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1.3 Le guerre arabo-israeliane e l’espansione territoriale

1.3.3. La Guerra dei Sei Giorni

La Guerra del 1956 aveva evidenziato i limiti delle potenze europee nel contesto bipolare, esaltando le capacità di controllo sistemiche delle due super potenze.

Per Israele il conflitto, appena terminato, comportò una serie di conseguenze positive e, nel contempo, negative. Il prestigio acquisito dalle IDF crebbe notevolmente, consentendo allo Stato ebraico di poter formulare una politica di alleanze strategiche (Peripheral Alliance Strategy)84 e di penetrazione diplomatica e strategica in Africa ed Asia.

Dal punto di vista strategico la ritirata imposta dalle super potenze, unita alla minaccia d‘intervento militare diretto sovietico85, evidenziò le ridotte possibilità di azione politica per le

84 Risale ai primi anni ‘50, infatti, la politica e la strategia israeliana detta ―Peripheral Alliance Strategy‖, ovvero l‘alleanza in funzione antiaraba con gli Stati etnicamente non arabi, sebbene mussulmani, della regione, in questo caso Turchia ed Iran (estesa poi all‘Etiopia), forgiata sulla base del principio ―il nemico del mio nemico è mio amico‖. Il fondatore del Mossad, Re‘uven Shiloah, denominò la strategia in tal modo, in riferimento ai contatti, anche clandestini, con gli Stati ubicati nella cintura esterna circostante Israele (stati confinanti con le nazioni nemiche a loro volta confinanti con Israele) oppure movimenti nazionali aventi eguali interessi quali i Curdi in Iraq od i cristiani in Libano o nel Sud del Sudan. Sul punto Parsi Trita Treacherous Alliance: The Secret Dealings of Israel, Iran and the United States, Yale University Press, Yale, 2007, pp. 27-32;

85 Il 6 novembre 1956, un giorno dopo l‘accettazione da parte israeliana ed egiziana del cessate il fuoco proposto dalle Nazioni Unite, il Primo Ministro dell‘Unione Sovietica Nikolaj Bulganin, inviò messaggi dal contenuto minaccioso ai Capi di Stato delle tre nazioni invasori; il contenuto della missiva inviata a Ben Gurion era particolarmente pesante, indicando che il comportamento di Israele stava mettendo a repentaglio la sua stessa sopravvivenza come Stato. Sul punto Morris Benny, Vittime. Storia del conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, p. 375; in una lettera separata, poi, Bulganin, informò gli israeliani che i sovietici possedevano missili in grado di raggiungere Israele. Sul punto Cohen Avner, Israel and the Bomb, p. 55;

Fig. 13 – Fasi principali della Guerra di Suez nel 1956. Fonte United States Military Academy

piccole e medie potenze, accelerando il processo israeliano di acquisizione di un potenziale nucleare, sviluppato di pari passo col programma atomico francese, programma nato dall‘umiliazione patita dalla Quarta Repubblica86

La dottrina militare israeliana si dimostrò efficace, pur evidenziando i limiti materiali derivanti dall‘embargo sulla vendita di armi da parte statunitense, rispetto alla qualità dei manufatti forniti dai sovietici all‘Egitto.

La successiva strategia militare egiziana nei confronti di Israele era incentrata su due obiettivi alternativi da raggiungere: il primo scopo (massimo) era quello di distruggere Israele; l‘obiettivo minimo, invece, era quello di modificare eventualmente la linea di confine, acquisendo il sud del Negev, realizzando così la continuità territoriale con la Giordania, l‘Iraq e la Penisola arabica, unificando di fatto e geograficamente il mondo arabo.

Per ottenere i risultati fissati (massimo o minimo), lo strumento militare egiziano doveva, in ogni caso, sferrare un colpo micidiale alle IDF. Nel caso di ricerca della finalità minore, l‘acquisizione del sud del Negev, non sarebbe stata necessaria una vittoria totale su Israele; una rapida avanzata terrestre egiziana, seguita dal successivo intervento delle grandi potenze sarebbe stata sufficiente.

La predilezione di Nasser, però, era verso la distruzione di Israele, considerato un fattore importante nella sua ricerca dell‘unità araba, di fatto il Rais egiziano propendeva per una rapida soluzione del conflitto.

La strategia nasseriana trovava posizioni discordanti all‘interno del mondo arabo; di fronte alla prospettiva di veloce ed immediata distruzione di Israele, esistevano opinioni diverse, quella tunisina e quella siriana.

