore rielevo che hanno contribuito al tentativo di mettere ordine in questa congerie di definizioni stratificate, pervenendo, da ultimo, alla convinzione che la rilevanza economica del servizio non possa essere soggetta a disquisizioni meramente in astratto, bensì necessita di un riscontro concreto da verificarsi caso per caso in quanto un medesimo servizio può avere rilevanza economica in un dato comune e non in un altro203.

Proseguiamo con l’analisi delle differenti accezioni di “rilevanza economica” a cui hanno condotto i differenti criteri così come sono state elaborate nelle pronunce giurisprudenziali di maggior rilievo.

Anzitutto è necessario premettere che nel diritto comunitario la nozione di attività economica è strettamente imperniata su quella di impresa204.

Infatti, dapprima è stato affermato205 che un ente esercente una attività economica

rappresenta un’impresa ex artt. 102 e 106 del Tfue, a prescindere dalle proprie modalità di finanziamento e dal proprio status giuridico, e, secondariamente, che deve considerarsi economica ogni attività che implichi l’offerta di beni e servizi sul mercato e che sia suscettibile di svolgimento da parte dei privati a scopo di lucro206.

202 Cfr. S. DEL NEGRO, Servizi pubblici locali: Dopo dodici anni di legislazione quale futuro? In

www.diritto.regione.veneto.it

203 Al riguardo anche Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1600; Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049;

Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 2011, n. 552; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1784; tutte attinenti il servizio diilluminazione votiva che, in funzione della maggiore o minore dimensione del comune può avere o meno rilevanza economica.

204 Cfr. R. CARANTA, Il diritto dell’UE sui servizi di interesse economico generale e il riparto di competenze tra Stato e Regioni,

in www. Forumcostituzionale.it; A. PERICU, Fattispecie a regime della gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza

industriale, in www.aedon.mulino.it

205 Corte di giustizia CE, C-41/90, Honfer e Eiser.

In particolare, il giudice europeo, considera economica qualsiasi attività consistente nell’offerta di beni o servizi in un determinato mercato207, a prescindere dalla natura

pubblica o privata del soggetto esercente208 o dalla modalità di finanziamento209,

ancora, qualunque ne sia l’oggetto210 o lo scopo perseguito211; come è evidente, si

tratta di una concezione piuttosto lata che finisce per non escludere la natura economica anche per le attività qualificate “sociali” e “non lucrative”212.

Tuttavia, a tale criterio, c.d. produttivistico poiché guarda allo svolgimento dell’attività in un contesto di mercato, la giurisprudenza europea ha abbinato un altro criterio, c.d. comparativo, fondato invece sull’esistenza di un mercato potenziale di riferimento, in base al quale l’attività è economica se non è sempre stata, né deve necessariamente essere svolta da enti pubblici213 ovvero se può ( anche solo

potenzialmente ) essere svolta da un ente a scopo di lucro214.

L’ampia portata dei criteri, specialmente di quello comparativo, deve essere temperata con gli obiettivi concretamente perseguiti dalla normativa presa in considerazione, altrimenti, una loro rigorosa applicazione letterale, finirebbe per ricomprendere qualsiasi attività nella sfera di applicazione del diritto della concorrenza.

Ne consegue che non esiste un concetto di impresa valido per tutti i contesti normativi, ma tante fattispecie ( solo in parte coincidenti ), funzionali a ciascun

207 Corte di giustizia CE, in causa C-113/07, Selex;

208 Corte di giustizia CE, in causa C-118/85, Commissione c. Repubblica Italiana ( Monopoli di Stato ) 209 Corte di giustizia CE, in causa C-41/90, Hofner and Elser v. Macrotron GmbH.

210 Corte di giustizia CE, in causa C-157/99, Smith e Peerbooms.

211 Corte di giustizia CE, in causa C-222/04, Cassa di Risparmio di Firenze.

212 Corte di giustizia CE, in causa C-222/04; Comunicazione Attuazione programma comunitario di Lisbona, 26

marzo 2006.

