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La geopolitica delle immagini

LINEAMENTI GEOPOLITICI 2.1. Lineamenti geografici e geopolitici

2.4. La geopolitica delle immagini

Alla visione geopolitica classica, incentrata sulle interazioni fra geografia, posizione geografica e fattori di potenza, sinora utilizzata nell‘analisi di Israele, dobbiamo aggiungere e non contrapporre, una concezione geopolitica collegata ad aspetti non eminentemente geografici, ma ad immagini, immaginazioni ovvero alle iconografie teorizzate da Jean Gottmann116.

In un contesto mondiale caratterizzato dalla globalizzazione, dall‘avvento del cyberspace e dalla progressiva diffusione di Internet e dei Social Network, le immagini e l‘immaginazione geopolitica di uno Stato assumono una valenza sempre più crescente.

116 L‘iconografia è il legame che unisce gli individui assieme per formare società politiche, connettendoli allo spazio ed al territorio. Le iconografie sono costituite da rappresentazioni territoriali immaginarie, reali o sognate, composte da elementi culturali e materiali quali il paesaggio della propria terra o rituali religiosi. Sul punto Prevelakis George, The relevance of Jean Gottmann in today‘s world, in ―EKISTICS‖, vol. 70, n. 422/423, September-December 2003, pp. 295-299.

Fig. 54 – Sorgenti sotterranee di acqua fresca nel Medio Oriente.

Fonte Perry-Castaneda Map

La percezione che ogni Stato ha della propria collocazione nell‘ambito del sistema globale, e l‘analoga sensazione che gli altri componenti il sistema hanno di un dato partecipante, è così importante che influenza ed incide notevolmente nell‘elaborazione delle politiche interne ed esterne e nelle relazioni internazionali fra Stati.

L‘immaginazione geopolitica di Israele è multiforme, rispecchiando proprio uno Stato plasmato da diverse identità, spesso contrastanti fra loro, in continua e dinamica interazione.

I cittadini israeliani faticano a determinare la loro identità, in una società post-sionista eterogenea, così, analogamente, lo Stato ebraico è costantemente alla ricerca di un ruolo ed una posizione nel sistema mondiale.117

Da un lato Israele si vede come un piccolo Stato isolato ed assediato, responsabile interamente delle propria difesa e sicurezza, dall‘altro è un‘economia avanzata ed Hi-Tech, con relazioni commerciali con gran parte del mondo (ad eccezione di quello mussulmano, almeno a livello ufficiale) ed un impatto nelle politiche globali, degne di una media potenza regionale.

L‘ambivalenza si riflette, altresì, nella psicologia dei cittadini israeliani; proprio negli anni ‘60, l‘allora Primo Ministro Levi Eshkol caratterizzò questo aspetto caratteriale nazionale con la frase Yiddish Shimshon der nebechdikker, che può essere tradotta come ―Samson l‘imbranato‖, evidenziando la tendenza di molti israeliani ad oscillare fra la convinzione della forza ed invincibilità militare di Israele e il pessimismo derivante dalla sua grandezza e potenzialità118 Secondo David Newman, lo stato ebraico ha almeno cinque differenti e, talvolta, conflittuali immaginazioni geopolitiche119.

Geograficamente, come visto, è ubicato nel Medio Oriente, ma, a parte le dichiarazioni di intenti di alcuni leader, quali Shimon Peres, favorevoli ad una maggiore integrazione nel sistema regionale (realizzabile solo e quando verrà raggiunta una pace vera con tutti gli Stati confinanti)120, il cittadino israeliano medio non si sente per nulla mediorientale.

Addirittura, la popolazione Mizrahi (ebrei provenienti dagli Stati del Medio Oriente e del Maghreb) le cui tradizioni sono state fortemente influenzate dal contesto mediorientale, avrebbe difficoltà a riconoscersi culturalmente nella regione.121

117 Newman David, The Geopolitical Imagination, in ―Borderline‖, IBRU Boundary and Security Bulletin, Spring 1998, pp. 95-96

118 Sul punto Oren Michael B., Six Days of War: June 1967 and the Making of the Modern Middle East, Ballantine Books, New York, 2003, p. 18, citato in Terril Andrew, Escalation and intrawar deterrence during limited Wars in Middle East, Strategic Studies Institute, US Army War College, September 2009, p 96.

119 Newman David, The Geopolitical Imagination, pp. 95-96;

120 Peres Shimon, The new Middle East, Hold, New York, 1993, pp. 114-118;

Dal punto di vista delle istituzioni politiche, Israele è un‘appendice dell‘Europa, fondata da sionisti provenienti dal Vecchio Continente, con strutture ed ordinamenti tipicamente europei, in particolar modo britannici. Lo stato ebraico vede se stesso quale un‘estensione geografica dell‘Europa, posta nell‘area orientale del Mediterraneo.