Il parere tunisino, più moderato e tendente ad un approccio prolungato nel tempo, riteneva possibile la distruzione di Israele con la cosiddetta ―tattica del salame‖, un passo alla volta. Il punto di vista in questione fu espresso dal Presidente tunisino Habib Bourguiba, nel 1965, quando propose che Israele accettasse ed attuasse la prima risoluzione dell‘ONU (1947) sulla spartizione della Palestina, ritirandosi dai Territori Occupati.87

In cambio il mondo arabo avrebbe formulato una proposta di pace, non ben definita. Il leader tunisino riteneva che, se Israele avesse accettato la soluzione, allora, sarebbe stato fortemente

86 L‘ultimatum inviato ai francesi rappresentò l‘epilogo della potenza transalpina, non più in grado di reggere il confronto con le super potenze e, pertanto, sempre più desiderosa di possedere un arsenale nucleare proprio, capace di garantire lo status di potenza. L‘evento rappresentò la molla che spinse verso l‘atomica di Parigi, nata anche con l‘ausilio israeliano. Sul punto Cohen Avner, Israel and the Bomb, p. 55; Pean Pierre, Les Deux Bombes, Arthem Fayard, Paris 1982, p. 83;

indebolito dal punto di vista strategico, con confini ancor più indifendibili, fattore che avrebbe favorito l‘ulteriore e successiva tornata bellica risolutiva.

Nel caso in cui Israele avesse rigettato l‘offerta, comunque, vi sarebbe stata una grande vittoria araba, nella comunità internazionale, evidenziando l‘assoluta mancanza di volontà da parte ebraica nel perseguire la pace.

Un altra e difforme opinione, diversa da quella nasseriana, era quella proposta dalla Siria, favorevole ad un progressivo incremento dell‘escalation violenta con Israele, in luogo di un attacco istantaneo e decisivo, con un confronto aperto e prolungato (Guerra d‘Attrito), fatto da azioni militari limitate che nel tempo, per le caratteristiche demografiche ed economiche dello Stato ebraico, potessero condurre all‘esaurimento delle capacità israeliane.88

La strategia siriana, (successivamente adottata dall‘Egitto durante la Guerra di Attrito del 1969/1970) era avversata dal leader egiziano in quanto, temendo le capacità militari ebraiche e nonostante l‘asimmetria demografica esistente, riteneva che il fronte arabo pur sopportando meglio le perdite umane e materiali in un conflitto non sarebbe stato in grado di sostenere gli effetti devastanti in termini economici, sociali e di sviluppo.89

Le successive conseguenze della Guerra del Giugno 1967, giustificarono i timori di Nasser. La guerra doveva essere prolungata per indebolire lo Stato ebraico (moralmente, finanziariamente e psicologicamente) attraverso l‘embargo economico e la guerriglia mentre, per mezzo dell‘unità araba e dello sviluppo sociale conseguente, si sarebbero dovuti rafforzare militarmente gli Stati arabi; solo nel momento opportuno, un massiccio attacco militare avrebbe permesso di vincere la guerra ed annientare Israele.

Le condizioni necessarie per la strategia nasseriana di lungo termine erano fondamentalmente quattro: 1. consolidamento del fronte interno egiziano attraverso l‘unità politica, evitando le divisioni e le fratture sociali esistenti in altri Stati arabi quali l‘Iraq, il Sudan e la Siria; 2. acquisizione di armamenti migliori e sofisticati, rispetto all‘avversario; 3. unificazione sotto un Comando accentrato di tutti gli eserciti arabi; 4. rivoluzione all‘interno del mondo arabo attraverso l‘omogeneità dei regimi al potere.90

In questa valutazione, tuttavia, erano necessari due prerequisiti, la modernizzazione del mondo arabo e la neutralizzazione degli Stati Uniti: in tal senso Nasser considerava basilare l‘appoggio dell‘Unione Sovietica per annullare il potere americano.

88 Ibid;

89 Ibid. p. 79;

Considerata la strategia formulate dal leader egiziano, la Guerra del 1967 diventava un evento inevitabile.

L‘analisi storica degli episodi che condussero al conflitto del 196791, tuttavia, evidenziò una tempistica diversa nella pianificazione fatta da Nasser, verosimilmente il momento più propizio per attaccare Israele era stato concepito attorno al 1970-197192, considerati i rapporti di forza degli Stati arabi e la compattezza degli schieramenti militari.

L‘Egitto ed il suo leader rimasero tuttavia, prigionieri di troppi attori secondari nel mondo arabo e delle mire politiche dell‘Unione Sovietica93.

Siria ed Al-Fatah, per esempio, con le loro azioni di guerriglia innescarono dure risposte israeliane e resero difficoltosa la posizione del Rais egiziano che, anticipatamente, si trovò coinvolto nelle ostilità nascenti.

Al-Fatah e l‘OLP (prima della loro fusione nel febbraio 1969) erano intenzionate a fomentare un conflitto convenzionale, per paura che gli stati arabi in prima linea contro Israele, abbandonassero la causa nazionale una volta che lo Stato ebraico avesse raggiunto l‘opzione nucleare94.

La Siria, invece, era favorevole ad un‘escalation nei confronti di Israele, seppure Nasser fosse contrario ad azioni precipitose.

