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Principi della strategia israeliana - Elementi operazionali

LINEAMENTI GEOPOLITICI 2.1. Lineamenti geografici e geopolitici

LINEAMENTI STRATEGICI

3.4 Principi della strategia israeliana - Elementi operazionali

Gli elementi operazionali della dottrina strategica di uno stato rappresentano la peculiare metodologia con cui le sue forze conducono le guerre e le battaglie.

I principali elementi operativi israeliani sono: 1. la propensione alle operazioni offensive; 2. l‘inclinazione alle azioni preemptive ed alla velocità nella condotta delle operazioni; 3. l‘attitudine all‘approccio indiretto, 4. lo sfruttamento dei vantaggi nelle macrocompetenze, che

86 Allon Yigal, The Making of Israel‘s Army, p. 100;

87 Mozgovaya Natasha , Israel's U.S. ambassador: No one will dictate Israel's borders, in ―Ha‘aretz‖, 19 October, 2010; da www.haaretz.com;

tratteremo brevemente, mentre l‘inclinazione alle operazioni interforze88 e combinate89, non verranno sviluppate in quanto non rilevanti ai fini del presente studio.

Questi fattori, saranno affrontati, succintamente, in quanto di stretta attinenza militare e specialistica, evidenziando solamente le caratteristiche salienti dal punto di vista storico, politico e strategico.

3.4.1 Operazioni Offensive

La propensione per le operazioni offensive trova riscontro in tutto il complesso delle operazioni militari dello Stato ebraico, dai primi anni di indipendenza; la massima Strategia difensiva eseguita offensivamente chiarisce l‘impostazione strategica delle IDF90.

Il dover portare la battaglia all‘interno del territorio nemico, infatti, rappresenta la soluzione alla vulnerabilità dovuta alle lunghe frontiere, determinate dopo l‘Armistizio del 1949, in assenza di una benché minima profondità strategica.

Una strategia difensiva, infatti, sarebbe stata troppo rischiosa per le potenziali conseguenze di una sconfitta o di una ritirata tattica dalla linea confinaria91.

La propensione offensiva rappresentava, quindi, non solo la migliore strategia difensiva, ma anche l‘unica.

Tali operazioni sono ritenute le uniche in grado di compensare l‘inferiorità numerica, in quanto, potendo scegliere il luogo ed il ritmo dell‘azione, le IDF possono concentrare le forze, ottenendo la parità o la superiorità nel punto d‘azione.

Solo attraverso la capacità di condurre azioni offensive, infatti, Israele può aspirare a raggiungere la vittoria decisiva, fulcro della dottrina della deterrenza ed unico mezzo per ridurre la durata dei conflitti, e quindi delle perdite umane.

3.4.2. La Preemption

La dottrina della preemption è insita nella strategia israeliana per gli stessi motivi che hanno comportato il favore verso le operazioni offensive; nell‘ambito della difesa, infatti, il ruolo delle operazioni di controffensiva preemptiva o contrattacco anticipatorio92 è evidente; rappresentano il modo attraverso cui, nel caso di un attacco, riuscire a portare il conflitto nel territorio nemico, per rispondere ai problemi quantitativi, demografici e geografici di Israele, minimizzandone i rischi in termini di costi materiali e di vite umane.

88 Operazioni interforze sono quelle che avvengono fra le diverse forze armate, Esercito, Marina ed Aeronautica, anche se la struttura delle IDF non prevede la ripartizione in armi distinte ma in servizi;

89 Operazioni Combinate sono quelle che si svolgono fra branche dello stesso servizio, ad esempio la cooperazione fra artiglieria e forze corazzate.

90 Ben-Horin Yoav, Posen Barry, Israel‘s Strategic Doctrine, p. 29;

91 Tal Israel, Israel‘s Defense Doctrine: Background and Dynamics‖, p. 25;

La controffensiva preemptiva, inoltre, può determinare lo scardinamento dei piani offensivi avversari, imponendo la necessità di improvvisazione a livello tattico del nemico (la cosiddetta nebbia della guerra di Clausewitz) 93, che a livello di minori unità dovrebbe favorire le migliori capacità di comando, di adattamento e di flessibilità israeliane.

Le operazioni controffensive, inoltre, nelle intenzioni delle IDF, dovrebbero ridurre la durata dello scontro bellico, riducendo la possibilità di intervento delle superpotenze (o della superpotenza), aumentando l‘effetto deterrente.

Nella proiezione controffensiva, inoltre, vi è anche un aspetto economico; la continua mobilitazione di riservisti, derivante da sostanziali modifiche della struttura e dell‘atteggiamento delle forze nemiche (mobilitazione di truppe, passaggio da una struttura stanziale ad una più offensiva, rilevate dall‘intelligence militare), costituisce un grave costo per l‘economia israeliana poiché, oltre agli oneri vivi di movimento delle truppe e di logistica, priva la struttura produttiva di manodopera e di quadri.