213 Corte di giustizia CE, in causa C-475/99, Ambulanz Glockner.

214 Conclusioni presentate dall’Avvocato Generale M. Poiares Maduro in data 10 novembre 2005, relative al caso

differente contesto215; diversa è infatti la nozione rapportata agli artt. 106 e 107 del

Tfue da quella elaborata in funzione dell’art. 56, attinente la libera prestazione di servizi.

Tuttavia, è stato correttamente rilevato, che la vera “tensione di fondo”, presente oltretutto anche nell’ordinamento italiano, riguarda non tanto la questione “statica” di ciò che è o non è attività economica; quanto quella “dinamica” di chi, e a quali condizioni, possa fissare o modificare i confini del mercato, di ciò che è mercato e ciò che non lo è; e, in particolare, se le autorità pubbliche nazionali o infrastatuali abbiano o meno la libertà di decidere che una certa attività si svolga economicamente o in condizioni anti-economiche216.

Questa dicotomia continua tutt’oggi a pervadere la giurisprudenza interna, compresa quella costituzionale.

La Corte, infatti, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’abrogato art. 23-bis, d.l. n. 112/08217 , è intervenuta anche sulla nozione di “rilevanza economica” pervenendo

ad una soluzione di parziale rottura rispetto al prevalente orientamento del giudice amministrativo218, fondato, quest’ultimo, sul criterio della redditività potenziale di una

determinata attività con la conseguenza che se le modalità di gestione effettivamente poste in essere non comportano alcuna redditività ( e quindi alcuna competizione ) non vi è rilevanza ai fini della concorrenza219.

215 Cit. M. LIBERTINI, M. MAUGERI, Azione di classe: definizione di impresa e di contrattuali dei consumatori, in La

Nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, 11, 914.

216 Cit. M. LOTTINI, La concezione “statica” e la concezione “dinamica” dell’attività economica: una recente sentenza della Corte

di giustizia in materia di servizi sociali, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2009, 6, 1551.

217 Corte. Cost, 17 novembre 2010, n. 325.

218 Cfr. V. COCOZZA, Una nozione oggettiva di “rilevanza economica” per i servizi pubblici locali, in Munus, 2011, I, 237. 219 Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2009, n. 5097.

Il quesito sottoposto all’attenzione della Corte atteneva all’individuazione del soggetto legittimato in via esclusiva ad indicare le condizioni in presenza delle quali debba ritersi sussistente la “rilevanza economica”, o, che dir si voglia, se la decisione di attribuire siffatta qualificazione al servizio pubblico locale sia riservata, dal diritto comunitario o dalla Costituzione, alla Regione o all’ente locale e non allo Stato220.

Ebbene, il giudice delle leggi, stante l’esistenza di una “portata oggettiva” della nozione di rilevanza economica di matrice europeista221, si è espresso in termini di

erroneità delle interpretazioni volte ad attribuirle una connotazione meramente soggettiva, in particolare, la Corte ha provveduto ad avvallare quell’interpretazione per la quale sussisterebbe la “rilevanza economica” alla duplice condizione che esista effettivamente un mercato in cui operi il servizio e che l’ente locale decida a sua discrezione di finanziare il servizio con gli utili ricavati dall’esercizio di impresa in quel mercato222.

La conclusione a cui è pervenuta la Corte altro non è che una interpretazione estensiva del criterio comparativo di cui sopra, a cui la stessa attribuisce la capacità di impedire agli enti infrastatuali di decidere soggettivamente e a loro discrezione sulla sussistenza della rilevanza economica del servizio.

Il punto di divergenza rispetto all’interpretazione tradizionale del giudice amministrativo è costituita dalla negazione che l’economicità dell’attività si debba determinare ex post, esclusivamente in base agli indici elaborati dallo stesso giudice

220 Cfr. H.BONURA, op. cit., in www.astrid-online.it

221 Cfr. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo – Profili sostanziali e processuali, Milano, 2011, 969. 222 Cfr. M. NICO, Quando l’ente locale diventa socio, Dogana, 2011, 72.

comunitario223, cioè in seguito ad una scelta discrezionale dell’ente locale in ordine

alle modalità di gestione, essendo invece del tutto sufficiente l’esercizio dell’attività con metodo economico “nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi ( di qualsiasi natura essi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici)”224.