Lo spostamento di truppe siriane nel Golan, ai confini di Israele, allarmarono lo Stato ebraico e, nel contesto, posero Siria ed Israele in rotta di collisione; le successive azioni egiziane, poi, esacerbarono la situazione, sebbene fossero ancora assenti od incomplete le condizioni che l‘Egitto riteneva necessarie per iniziare un conflitto totale con Israele.

Nasser, infatti, riteneva che la chiusura del Golfo di ‗Aqaba, o dello Stretto di Tiran (uno dei casus belli nel 1956), ed il concentramento di truppe egiziane nel Sinai, avrebbero consentito una vittoria diplomatica su Israele, analoga a quella del 1956; secondo la valutazione egiziana, infatti, Israele dovendo affrontare lo spiegamento avanzato egiziano nel Sinai, non avrebbe potuto attaccare la Siria, anche se non vi era alcuna evidenza delle intenzioni offensive israeliane.

Nel contempo le mire espansioniste nasseriane, avevano alienato la simpatia del mondo arabo più conservatore, proprio a causa dell‘intervento nella Guerra civile yemenita, a partire dal 1962 in poi.

91 Morris Benny, Vittime. Storia del conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, pp. 388-393;

92 Aboul-Enein Youssef, The Heikal Papers: A Discourse on Politics and the 1967 Arab-Israeli War with Egyptian President Gamal Abdel Nasser, in ―Strategic Insights”, Volume IV, Issue 4 (April 2005), pp. 3-5;

93 Reiser Stewart, The Arab-Israeli Wars. A Conflict of Strategic Attrition, p.80;

I successivi eventi, uniti al bisogno di successi tangibili ed evidenti, da esibire alle masse arabe in opposizione alla campagna di derisione della sua politica avviata dalla stampa giordana e saudita95, fanno propendere per l‘ipotesi che Nasser abbia sopravalutato gli esiti di una guerra limitata, incentrata su acquisizioni dal punto di vista politico, che gli avrebbero consentito di proseguire nella sua retorica e nella politica dell‘unità araba.

Le azioni siriane, la disinformazione sovietica, intenzionata a distruggere il programma nucleare israeliano96, e la volontà israeliana di condurre un‘azione di contrattacco difensivo anticipatorio, condussero agli eventi del giugno 1967.

In Israele, di fronte alla sfida egiziana e siriana, Levi Eshkol, allora Primo Ministro e Ministro della Difesa, ampliò il governo di centro-sinistra per includere nel gabinetto Moshe Dayan (al dicastero della Difesa) e Menachem Begin (leader del partito di destra Herut), entrambi favorevoli all‘espansionismo territoriale.

Questa nuova coalizione di unità nazionale (ad eccezione del piccolo partita comunista israeliano) era pronta a condurre un attacco anticipatorio contro il fronte arabo, nonostante gli avvertimenti contrari degli Stati Uniti.

Moshe Dayan riteneva che Israele potesse vincere lo scontro con i soli mezzi convenzionali e che la posizione difensiva (raccomandata dal suo mentore Ben-Gurion) fosse inappropriata per la sfida che le IDF avrebbero dovuto affrontare97.

Il contrattacco anticipatorio98 (preemption) sferrato dalle forze aeree, con la distruzione della gran parte dei velivoli da combattimento di Egitto, Giordania e Siria, fu seguito dall‘avanzata delle brigate corazzate che penetrarono in tutta la Penisola del Sinai, nel Golan e nella West Bank.

L‘obiettivo di maggior pregio, e valore simbolico, venne conquistato dai paracadutisti che, combattendo casa per casa, riuscirono a strappare alla Legione Araba giordana la parte araba di Gerusalemme, la parte di città in cui si trovava il Muro del Pianto.

95 Reiser Stewart, The Arab-Israeli Wars. A Conflict of Strategic Attrition, p.83;

96 Ritorneremo in seguito su tale affermazione scaturita da una nuova valutazione ed approccio delle fonti sovietiche, giacché pone sotto una nuova luce le intenzioni di Mosca, ben più interessata all‘atomica israeliana che alla retorica pan-araba di Nasser. Sul punto Ginor Isabella and Remez Gideon, Foxbats Over Dimona, Yale University Press, New Haven, 2007;

97 Morris Benny, Vittime. Storia del conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, p. 393

L‘occupazione territoriale israeliana e le conseguenze da questa derivate, cambieranno nuovamente il volto e le condizioni del conflitto, in modo radicale, con una nuova e diversa fase che, in forma più limitata, dura sino ad oggi, innestando al conflitto politico e storico elementi di tipo religioso, connessi all‘occupazione od al ritorno a Gerusalemme (secondo i punti di vista), tali da complicare le prospettive di un eventuale accordi di pace e di realizzazione dello Stato palestinese99.

99 Rabbi: Insult to say Jerusalem illegally occupied, Maan News Agency, 19 October, 2010; da www.maannews.net/eng;

Figg. 14 – 15 -16. Fasi della Guerra dei Sei Giorni Fonte United States Military Academy

Fig. 17. Territori Occupati da Israele a partire dalla fine della Guerra dei Sei Giorni