L‘attacco controffensivo, quindi, riduce la propensione avversaria ad utilizzare tattiche di logoramento e di attrito, permettendo alla struttura produttiva dello Stato ebraico di continuare ad operare, senza il rischio di bloccarsi a causa delle continue mobilitazioni94.

Connesso al concetto di preemption, inoltre, vi è quello di prevenzione od attacco preventivo (noto come guerra preventiva); la differenza concettuale fra i termini risulta fondamentale per la cronologia e l‘entità della minaccia.

Nella preemption la situazione è quella di un imminente attacco avversario contro uno Stato, le cui forze risponderanno con una controffensiva avente finalità di difesa, in questo frangente lo scontro fra Stati è imminente e certo.

Nell‘attacco o guerra preventiva i tempi non sono ristretti, le considerazioni che portano a tale forma di offensiva nascono quando la bilancia di potere inizia a cambiare a favore del nemico. Lo Stato che percepisce il cambiamento come pericoloso, non disponendo di altri modi per riequilibrare la situazione, decide di attaccare, per bloccare sul nascere l‘alterazione dei rapporti di forza, prima che la forza nemica sia troppo rilevante od impari.

93 La fog of war, la nebbia della guerra rappresenta l‘aspetto più moderno della teoria di Von Clausewitz in quanto introduce un aspetto di imponderabilità e complessità alla teoria della guerra, sino allora dominata dal determinismo geometrico di Jomini. In particolare l‘aspetto della nebbia della guerra introduce un primo elemento di non linearità, complessità e metafora nella dottrina polemologica. Sul punto Beyerchen Alan D., Clausewitz, Nonlinearity and the importance of Imagery, in Albert David S. and Czerwinski Thomas J. (eds.), Complexity, Global Politics, and National Security, National Defense University, Institute for national strategic Studies, Washington DC, 1997, pp. 159-167;

94 Lo Stato Maggiore israeliano calcolò (nel 1967) che oltre ai danni economici, ogni giorno di mobilitazione araba non ostacolata avrebbe determinato un aumento di circa 200 vittime al costo umano israeliano in caso di guerra. Sul punto Safran Nadav, Israel: The Embattled Ally, Belknap/Harvard, Cambridge, 1982, p. 411

La guerra del 1956, è un ottimo esempio di conflitto preventivo, i decisionmaker israeliani, infatti, reputando di non essere in grado di sostenere la corsa al riarmo egiziana, con la fornitura massiccia ed apparentemente illimitata di armi sovietiche tecnologicamente avanzate al governo di Nasser, optarono per l‘attacco prima che l‘introduzione dei nuovi armamenti (con la successiva messa in servizio operativo) alterasse la bilancia di potere95.

Il problema della preemption non è insito nell‘aspetto esecutivo militare bensì nella decisione politica, circa i costi e i riflessi internazionali, che un‘eventuale attacco potrebbe comportare. Il dilemma non è da poco, in effetti, unitamente agli interventi delle superpotenze96 ed alla problematica della velocità operativa, ha sempre condizionato la strategia militare israeliana; in tal senso, esemplificativa appare la fase prodromica della Guerra dello Yom Kippur, quando, la possibile pre-emption israeliana avrebbe potuto distruggere le aviazioni egiziane e siriane nonché le batterie contraeree dislocate lungo il Sinai.

La divulgazione delle minute delle riunioni del governo israeliano nelle ore precedenti l‘attacco, dopo 30 anni di segretazione, infatti, hanno rivelato che il Capo di Stato Maggiore delle IDF, David Elazar, aveva chiesto al Premier Golda Meir il via libera alla pre-emption, ottenendo parere contrario per le eventuali reazioni e ripercussioni da parte degli Stati Uniti97

3.4.3 La velocità operativa

La velocità nelle operazioni è stata considerata uno degli elementi fondamentali della strategia israeliana; la necessità di concludere al più presto i conflitti, al di là dell‘evidente riduzione delle perdite, risulta fondamentale nell‘anticipare l‘intervento delle potenze esterne, privandole della possibilità di influire sull‘andamento dello scontro militare98.

La vittoria operativa, chiara e decisiva, imposta dalle esigenze strategiche e di deterrenza, infatti, risulterebbe meno evidente se potenze esterne, con interessi nella regione, potessero intervenire, con pressioni politiche e diplomatiche, minacciando l‘intervento militare.

Nel passato, prima della caduta del Muro di Berlino e dello scioglimento dell‘Unione Sovietica, la velocità operativa israeliana aveva la funzione di impedire il riarmo arabo, conflitto durante, da parte sovietica, riducendo, nel contempo, la necessità del supporto logistico statunitense ad Israele, lesivo dell‘autonomia e delle possibilità di manovra politico-militari dello Stato ebraico. Analogamente, una rapida conclusione delle operazioni, serviva ad evitare l‘intervento di altri Stati arabi in supporto di quelli direttamente coinvolti nello scontro, consentendo, tra l‘altro, in

95 Questa è una delle varie motivazioni che sottesero all‘azione israeliana, come vedremo nel prossimo Capitolo, l‘attacco israeliano era visto come contropartita per l‘acquisizione della tecnologia nucleare francese. Sul punto Cohen Avner, Israel and the Bomb, Columbia University Press, New York, 1998, pp. 189-197;

96 Dayan Moshe, The story of my life, Warner Books, New York, 1976, p. 663;

97 Israel releases 1973 war papers to warn Syria, Hezbollah: Hands off Beirut!, in ―DebkaReport‖, 07 October, 2010; da www.debka.com;

ragione della strategia delle linee interne, di permettere alle IDF di concentrarsi su nuovi opponenti e nuovi obiettivi.

