1.3 Le guerre arabo-israeliane e l’espansione territoriale
1.3.2. La Guerra di Suez
Le conseguenze della Guerra di Indipendenza non si fecero attendere, nel mondo arabo si verificarono cambi di regime, con l‘ascesa di leader più radicali nella loro avversione ad Israele. L‘evento più importante, in tale contesto, fu l‘ascesa di Gamal Abdul Nasser in Egitto, un giovane ufficiale che nel 1948 era stato accerchiato nella sacca di Fallujah, vedendo le forze egiziane, soverchianti nel numero e negli armamenti, sconfitte dalle brigate delle IDF.
L‘esperienza bellica determinò un forte impatto (ed una notevole avversione verso lo Stato ebraico) nella visione nasseriana dei rapporti con Israele, la cui distruzione divenne uno dei punti fermi del programma del giovane Rais72.
La minaccia in questa fase era essenzialmente di natura convenzionale e proveniva, fondamentalmente, dall‘Egitto che, con esito parziale, tentava di forgiare un‘alleanza pan-araba che potesse affrontare decisivamente Israele.
La non accettazione della sconfitta non comportava, quindi, un‘immediata pianificazione di nuove ostilità, piuttosto, la strategia di protrazione dello scontro incominciò quando i leaders arabi si resero conto di avere il tempo come alleato e, quindi, la possibilità di scegliere le circostanze più favorevoli per raggiungere gli obiettivi fissati73.
Gli stati arabi avevano presunto una rapida vittoria sugli israeliani, non appena iniziata la guerra del 1948; avendo fallito lo sforzo preventivo (impedire la nascita dello Stato di Israele) per forza di cose dovevano restaurare la situazione ad una condizione pre-indipendenza74.
Le lezioni della Guerra del 1948/1943 saranno diverse per gli israeliani, in primo luogo la consapevolezza della mancanza di profondità strategica, per assorbire l‘urto dell‘attacco arabo congiunto, condizionerà la formulazione dottrinaria del giovane Stato, tenuto conto che il conflitto con gli eserciti arabi non sarebbe stato l‘ultimo; Ben Gurion, infatti, pur lodando pubblicamente le IDF, nel corso di un rapporto riservato con i diversi comandanti militari, ebbe modo di rilevare come la guerra non fosse stata vinta dalle forze israeliane per la loro brillantezza sul campo ma, piuttosto, poiché le forze arabe erano particolarmente disastrate75 Gli aspetti citati, pertanto, saranno successivamente recepiti e formalizzati nella dottrina dell‘offensiva, del contrattacco anticipatorio e della deterrenza che, a loro volta, influenzeranno la struttura delle IDF, con la formazione di un‘efficace forza aerea ed unità corazzate, tra loro coordinate; lo sviluppo di un efficiente sistema di mobilitazione e, di conseguenza, dal punto di vista geografico, il dispiegamento di una linea avanzata d‘insediamenti militari lungo la linea armistiziale, finalizzati ad assorbire il primo attacco arabo, che avrebbero dovuto garantire il tempo necessario per mobilitare le riserve ed affrontare il nemico nel suo territorio76.