Nel contesto della politica internazionale Israele, poi, può essere considerato il 51simo Stato degli Stati Uniti, per il forte supporto politico, economico e militare americano e per la progressiva americanizzazione dei costumi e dei consumi.

La presenza statunitense a fianco di Israele è percepita come qualcosa di esistenziale dalla gran parte dei cittadini ebrei israeliani; le crisi nei rapporti con gli Stati Uniti, che con frequenza discontinua (più spesso durante i periodi di governo del Likud e della destra israeliana) si realizzano in ragione dei diversi interessi e delle diverse valutazioni in merito agli insediamenti dei coloni, ai Territori Occupati ed al Processo di Pace con i palestinesi, rappresentano momenti di tensione, per la paura di perdere il patronage americano e, quindi, il rischio considerato insito nell‘esistenza stessa dello Stato di Israele.

L‘immaginazione e l‘immaginario geopolitico israeliano, però, hanno un ulteriore valenza geopolitica, che va al di là dell‘aspetto meramente geografico e dei confini; in altri termini, Israele è uno stato privo di confini, i cui cittadini sono gli ebrei appartenenti alla comunità ebraica mondiale.

In questi termini, la stessa legislazione israeliana concernente il diritto di proprietà sembra riflettere questa situazione, in quanto, un ebreo statunitense, per esempio, in virtù della Legge del Ritorno122, ha più diritto ad acquistare un terreno e costruire un‘abitazione rispetto ad un arabo palestinese residente in Israele, la cui famiglia ha vissuto ininterrottamente nel territorio da secoli.

Questa visione etnocentrica di Israele deriva dall‘ideologia sionista ed è connessa alla stessa ragione d‘essere di Israele, quale stato ebraico.

Da ultimo, ma non per importanza, la concezione geopolitica di Israele correlata all‘aspetto metafisico di centro del mondo, non solo per l‘ebraismo, ma anche per le altre due religioni monoteistiche mondiali, il Cristianesimo e l‘Islamismo.

La Terra Santa rappresenta oggetto di attenzione e devozione da parte dei credenti di queste grandi religioni (che rappresentano gran parte della popolazione mondiale), e questa tensione si

122 La legge del Ritorno rappresenta la sanzione legale del concetto di Israele paese-rifugio per gli ebrei di tutto il mondo; promulgata il 5 luglio 1950, la normativa prevede che qualunque ebreo abbia diritto ad emigrare in Israele, acquisendo automaticamente la cittadinanza israeliana e tutti i connessi diritti, proprietari inclusi. Sul punto si veda Barnavi Eli, Storia d‘Israele, p. 73-75;

riflette a livello politico e geopolitico, rendendo la posizione dello Stato ebraico unica, sottoposta a continuo scrutinio da parte della comunità internazionale ed in perenne ricerca di legittimità, minacciata dalle immagini e dalle iconografie, altrettanto potenti, degli Stati confinanti e delle nazionalità in conflitto con Israele stesso.

Corollario di queste immagini è il dibattito, in corso oramai da diversi decenni, circa la rappresentazione geopolitica di Israele quale entità in bilico tra Oriente ed Occidente, la cui identità, in termini di appartenenza, risulta formata dalla contrapposizione tra l‘appartenenza al mondo mediterraneo e, secondo la visione araba, l‘immagine di Israele quale corpo estraneo, mutazione nazionale dei moderni crociati giunti da occidente123.

Il dualismo simbolico tra ―mediterraneismo‖ e crociate rappresenta un forte elemento iconografico nella formazione geopolitica israeliana, giacché trova le sue origini culturali con i primi insediamenti sionisti in Palestina, verso il 1880.

All‘epoca, paradossalmente, il movimento sionista, nella convinzione dell‘affinità fra popolo e territorio, propugnava il ritorno nella terra dei padri per formare un uomo nuovo, un nuovo ebreo, il cui modello era proprio l‘arabo: gli arabi erano visti da alcuni sionisti come un esempio di appartenenza, di connessione naturale ed esistenziale con la terra.124

L‘Oriente era visto non solo come rifugio dall‘esilio ebraico in Europa ma anche come fonte di vitalità e rinnovamento nazionale125.

Il sionismo, tuttavia, nel corso degli anni, si mostrò ambivalente nel suo approccio al mondo orientale, evidenziando posizioni altalenanti in merito. Theodor Herzl, padre fondatore del movimento, infatti, rappresentava la posizione contraria al mondo orientale, ritenendo che lo Stato ebraico dovesse essere un bastione dell‘Europa contro l‘Asia, un guardiano della cultura contro i barbari126.