Una parte della giurisprudenza amministrativa ha risposto all’irrigidimento del giudice costituzionale con una differente ed opposta soluzione dichiarativamente avversativa tanto del criterio “sostanzialistico” del carattere remunerativo ( elaborato e seguito in precedenza dalla giurisprudenza maggioritaria ) quanto di quello “ontologico” frutto dell’interpretazione costituzionalista, e imperniata, invece, su un criterio “relativistico” che tiene conto delle peculiarità del caso concreto, quali il contesto sociale ed economico e la dimensione del servizio, avendo riguardo in particolare all’effettiva struttura del servizio, alle concrete modalità del suo espletamento, ai suoi specifici connotati economico-organizzativi, alla natura del soggetto chiamato ad espletarlo ed infine alla disciplina normativa del servizio225.

Al di là della vaghezza ed al fatto di aver sostanzialmente ripreso gli indici richiamati dalla giurisprudenza comunitaria per non escludere l’interesse economico dell’attività, a tale ultimo criterio è comunque riconosciuto il pregio del ragionevole appello alle fattispecie concrete sottese alle singole attività226.

223 Si tratta dello scopo lucrativo, dell’assunzione dei rischi dell’attività e dell’incidenza del finanziamento

pubblico.

224 Corte Cost., 17 novembre 2010, n. 325; Corte Cost., 26 gennaio 2011, n. 26.

225 Cons. Stato, sez V, 10 settembre 2010, n. 6529; Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5409; T.A.R. Puglia-

Bari, sez I, 5 gennaio 2012, n. 24; Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488.

In particolare i giudici di Palazzo Spada chiariscono che per la qualifica di un servizio pubblico come avente rilevanza economica o meno non si debba prendere in considerazione solo la tipologia o la caratteristica merceologica del servizio ( data l’esistenza di attività meramente erogative, quale l’assistenza agli indigenti ), ma anche la soluzione organizzativa che l’ente locale, quando può scegliere, ritiene essere più adeguata per le esigenze dei cittadini ( si pensi, ad esempio, ai servizi della cultura e del tempo libero da erogare, a seconda della scelta dell’ente locale, con o senza copertura dei costi ).

Dunque, la distinzione può anzitutto derivare da due presupposti, in quanto non solo vi può essere un servizio che ha rilevanza economica o meno in astratto ma anche uno specifico servizio che, per il modo in cui è organizzato, presenta o non presenta tale rilevanza economica.

Saranno, quindi, privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo.

Per gli altri servizi, astrattamente di rilevanza economica, andrà valutato in concreto se le modalità di erogazione, ne consentono l’assimilazione a servizi pubblici privi di rilevanza economica227.

In tal modo si accantona la visione “statica” della distinzione tra ciò che è dotato di rilevanza economica e ciò che invece ne è privo, a favore di una visione “dinamica” in cui non ha rilievo l’individuazione del marcato confine tra le due categorie, bensì la

persistenza del difetto di una definizione univoca, un ulteriore elemento di incertezza e mancata uniformità interpretativa.

consapevolezza di poter spostare o meno tale linea di demarcazione tenendo conto della sua labilità.

Compito, questo, di non facile soluzione che dovrà essere svolto meticolosamente dal giudice amministrativo chiamato a pronunciarsi sui singoli casi portati alla sua attenzione.

Tuttavia, stante la persistente incertezza ( e talvolta assenza ) della disciplina generale in materia di regime delle attività e di affidamento dei servizi pubblici locali, a parere dello scrivente, il Parlamento non potrà esimersi dal tornare sull’argomento ( auspicabilmente con una disciplina, o meglio, direttamente con una definizione che non dia adito a dubbi ed insicurezze di alcun genere ) una volta che la giurisprudenza avrà inevitabilmente fornito interpretazioni non uniformi.

Allora, forse, sarebbe più opportuno ritornare subito al tavolo da disegno, ma non con approccio svogliato e pressapochista, come è avvenuto fino ad oggi, bensì con l’intento di portare a termine una tavola perfetta in tutte le sue proiezioni.