La comparsa del Pan-arabismo (unità araba nella regione) ed il problema dei profughi palestinesi, sposterà lo scontro arabo-israeliano da una dimensione statale ad una dimensione
73 La convinzione circa la necessità di condurre una guerra prolungata continuò ancora negli anni ‘60, Azzam Pasha, all‘epoca segretario generale della Lega Araba, riassunse questa strategia nei seguenti termini: Noi abbiamo un‘arma segreta che possiamo utilizzare meglio delle pistole. . .e questa è l‘ora. Fino a quando non concluderemo la pace con i sionisti, la guerra non sarà conclusa e, sino a che la guerra non sarà conclusa non ci saranno vincitori e vinti. Non appena riconosceremo l‘esistenza dello Stato d‘Israele, con questo atto ammetteremo di esser stati sconfitti!‖. Sul punto Safran Nadav, From War to War: The Arab-Israeli Confrontation, 1948–1967, Pegasus Press, New York, 1969, p. 39;
74 Reiser Stewart, The Arab-Israeli Wars. A Conflict of Strategic Attrition, p.75;
75 Sul punto Aronson Shlomo and Brosh Oded, The Politics and Strategy of Nuclear Weapons in the Middle East, p.51, che riporta in nota il commento di Ben Gurion nei suoi diari di Guerra 1948/1949, in esito al rapporto tenuto il 27 novembre 1948 ai comandanti di fronte e di brigata;
76 Steinitz Yuval, Defensible Borders for a Lasting Peace, Jerusalem Center for Public Affairs, Jerusalem, 2008, p. 24;
ideologica e nazionalistica, non più lotta fra Stati, ma confronto fra destini nazionali, fra sionismo e nazionalismo arabo77.
Proprio nel momento in cui il Presidente egiziano, Gamal Abdel Nasser, riportò in auge l‘idea dell‘unità araba, trovando notevoli consensi fra le masse arabe, i due principali ostacoli alla pacificazione (il problema dell‘estensione dei confini israeliani e quello dei rifugiati palestinesi), cambieranno ancora di prospettiva, Israele non sarà più solamente un limite geografico, bensì un ostacolo fisico e politico all‘unità araba.
Dal punto di vista arabo non vi erano incentivi a condurre trattative di pace né possibilità e volontà di combattere; gli israeliani, invece, mancavano degli strumenti necessari per forzare il fronte arabo ad accettare la pace, mancando di valide contropartite.
La libertà d‘azione politica e militare del governo ebraico era ridotta, problemi di ordine militare (ristrutturazione delle IDF) e di natura economica e sociale (afflusso di rilevanti masse d‘immigrati da sistemare in uno Stato in fase di costituzione) rendevano difficile forzare la situazione, attraverso un nuovo scontro.
Sino al 1956, la mancanza di conflitto armato si può imputare, pertanto, alle minori capacità militari arabe ed alla mancanza di occasioni per utilizzare la superiorità militare israeliana, solo con la guerra del 1956, Israele si troverà nelle condizioni di poter colpire.
Dagli anni Cinquanta in poi, la Guerra Fredda modificò le dinamiche inter-arabe ed arabo-israeliane.
Le esigenze di contenimento dell‘espansionismo sovietico spinsero, nel 1954–55, la Gran Bretagna (supportata dagli Stati Uniti), ad organizzare un‘alleanza di stati mussulmani in funzione anticomunista, incentrata sull‘Iraq e chiamata Patto di Baghdad78.
Il patto di Baghdad aveva la funzione secondaria di controllare la regione in chiara prospettiva anti nasseriana; il leader egiziano temendo la ripresa del potere e della proiezione occidentale nella regione, riuscì con successo a mobilitare le masse in Giordania, Siria ed Arabia Saudita, contro l‘installazione di basi occidentali nei rispettivi territori, venendo ampiamente ricompensato per la sua politica dall‘Unione Sovietica, con rifornimenti di armi79.
Lo sconvolgimento del monopolio militare e diplomatico occidentale nella regione condusse all‘infruttuosa invasione del Canale di Suez, e del Sinai, da parte di Gran Bretagna, Francia ed Israele.
77 Reiser Stewart, The Arab-Israeli Wars. A Conflict of Strategic Attrition, p.76;
78 Ibid. p. 77;
Le due potenze occidentali, infatti, nel tentativo di reagire alla nazionalizzazione della Società gerente il Canale di Suez (cui detenevano la gran parte delle azioni) cercarono un casus belli per intervenire, pianificando un‘azione congiunta, con Israele, nella veste di aggressore.