L‘atteggiamento di David Ben Gurion, peraltro, a maggior ragione riflette l‘ambiguità nell‘approccio, in quanto alternava posizioni favorevoli al mondo orientale127, a dichiarazioni palesemente avverse, nel momento in cui affermava il ritorno alla terra di Israele in mero senso geografico, considerato che il popolo ebraico è divenuto europeo.128

123 Ohana David, Mediterraneans or Crusaders? Israel Geopolitical Images between East and West, in ―International Journal of Euro-Mediterranean Studies‖, Vol. 1, nr. 1, 2008, pp. 7-8;

124 Ibid., pp. 11-12;

125 Ibid.

126 Ibid.

127 Nel 1925 affermò che: ―il significato del sionismo è il fatto che, ancora una volta, stiamo diventando un popolo orientale‖; nel 1950, dichiarò che ―il nostro piccolo paese fiorirà e si espanderà se percepiremo che la linea costiera non è un confine ma un corridoio‖ in Ohana David, Mediterraneans or Crusaders? Israel Geopolitical Images between East and West, p. 12;

In generale, comunque, l‘atteggiamento verso l‘Est, verso il mondo orientale e mussulmano, è visto con un certo favore, almeno sino agli anni ‘30.

Con la rivolta araba del 1929, la posizione di favore muta, l‘Oriente è visto con sospetto e come minaccia; in tal senso la società ebraica pre-statuale (lo Yishuv) rimane essenzialmente eurocentrica e si considera un‘estensione della cultura europea, senza mai adottare tradizioni e costumi locali.

L‘indipendenza di Israele ed il conseguente allontanamento di arabi palestinesi dai territori assegnati od occupati dallo stato ebraico, rappresenterà il momento di creazione del concetto e della visione araba di Israele, quale nuovo stato crociato.

Il sionismo era visto come un movimento religioso, oppressivo delle popolazioni locali e sfruttatore dell‘economia araba, un movimento analogo a quello dei cristiani crociati, entità aliena dalla terra araba occupata nel XII secolo.

L‘analogia fra sionismo e Stato di Israele da un lato e regni crociati dall‘altro, serve a mobilizzare la società araba e creare un nemico comune, facendo riferimento a miti e fasti del passato islamico arabo.

La visione cosiddetta crociata inizia a permeare nel dibattito culturale israeliano nel momento in cui la formazione dello Stato di Israele inizia a sollevare problemi analoghi a quelli strategici, demografici e di sicurezza dei Regni crociati in Terra Santa.129

Già nel 1949 lo studioso biblico Menahem Haran enumerava tre fattori rilevanti per lo Stato di Israele che avevano, nel passato, condizionato la vita dei regni cristiani; il primo fattore era che i crociati erano stati spinti al di fuori della regione, verso il mare, da una potenza araba mussulmana unita; il secondo elemento di analogia era dovuto al fatto che i Cristiani si erano insediati principalmente nelle città, lasciando il territorio rurale ai mussulmani; l‘ultima analogia derivava dallo scarso afflusso di immigrati dall‘Europa medioevale, col conseguente scarso popolamento cristiano130.

Questi tre fattori, nel loro insieme, appaiono rilevanti e congruenti con le preoccupazioni strategiche e demografiche israeliane che, come visto in precedenza, hanno plasmato le politiche demografiche e di sicurezza, con l‘espansione degli insediamenti in tutte le aree della Palestina e la ricerca, a partire dal 1967, della profondità strategica per impedire la distruzione di Israele. La sindrome crociata influirà comunque nel dibattito storico e culturale israeliano post indipendenza, plasmando, innanzitutto, il dibattito storico circa le radici ebraiche e la continuità

129 Ibid. p. 17;

storica della presenza ebraica in Palestina ed in secondo luogo alimentando le controversie circa il carattere dello Stato israeliano stesso, quale entità ebraica sionista, alieno dalla regione in cui insediato.

L‘iconografia crociata è stata utilizzata nel contesto della lotta fra israeliani e palestinesi, con i primi interessati ad una pace ―fredda‖ che garantisse, specie nella visione dell‘attuale premier Netanyahu, la sicurezza di Israele quale fortezza assediata dagli arabi; i palestinesi, d‘altro canto, utilizzando il tema delle crociate, hanno più volte alimentato il mito di Saladino, il conquistatore di Gerusalemme, denominando con tale appellativo, di volta in volta, il Rais arabo più bellicoso nei confronti di Israele (Nasser o Saddam Hussein).

L‘appartenenza di Israele al mondo mediterraneo, all‘opposto, se accettata dalle èlite e dagli ebrei israeliani, potrebbe, invero, rappresentare un primo passo verso l‘acquisizione di una identità non conflittuale con l‘ambiente geografico e politico della regione, consentendo un processo di reciproca influenza fra popoli, geopoliticamente legati allo stesso territorio.

CAPITOLO 3