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L’equilibrio della composizione è un tema che viene indagato a fondo dagli architetti italiani e spagnoli nel secondo dopoguerra. Potrebbe essere defi nito come atteggiamento che tende ad risolvere le tensioni nell’opera architettonica e lo fa cercando di mantenere lo stesso livello qualitativo per tutte le parti che costituiscono l’edifi cio.

Questo atteggiamento riguarda il progetto nella sua totalità, fa parte della sua idea costitutiva e

si rifl ette quindi in pianta, prospetto e sezione. Questa modalità di organizzare l’edifi cio rappre- senta un passo avanti rispetto alle ricerche del movimento moderno le quali, pur rinunciando ad idee come quella della facciata principale, dimostravano comunque una gerarchia tra le parti dell’edifi cio. Una sensibilità lontana anche da quella della contemporaneità nella quale infl uisce il carattere comunicativo che spinge alla creazione di un’immagine rappresentativa dell’edifi cio.

IL DISEGNO

In questo periodo i disegni non hanno la funzio- ne di manifesti (come avviene per i costruttivisti russi, per i maestri del Movimento Moderno e si pensi a Le Corbusier o al grattacielo di Mies), non sono studi o ricerche in sé compiuti (come avviene per i disegni di Superstudio o Aldo Ros- si) e non sono neppure diagrammi concepiti con il solo scopo di illustrare e presentare il proget- to (come accade di frequente nella contempo- raneità) ma sono semplicemente un mezzo che permette di controllare il progetto e la sua ese- cuzione, e solo raramente sono anche uno stru- mento di ricerca progettuale.

Questa modalità di concepire il disegno ha di- verse motivazioni delle quali una è sicuramente quella pratica ovvero il fatto che la grande mole di lavoro che svolgono gli architetti non consen- te agli stessi di dedicarsi al disegno come ogget- to autonomo. Al di la della componente pratica

vi sono dei motivi ben precisi ovvero il fatto che il principale oggetto di indagine del dopoguerra è lo spazio e il disegno da solo non è capace di rappresentare le qualità spaziali di un progetto che si “realizza” solo quando diventa percorri- bile e fruibile.

Inoltre non s’è una ricerca della dimensione uto- pica, si progetta per risolvere problemi reali e presenti, possibilmente ben conosciuti da parte dell’architetto

In molti casi gli architetti concepiscono l’opera e ne defi niscono le parti a mente, prima di avvici- narsi al tavolo da disegno ed è questo il motivo per il quale alcuni progettisti limitano al massi- mo la fase degli schizzi e degli schemi, passando quasi immediatamente al progetto fi nale. Biso- gna comunque immaginare la condizione del secondo dopoguerra, nella quale la richiesta di prestazioni nei confronti degli architetti è altis- sima mentre la documentazione richiesta dalle autorità competenti prima dell’avvio dei lavori è minima. Zacchiroli racconta così il proprio rapporto con lo strumento del disegno: “io sono

solito lasciare passare del tempo prima di incomin- ciare a disegnare.Ho bisogno di sapere cosa voglio fare; è soltanto quando riesco con l’immaginazione a camminare dentro e attorno al progetto che co- mincio a disegnarlo.”2

I disegni di Mario Ridolfi hanno lo scopo di con- trollare l’esecuzione dell’opera e servono a prendere in considerazione tutte le variabili per cui forniscono qualunque tipo di informazione

2 ZACCHIROLI, Enzo in SIGNORINI, Sergio, “Con-

versazione con Enzo Zacchiroli”, Costruire in laterizio n.61 pp

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sul progetto e non è un caso che lo stesso Ri- dolfi sia stato autore del manuale dell’architetto. Allo stesso modo lavora Albini come riporta Vittorio Prina ““Il corpus dei disegni di proget- to albiniani ci informa (...) del costante e quasi maniacale tentativo di controllare la realtà del progetto attraverso un numero sconcertante di elaborati esecutivi che indagano, smembrano, scompongono il progetto stesso; prassi che in- dica il tentativo di assicurarsi un’esecuzione per- fetta per mezzo dello strumento del disegno”3.

Il molti casi il disegno non giunge ad una defi ni- zione del dettaglio anche per motivi pratici in- fatti occorre sottolineare come spesso le tecno- logie costruttive sono molto semplici date sia la scarsità dei materiali a disposizione, sia la quasi assente automatizzazione del processo edilizio, inoltre la manodopera estremamente com- petente si dimostra in grado di offrire prezio- si suggerimenti al progettista durante la fase di realizzazione dell’opera. Alcune opere vengono addirittura eseguite senza un progetto e questo accade in casi rarissimi, come per la Scala del Cabirol di Capo Caccia seguita dall’architetto Antonio Simon Mossa, per la quale, come affer- mano i collaboratori dello studio, sarebbe stato impossibile ipotizzare un intervento basandosi solo sullo strumento grafi co del progetto, inca- pace di prendere in considerazione le numerose e consistenti variabili offerte dal sito. Lo stesso Simon Mossa nel periodo di espansione edilizia in Costa Smeralda elabora una serie di progetti tipo da mostrare ai committenti durante i pri-

3 PRINA Vittorio, “In una rete di linee che si interseca- no”, in Piva Antonio, Prina Vittorio, “Franco Albini 1905-1977”, Milano, Electa, 1998, p.10

mi incontri per valutare con loro le varie pos- sibilità progettuali, usando dunque il disegno in questo caso come strumento per l’interazione con la committenza che ha la possibilità di ca- pire con chiarezza le proposte del progettista e valutarle dopo averle viste e capite. Il disegno è così un dispositivo descrittivo delle possibilità e delle intenzioni compositive, informazioni che si rendono così accessibili anche alla committenza estranea in materia.