Lo Stato ebraico fu coinvolto nel conflitto per una serie di ragioni differenti: 1. lo sconvolgimento dell‘equilibrio militare, con l‘arrivo d‘ingente armamento sovietico di ultima generazione, doveva essere prevenuto prima dell‘immissione delle armi nelle forze armate egiziane (quindi prima che il materiale bellico fosse inserito nel ciclo logistico ed il personale addestrato all‘impiego); 2. un fattore importante nella partecipazione ebraica alla guerra era la volontà dello Stato Maggiore delle IDF (in particolar luogo di Moshe Dayan) di modificare i confini ed acquisire profondità strategica nel Sinai80; 3. il blocco dello Stretto di Tiran, attuato dagli egiziani, era inaccettabile, restringendo, di fatto, la possibilità di continuare nel commercio internazionale e nell‘importazione di petrolio; tale evento, poi, costituiva una delle azioni considerate dallo Stato ebraico come potenziale casus belli; 4. la decisione strategica e geopolitica di Ben-Gurion, vista l‘impossibilità di concludere accordi di sicurezza con gli Stati Uniti81, di cercare l‘alleanza con la Francia (il rancore covato dal Premier israeliano verso la Gran Bretagna era ancora vivo) 82 quale potenza tutelare e (sulla base di accordi segreti stilati a Sevres) accedere alla tecnologia nucleare transalpina grazie alle relazioni strette del giovane direttore generale del Ministero della Difesa, Shimon Peres83. Il piano bellico prevedeva un attacco israeliano nel Sinai, seguito dall‘intervento franco-britannico per difendere il Canale. Il piano funzionò parzialmente, all‘impressionante sequenza di vittorie ebraiche, fecero da contraltare le difficoltà tattiche e le indecisioni delle due potenze europee.
Stati Uniti ed Unione Sovietica, alla luce delle possibili conseguenze dell‘intervento, fecero pressioni sui tre paesi invasori per ragioni simili, sebbene competitive.
Le due superpotenze volevano aumentare la loro influenza nel mondo arabo, a discapito dell‘altra, così come di Gran Bretagna, Francia ed Israele.
80 Handel Michel, Israel‘s Political-Military Doctrine, in ―International Affairs‖, n. 30, July 1973, p. 62;
81 Il Dipartimento di Stato americano temeva che appoggiare Israele, e vendere armi allo Stato ebraico, avrebbe spostato gli arabi verso l‘Unione Sovietica. Gli Stati Uniti, continuarono con la politica di embargo militare verso Israele sia per mantenere un appeal verso gli Stati arabi ―moderati‖ sia per una politica filo-araba, dovuta a ragioni petrolifere, ben radicata nel Dipartimento di Stato. L‘embargo statunitense sulla vendita iniziò il 5 dicembre 1947 (prima della guerra di indipendenza israeliana) e venne rinnovato in seguito alla Dichiarazione Tripartita del 25 maggio 1950, dove Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia si impegnarono a mantenere la bilancia degli armamenti nella regione mediorientale. Sul punto Van Creveld Martin, La spada e l‘ulivo, p. 208; Ziv Guy., Israel‘s Bomb: The Decision to Go Nuclear and The Policy of Nuclear Ambiguity, paper presented at International Studies Association Convention, Honolulu, Hawaii, March 1-5, 2005, p 3;.
82 Sul punto Van Creveld Martin, La spada e l‘ulivo, p. 209; Cohen Avner, Israel and the Bomb, Columbia University Press, New York, 1998, pp. 52-55
L‘attacco preventivo contro l‘Egitto fu scelto, quindi, come ultima possibilità di impedire la completa integrazione delle armi sovietiche nelle forze armate egiziane, ed impedire nel breve e medio termine l‘offensiva delle forze nasseriane; d‘altro canto dovevano essere bloccate le scaramucce di frontiera con l‘Egitto e, soprattutto, i raid di confine dei feddayyin che, pur non mettendo in pericolo l‘integrità dello Stato ebraico, erano una minaccia continua per la vita degli insediamenti ebraici di confine.