La combinazione di operazioni ad alto ritmo, che massimizzano i vantaggi qualitativi, e di guerre di breve durata che impediscono la mobilitazione delle maggiori risorse arabe sono i fattori che evidenziano l‘avversione israeliana alle guerre di attrito, le uniche in grado di esaurire militarmente, economicamente e politicamente lo Stato ebraico.

3.4.4 Approccio indiretto

La nozione di approccio indiretto venne coniata, durante il periodo fra le due Guerre Mondiali, dal teorico militare britannico Basil Liddel Hart; col termine viene indicata la ricerca e lo sfruttamento delle linee di minore resistenza, o di minore aspettativa nelle operazioni militari99; un elemento di questa strategia, ad esempio, è che il superamento di un terreno apparentemente invalicabile è preferibile all‘attraversamento di aree fortemente difese, oppure, che le operazioni sui fianchi del dispositivo nemico od il suo aggiramento sono più opportuni di un attacco frontale100.

La logica della strategia proposta da Liddel Hart s‘intravede nell‘analisi storica e militare del primo conflitto mondiale ove la ripetizione di assalti frontali, per conquistare qualche centinaia di metri di territorio occupato dal nemico (specie da parte francese e britannica), determinò una carneficina.

L‘influenza della strategia dell‘approccio indiretto nella dottrina militare ebraica è evidente101, anche se dal punto di vista pratico solo i primi comandanti israeliani, quali Yigael Yadin e Haim Leskov, in virtù della loro militanza nell‘esercito britannico, vennero in diretto contatto con tale formulazione dottrinaria102 trasmettendo, in seguito, la loro conoscenza agli altri ufficiali delle IDF, tra i quali Yitzhak Rabin; l‘approccio indiretto, quindi, è un sistema attraverso cui un esercito quantitativamente inferiore, può aspirare a sconfiggere uno superiore.

Richiede lo sfruttamento delle competenze manageriali e di comando degli ufficiali (fornendo una giustificazione teorica all‘avversione israeliana verso gli attacchi frontali e gli scontri prolungati), incoraggiando i soldati ad escogitare sul campo di battaglia, azione durante, sistemi ed alternative. in grado di permettere il raggiungimento degli obiettivi e la riduzione delle perdite.

3.4.5 Sfruttamento delle macro competenze

99 Liddle Hart Basil, Strategy, Praeger, New York, 1967; sul punto si veda anche Jean Carlo, Manuale di Studi Strategici, Franco Angeli Editore, Milano, 2004, pp. 162-163;

100 Col termine dispositivo si intende l‘articolazione in profondità e larghezza delle truppe;

101 Handel Michel, Israel‘s Political-Military Doctrine, in ―International Affairs‖, n. 30, July 1973, p. 67;

Le capacità operative israeliane sono fortemente incentrate sulla competenza professionale dei soldati ai vari livelli, ove fa premio la capacità di adattamento, l‘esempio e l‘iniziativa personale, una interpretazione ebraica della dottrina dell‘Auftragstaktik, inventata dallo Stato Maggiore Prussiano ed ampiamente impiegata dalla Wehrmacht del Terzo Reich103, in cui vengono esaltate la decentralizzazione delle operazioni, l‘improvvisazione, lo sfruttamento di tutte le occasioni senza attendere la preventiva autorizzazione dei superiori.

I riflessi negativi di tale strategia sono ovviamente connessi alle difficoltà di comando e controllo in operazioni complesse104. La progressiva parcellizzazione dello scontro militare e la complessità delle guerra moderna dovrebbero, in teoria avvantaggiare le forze israeliane; il conflitto del Libano nel 2006, tuttavia, ha evidenziato un calo di efficacia delle IDF che, di fronte ad un nemico determinato (Hezbollah), ben posizionato in termini difensivi e con un livello qualitativo non molto diverso, non sono riuscite ad ottenere la vittoria operativa.

Questo fatto non dimostra l‘inefficacia della dottrina militare in senso lato, piuttosto evidenzia le conseguenze della riduzione, quantitativa e qualitativa, dell‘addestramento delle riserve di mobilitazione, impiegate in compiti di polizia e di controllo delle aree a maggiore densità araba-palestinese, nonché, e soprattutto, alla mancata definizione degli obiettivi politico-militari da conseguire con le ostilità, da parte del vertice politico (Primo Ministro e Ministro della Difesa) e militare (Capo di Stato Maggiore).