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Military Activism – Political Activism

LINEAMENTI GEOPOLITICI 2.1. Lineamenti geografici e geopolitici

LINEAMENTI STRATEGICI

3.5. L’evoluzione della strategia israeliana nel tempo

3.5.1 Military Activism – Political Activism

La difficile posizione geostrategica nei primi anni di indipendenza107, infatti, portò all‘evoluzione di due scuole di pensiero, rispettivamente, rappresentate dal Primo Ministro Ben Gurion e dal Ministro degli Esteri Moshe Sharett.

La prima visione strategica, denominata Military Activism, venne formulata da Ben Gurion che riteneva la rappresaglia militare sproporzionata, in caso di infiltrazioni ed attacchi terroristici arabi, unico ed effettivo deterrente. L‘idea che sottendeva questa strategia era che, essendo l‘opinione internazionale un elemento marginale rispetto agli interessi vitali ebraici, la sicurezza immediata dello Stato precedeva qualsiasi considerazione diplomatica e politica.

Il principale sostenitore di tale strategia, il Capo di Stato Maggiore delle IDF Moshe Dayan, infatti, era stato influenzato dalla dottrina del Muro di Ferro, propugnata da Ze‘ev Jabotinsky108,

105 Cohen Avner, Israel and the Bomb, pp. 12-15;

106 Morris Benny, Vittime. Storia del conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, pp. 340-347;

107 Alla fine della Guerra d‘Indipendenza, Israele sperimentò l‘intransigenza araba e l‘ambivalenza internazionale. Vi furono 10.000-15.000 tentativi di infiltrazione. Lungo il confine Giordano circa 250 civili israeliani furono uccisi e circa 1000 furono i feriti. L‘ascesa dell‘ideologia pan-arabista rese difficile un accomodamento della questione confinaria, mentre, il corso politico dell‘Amministrazione Eisenhower, teso a rafforzare l‘influenza statunitense nei Paesi Arabi, stava isolando politicamente Israele. In contemporanea all‘abbandono del supporto sovietico nel 1953, l‘UN Mixed Armistice Commission (MAC) non era in grado di fornire risposte al problema delle infiltrazioni dei feddayen. Morris Benny, Vittime. Storia del conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, pp. 345;

e riteneva fondamentale rispondere in maniera dura ed indiscriminata agli attacchi dei feddayen, per spingere i confinanti a bloccare tali incursioni109.

Oltre alla strategia di risposta alle infiltrazioni arabe, il contrasto esistente con la posizione di Moshe Sharett derivava dalle diverse valutazioni in ordine: 1. alle posizioni da tenere nei confronti degli Stati arabi; 2. al ruolo da attribuire alla comunità internazionale; 3. al rapporto fra ruolo della diplomazia e quello della forza militare.

Le caratteristiche principali del Military Activism sono sinteticamente riassumibili in:

1. supremazia della difesa rispetto alla diplomazia: Ben Gurion riteneva che la classe dirigente militare dovesse giocare un ruolo decisivo nella vita dello Stato e che il consolidamento delle IDF era di fondamentale importanza; in tale ambito le iniziative diplomatiche erano ritenute di minor influenza sugli eventi della regione, il ruolo del Ministero degli Esteri era di spiegare e difendere le politiche di sicurezza, piuttosto che concorrere a formarle;110

2. sopravvivenza attraverso la deterrenza: la fermezza militare era la chiave per l‘accettazione araba.111

3. rappresaglia militare: la risolutezza militare doveva prendere la forma di rappresaglia contro le infiltrazioni arabe, presupponendo che il fallimento nelle risposte sarebbe risultato espressione di debolezza112;

4. le azioni militari erano considerate un deterrente utile113, e l‘unico modo, per convincere gli Stati arabi a frenare le infiltrazioni, creando un clima politico per accordi più favorevoli ad Israele.

5. Limitata importanza dell‘opinione pubblica internazionale: Ben Gurion riteneva che Israele fosse destinato ad essere isolato nel contesto mondiale e valutava che, lo Stato ebraico, dovesse interiorizzare il fatto di non poter fare affidamento sull‘ONU o gli altri Stati per la propria sicurezza114.

108 La dottrina del muro di ferro di Ze‘ev Jabotinsky riteneva che la pace fosse possibile solo quando gli Stati arabi avessero interiorizzato l‘impossibilità di distruggere Israele. Sul punto Military Activism al sito www.reut-institute.org;

109 Maoz Zeev, The Unlimited Use of the Limited Use of Force: Israel and Low-Intensity Warfare, 1949-2004, Paper presented at the annual meeting of the International Studies Association, Montreal, March 17-20, 2004, pp. 3-6;

110 Sheffer Gabriel, Moshe Sharett: Biography of a political Moderate, Oxford University Press, New York, 1996, pp. 684-685;

111 Brecher Michael, The Foreign Policy System of Israel : Setting, Images, Process, Yale University Press, 1972, p. 284;

112 Maoz Zeev, The Unlimited Use of the Limited Use of Force: Israel and Low-Intensity Warfare, 1949-2004, , p. 8;

113 Voce Military Activism al sito www.reut-institute.org;

114 In un passo del suo diario Ben Gurion riteneva che ciò che era importante non era quello che i goyim (i gentili) avrebbero detto ma quello che gli ebrei avrebbero fatto. Sul punto Military Activism al sito www.reut-institute.org; e Cohen Avner, Israel and the Bomb, p.43;

La posizione contraria a quella di Ben Gurion era definita Political Activism, un approccio di politica estera, propugnato da Moshe Sharett che consigliava l‘autocontrollo delle forze militare, enfatizzando l‘importanza della politica e della diplomazia, per assicurare la sicurezza nazionale israeliana.

La posizione di Sharett era ispirata da Chaim Weizmann e contava numerosi sostenitori fra i membri del Mapai (Partito Laburista), del Mapam (partito di sinistra pacifista), del Partito Nazionale religioso (National Religious Party NPR) e del partito General Zionists115.

Il Political Activism rispetto alla visione strategica di Ben Gurion, all‘opposto, era caratterizzato da:

1. gestione del conflitto: Sharett era scettico circa la possibilità di un rapido e veloce aggiustamento del conflitto arabo-israeliano, ritenendo che dovessero essere cercati altri sistemi per contenere lo scontro ed abbassarne il profilo116;

2. ricerca della legittimazione internazionale: la necessità di gestire il conflitto, determinava l‘importanza del supporto internazionale, unico sistema attraverso cui Israele poteva assicurare i propri interessi; non avere riguardo per l‘opinione pubblica internazionale avrebbe danneggiato lo Stato;117

3. controllo militare: per mantenere la legittimità internazionale di Israele, bisognava ridurre la tensione e raccomandare l‘autocontrollo nella risposta alle infiltrazioni arabe; le forze militari erano necessarie, ma spesso la rappresaglia peggiorava la situazione, infiammando gli animi e creando una atmosfera politica in cui gli Stati arabi non vedevano alcuna utilità nel prendere misure atte a contenere le infiltrazioni dei feddayen.118

La forza militare doveva essere utilizzata quale ultima risorsa, quando gli obiettivi della nazione non potevano essere raggiunti attraverso mezzi diplomatici.

4. integrazione della Difesa e della Diplomazia: Sharett reputava che il Ministro degli Esteri dovesse prendere parte attiva nella formazione della policy israeliana di sicurezza (piuttosto che spiegare alla comunità internazionale le azioni delle IDF).

Il Political Activism, per questa motivo, propugnava l‘integrazione fra le questioni militari e quelle diplomatiche, bilanciando le due posizioni estreme, di esclusivo affidamento sulla forza militare, da un lato, e raccolta del solo consenso internazionale dall‘altra.

115 Sheffer Gabriel, Moshe Sharett: Biography of a political Moderate, pp. 687-688;

116 Ibid. p. 689;

117 Il Political Activism, pertanto, comportava lo sfruttamento di tutti i benefit economici, politici e diplomatici connessi all‘ONU, promuovere la mediazione esterna dei conflitti, vedendo la Diaspora ebraica come sorgente di supporto morale, politico ed economico.

118 Shalom Zaki, Strategy in Debate, Arab Infiltration and Israeli Retaliation policy in the early 1950s, in ―Israel Affairs”, Vol.8, no.3, Spring 2002, p111.

La contesa strategica, oltre a riguardare le risposte da dare alle infiltrazioni terroristiche nel territorio israeliano, comportava una profonda riflessione sul ruolo complessivo della forza militare e della deterrenza, nel contesto delle politiche di sicurezza di Israele.

La posizione dei fautori del Military Activism era basata sulla deterrenza generale (derivante dall‘assetto strategico e dalla forza delle IDF) e sulla deterrenza specifica, generata da azioni ritorsive ad attacchi terroristici, uso di rappresaglia militare sproporzionata, per affrontare le singole minacce e mantenere lo status quo.

Il contrasto ebbe termine con la netta vittoria di Ben Gurion e di Dayan, e le dimissioni di Moshe Sharett nel 1956, determinando l‘utilizzo in modo pressoché esclusivo, nella formulazione ed implementazione della politica strategica israeliana, dell‘uso della forza e della deterrenza, plasmando così le successive politiche di sicurezza e le relazioni col mondo arabo e col nascente nazionalismo palestinese.

Dal punto strettamente polemologico, il rifiuto del Political Activism, rappresentò un altrettanto rigetto della concezione clausewitziana della guerra, quale proseguimento della politica con altri mezzi119, ingenerando l‘errata convinzione nello Stato Maggiore delle IDF e nei vertici dello Stato ebraico, che la deterrenza e l‘esclusiva forza militare avrebbero consentito la soluzione dei problemi di sicurezza israeliani; certamente, l‘evoluzione storica e strategica del conflitto prolungato fra arabi ed israeliani, nel caso fosse prevalsa la posizione più diplomatica di Sharett, avrebbe potuto determinare un corso storico verosimilmente diverso in quanto, proprio l‘applicazione del concetto di deterrenza non impedì i successivi conflitti e non garantì ad Israele la sicurezza sino al 1973.

119 Keegan John, La grande storia della Guerra, Mondadori, Milano, 1995, p. 9;

Fig. 62 – Direzioni di attacco e infiltrazione dei feddayen agli inizi degli anni ’50. Fonte US Military Academy