SUPERAMENTO DEL RAZIONALISMO: RILETTURA DEI CINQUE PUNTI DI LE CORBUSIER

Se dunque, in Italia, già tra le due guerre la com- ponente razionalista veniva riletta e metaboliz- zata, questo fenomeno subisce una accelerazio- ne dopo la seconda guerra mondiale.

Il razionalismo però resta presente ed entra a far parte di un vocabolario espressivo ampio e complesso.

Ciò naturalmente implica la perdita di purezza ma ne consente una equilibrata metabolizzazio- ne.

La legge di gravità è uno degli elementi con cui l’architettura deve confrontarsi, data la pro- pria natura. Il razionalismo esprime attraverso i pilotis la volontà di contrapporsi allo schema naturale di pesante e leggero espresso come stereotomico e tettonico e rappresentato dal dualismo caverna-capanna.

Nel dopoguerra il rapporto tra peso dell’edifi - cio e profi lo del terreno assume una dimensione poetica.

Dunque se edifi ci come quelli di Mario Rifolfi ed Ignazio Gardella (in particolare le Case Borsali- no ad Alessandria) dimostrano un saldo innesto nel terreno, altri cercano di sollevare il blocco compatto dal suolo e lo fanno attraverso la cre- azione di una scura e a volte stretta zona d’om- bra, (Monaco e Luccichenti nelle due palazzine al circo massimo, il monumento alle fosse arde- atine, Luigi Moretti nelle fessure orizzontali alla palazzina Astrea, al Girasole, il blocco di Corso Italia, ecc...).

Luigi Moretti per il progetto della torre di Mon- treal, dimostra l’intenzione di sollevare l’ edifi - cio dal terreno e lo fa per mezzo dei quattro piloni angolari che, opportunamente disegnati, sembrano voler negare la propria funzione di sostegno dell’edifi cio da cui si distaccano per se- zione e colore. I volumi aggettanti sui lati invece creano una zona d’ombra che cela le vetrate de- gli ingressi ed allo stesso tempo fungono, per il visitatore, da mediazione tra interno ed esterno. Il risultato è che l’edifi cio sembra sollevato dal terreno e l’impressione, a prima vista, è quella di una grande permeabilità del livello basso, anche grazie all’ombra generata dall’aggetto che limita la rifl essione del vetro e ne esalta la trasparenza. La pianta libera e la facciata libera trovano una scarsa applicazione nel dopoguerra. Criteri di economicità relegano tali operazioni agli edifi - ci più ricchi come la palazzina Girasole a Roma di L. Moretti o la casa al Parco di I. Gardella a Milano. Dall’altra parte il problema di sfrutta- mento degli spazi e la necessaria rapidità d’ese- cuzione fanno in modo che la struttura a telaio sia la base su cui vadano a porsi le tamponature. In Italia ne sono dimostrazione due tra le opere più infl uenti: le case Borsalino ad Alessandria di I. Gardella e le torri in viale etiopia di M. Ridol- fi (edifi ci che appaiono sul primo numero del- la rivista Casabella-Continuità che riprende ad essere stampata dopo l’interruzione dovuta al confl itto). Gli edifi ci romani di M. Ridolfi , come il contemporaneo progetto della palazzina a Par- ma di F. Albini, mostrano addirittura il telaio in facciata: i loro prospetti non vengono rivestiti né rifi niti con intonano e mantengono esplicite

le loro ragioni strutturali. Tale metodo infl uenza in modo profondo l’architettura ma soprattutto l’edilizia speculativa dei decenni successivi. In Spagna il discorso è analogo, a Barcelona gli edifi ci di Coderch, come quelli dello studio MBM rispettano rigidamente la griglia strutturale sia in planimetria che in prospetto dove le aperture tornano ad essere semplici bucature nel para- mento murario che comprende la struttura. A Madrid viene realizzata Casa Sindical di F. Ca- brero e R. Abiurto, la cui griglia di facciata man- tiene la chiarezza della struttura in calcestruzzo armato.

Data la struttura in facciata, diventa impossibile realizzare la fi nestra a nastro e le aperture sono ridotte a bucature tra le campate di facciata. Tale fenomeno è dovuto, tra le altre cose, all’econo- micità del serramento prodotto in serie. La Spa- gna si allontana dalle fi nestre a nastro dell’edifi cio Carriòn nella Gran Via di Madrid (Luiz Martinez Feduchi e Vicente Eced) o dal Cine Barcelò di Madrid di Luis Gutierrez Soto, che avevano ben rappresentato il razionalismo nella penisola ibe- rica. Addirittura, come avviene in progetti come la palazzina alla Barceloneta di J.A. Coderch o in quelli di I.Gardella, viene evidenziata la vertica- lità dell’edifi cio e le fi nestre vengono allineate, andando a defi nire nastri verticali. I. Gardella usa frequentemente l’allineamento verticale con lo scopo di suddividere l’edifi cio in due o più parti complementari ma distinte.

Al tetto piano viene preferito il tetto tradiziona- le in varie forme. A volte si presenta orizzontale come un cornicione, soprattutto per quanto ri-

guarda gli edifi ci urbani, si pensi alla Rinascente di F. Albini o alla casa alla Barceloneta di J.A. Co- derch, a volte presenta spioventi, come accade in genere per gli edifi ci rurali di Fernandez del Amo, dello stesso F. Albini, di M. Ridolfi , ecc...

L’ALZATO: