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LINEAMENTI GEOPOLITICI 2.1. Lineamenti geografici e geopolitici

2.2. Aspetti demografici

2.2.2 Opzioni per Israele

Le opzioni esaminate dal governo israeliano nel corso degli anni sono state diverse: le principali sono state di seguito riassunte e delineate.

67 The Herzliya Conference on the Balance of National Strength and Security in Israel, in ―Journal of Palestine Studies‖, Vol. 31, n. 1, Autumn 2001, p. 52

Trasferimento volontario

La prima opzione politica può esser considerata caratterizzata dal trasferimento della popolazione araba da qualche parte fuori Israele.

L‘idea del trasferimento, presente anche nel dibattito politico sionista pre-indipendenza, è stata collegata strettamente all‘obiettivo originario, di stabilire uno stato ebraico nella Palestina storica, un tema ricorrente e propugnato da personaggi del calibro di Chaim Weizmann (il primo Presidente), da David Ben-Gurion a Moshe Sharett (principale oppositore di Ben-Gurion nel Partito laburista).69

In merito, venne sempre considerata preferibile una politica di facilitazione al volontario trasferimento dei palestinesi, di fatto attuata in buona parte durante la Guerra d‘indipendenza del 1948-1949 (seppur senza un piano definito)70 attraverso la paura ingenerata fra la popolazione araba dalle avanzate delle forze militari israeliane, con l‘abbandono dei villaggi e delle abitazioni da parte degli arabi palestinesi.

Da parte della propaganda ufficiale israeliana, la fuga degli arabi palestinesi è stata sempre ritenuta volontaria e sollecitata dai governi arabi dell‘epoca; tale posizione è, però, stata sempre contraddetta dal desiderio di ritornare alle proprie abitazioni da parte dei palestinesi, che avevano dovuto lasciare le proprie città e villaggi71.

Secondo un sondaggio del marzo 2002, esisteva un‘ampia proporzione di popolazione, ebraica israeliana, favorevole al trasferimento della popolazione palestinese dai territori, con un 46 % degli intervistati propensa al diretto trasferimento dei palestinesi ed un 31%, del campione del sondaggio, disponibile all‘estensione del trasferimento ai cittadini arabi di Israele, seppur con il pagamento d‘incentivi monetari.72

L‘apparente supporto popolare e delle frange dei partiti della destra laica e religiosa al trasferimento della popolazione araba e palestinese dei Territori, per il rischio delle ovvie e dure reazioni internazionali, in primis degli Stati Uniti, di fatto è sempre stata considerata una politica inattuabile ed un tabù.

Cittadinanza piena

Una seconda opzione è stata quella di garantire la piena cittadinanza a tutti gli arabi che vivono in Israele: questa posizione è stata supportata, per esempio, dal Presidente della Corte Suprema

69 Zureik Elia, Demography and Transfer: Israel‘s road to nowhere, pp. 619-620

70 Morris Benny, Vittime. Storia del conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, BUR, Milano, 2001, pp. 241-247;

71 Ibid. p.251;

Aharon Barak e dai gruppi di difesa dei diritti civili.73

Tale scelta, teoricamente e legalmente corretta, pur essendo orientata al rispetto dei diritti civili, cavallo di battaglia dei partiti della sinistra israeliana, tuttavia, non trova che un minimo supporto in tali partiti, alla luce della evidente e fondata preoccupazione circa l‘ebraicità dello Stato d‘Israele.

In tale ambito è stata seguita, sempre, la logica della cittadinanza ineguale, per cui, nel rispetto dei dogmi sionisti, dovevano essere garantiti i diritti individuali, nonché alcuni di rappresentanza collettiva.

Proprio in tale situazione si evidenzia il limite della logica e della costruzione statale sionista, dal momento che:

1. la nazione ebraica deve avere uno Stato, per evitare la distruzione e lo sparpagliamento; 2. lo Stato ebraico deve avere una maggioranza ebraica, per evitare di essere perseguitato dalla

maggioranza;

3. lo Stato ebraico deve essere democratico, al fine di assicurare alla maggioranza (ebraica) di essere padrona del proprio destino.74

La piena ed eguale cittadinanza per gli arabi israeliani, pertanto, sarebbe in diretto contrasto con quanto definito al punto 2.

Cittadinanza ridotta

Una terza opzione potrebbe essere quella della concessione della cittadinanza ridotta agli arabi israeliani: a grandi linee la situazione reale, ora esistente.

Infatti, nonostante gli arabi abbiano avuto la possibilità di risiedere in ogni parte di Israele, a causa delle politiche ufficiali (e non ufficiali) sono stati trasformati in cittadini di seconda classe, attraverso regolamentazioni e leggi attinenti alla sicurezza e al possesso terriero.75

Per uno Stato impegnato ad essere una democrazia aperta e responsabile tale situazione non risulta certamente esemplare e mina l‘autorevolezza e le fondamenta della democrazia israeliana.

Separazione

La quarta alternativa consiste nella separazione in due entità o stati, ipotesi connessa sia agli accordi definitivi con l‘Autorità Nazionale Palestinese, sia in tempi relativamente recenti con la costruzione della barriera di sicurezza nella West Bank.

73 Ibid. p.626.

74 Rouhana Nadim N. and Sultany Nimber, Redrawing the Boundaries of Citizenship: Israel‘s New Hegemony, in ―Journal of Palestine Studies‖, Vol. 33, n.1, autumn 2003, p. 10.

75 Il Defence Regulations del 1945, ad esempio limitò la libera circolazione in Galilea. Sul punto Duffy Toft Monica, Demography and National Security: Population Shifts in Israel and the Implications for Policy, p. 31.

Mentre i termini di accordo con l‘ANP sembrano dilatarsi nel tempo, a causa di ragioni diverse, l‘idea della separazione che sottintende all‘edificazione della barriera di sicurezza ha avuto vecchie radici.

Durante i due mandati quale Primo Ministro di Yitzhak Rabin (1974-1977 e 1992-1995) venne espresso il desiderio di fissare Israele e Palestina, in due entità territoriali distinte e indipendenti; a tale proposito, nel 1995 Rabin diede vita alla Commissione Shahal, col compito di verificare la fattibilità della costruzione di una barriera divisoria tra i due territori.

In seguito all‘uccisione di Rabin, la pianificazione della barriera venne congelata; tuttavia, l‘idea della separazione fisica rimase nei progetti del governo israeliano.

Col premierato di Ehud Barak nel 1999, l‘ideazione del distacco fisico fra le due entità territoriali riprese nuovo vigore, specie fra le fila laburiste, venendo, al contrario, osteggiata dalla destra del Likud e dai partiti religiosi, quale concessione agli arabi della terra d‘Israele (Eretz Israel).

Già nel 2000, però, nel corso della citata conferenza di Herzliya, Ariel Sharon dimostrò un cambiamento di opinione, manifestando un chiaro interesse nel progetto, evidentemente per ragioni demografiche, ritenendo opportuna la separazione della popolazione israeliana da quella palestinese, con la definizione del territorio israeliano rispetto alle aree di pertinenza dell‘Autorità Nazionale Palestinese.