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Una nuova architettura

L’ARCHITETTURA RURALE

Nel 1964, dopo ventitré anni dal primo con- tatto, Bernard Rudofsky riesce a realizzare al Moma la mostra “Architecture without archi- tects”. La mostra focalizza l’attenzione sulle architetture anonime, mettendone in evidenza le caratteristiche formali, che l’autore ritiene di grandi qualità, e il suo scopo è dimostrare come dall’architettura anonima si possano estrarre elementi linguistici da integrare alla tradizione colta dell’architettura moderna.

Come riporta Luca Ugolini “È curioso scoprire che

Rudofsky va proponendo un’esposizione del genere fi n dal 1941, quando l’architetto si reca negli Stati Uniti per la prima volta, avendo vinto un premio del MoMA Design Competition nel settore Sud Ameri- ca; nel viaggio Rudofsky e la moglie incontrano qua- si tutti i più famosi architetti e ricercatori dell’epo- ca, Gropius, Chermayeff, Saarinen, Neutra e molti altri. In quel primo incontro con l’istituzione cultura- le statunitense, l’allora responsabile del settore ar- chitettura del MoMA Philip Goodwin gli propone un allestimento per un’audience moderna, e Rudofsky in risposta suggerisce un’esposizione sull’architet- tura vernacolare vista e fotografata nei suoi viaggi

In alto: Edifi cio Capitol a Madrid Al centro: Club Nautico di San Sebastian In basso: Dispensario antitubercolare di Alessandria

elementi compositivi dell’architettura anonima si uniscono alla corrente realista e a quella orga- nica, stabilendo un legame inscindibile. Lo dimo- stra la rivista “Architettura Cronache e Storia” diretta da Bruno Zevi la quale da ampio spazio, in ogni numero, allo studio di esempi anonimi. Lo sforzo di studio e rivalutazione dell’architet- tura rurale è rivolto allo scopo, espresso da E.N. Rogers secondo il quale: “Si debbono stabilire le relazioni tra la tradizione spontanea (popolare) e la tradizione colta per saldarle in un’unica tra- dizione.”

La mostra di Giuseppe Pagano sull’architettura Rurale, consentita dal governo fascista grazie al tema del popoamento delle campagne sul quale lo stesso governo stava lavorando, permette- va all’autore di mettere in evidenza i principi di logica e semplicità di tale architettura e questo era lo stesso scopo con cui sulle colonne del- la rivista spagnola AC venivano presentati stu- di su edifi ci rurali. La stessa cosa in Italia veniva affermata sulla rivista Domus, grazie ad articoli di Bernard Rudofsky o di Giovanni Michelucci, oltre che dalla mostra di Pagano.

Se la mostra sull’architettura senza architetti la- scia il segno nell’ambiente architettonico inter- nazionale, essa non è una sorpresa per quello italiano, come dimostra la frase di Vittorio Gre- gotti che nel 1968 afferma che l’architettura spontanea “col suo repertorio formale straordina-

rio infl uenzò direttamente per molti anni l’archi- tettura italiana nel suo sforzo di contatto con gli strati popolari”8. La stesso discorso vale per la

Spagna come dimostrato dal Padiglione proget- tato da Coderch per la Triennale di Milano del 1951 e dal Collage che ha un impatto fortissimo sulla cultura architettonica ma anche sullo stes- so processo progettuale per le generazioni a lui contemporanee e successive.

Gli architetti italiani, come quelli spagnoli, si di- mostrano grandissimi debitori dell’architettura anonima e per capirlo basta studiare le fi gure di spicco come Gardella, Figini e Pollini, Quaroni, Coderch o Fernandez del Amo, i quali individua- rono il proprio fi lone di ricerca proprio nello svi- luppo dei temi dell’architettura spontanea. Gli

8 GREGOTTI, Vittorio,”Il territorio dell’architettura”, Milano, Feltrinelli, 1966

Al centro: Tribune dell’ippodromo Tor di Valle progettate da Julio Lafuente

“in collaborazione” per fabbriche importanti, pa- lazzi e palazzine ove ancora gli etimi stilistici del momento si coniugano con la memoria dell’antico, della tradizione, attraverso un dialogo serrato tra forme e materiali, tra signifi cati e memorie storiche della città e delle sue “case” e gli itinerari più nuovi delle avanguardie artistiche internazionali. “9 IL LEGAME CON GLI ARTISTI

Uno dei problemi principali degli architetti che operano nel dopoguerra è il legame con l’ar- te. Luigi Moretti parla spesso della necessità di un dialogo tra architetti e artisti e la sua rivista “Spazio” promuove tale posizione ospitando articoli sugli artisti contemporanei. L’indagine che Moretti conduce in campo artistico risulta fondamentale per la sua formazione di architet- to e risulta evidente nelle sue opere, permeate da una grandissima quantità di trasposizioni in campo architettonico di tecniche della com- posizione artistica. Sulla sua rivista compaiono articoli di Antoni Tàpies ma egli è anche amico di Giuseppe Capogrossi di cui apprezza molto le opere, mentre si avvale della collaborazione dell’artista Pietro de Laurentiis per la realizza- zione delle sue opere.

A Madrid la collaborazione tra architetti ed arti- sti è fortissima, come dimostrato dalla collabo- razione tra Saenz de Oiza e Oteiza oppure dalla coppia Ganchegui-Chillida. Oteiza lavora anche con Rafael de la Hoz, realizzando lo scudo po- sto sulla facciata della Camera di Commercio 9 MURATORE, Giorgio, Tosi Pamphili C. (a cura), “Julio

Lafuente. Opere 1952-1992”, Roma, Officina 1992.

Di fatto, grazie anche agli sforzi italiani e spagno- li, il risultato viene pienamente raggiunto come dimostrato dall’esposizione al Moma di Rudof- sky.

Giorgio Muratore, in un testo riguardo l’archi- tettura di Julio Lafuente descrive il suo atteggia- mento nei confronti dell’architettura spontanea a cui Lafuente attinge e rielabora con grande capacità:

“Nelle prime collaborazioni, (…) sono palesi le

prime, magari marginali, contaminazioni introdot- te dal giovane architetto spagnolo nello “stile della bottega” quasi a contrappunto e commento di una professionalità già assai evoluta che, soprattutto Vincenzo Monaco, andava aggiornando sulla spin- ta di un’adesione al moderno, colta, ragionata e intelligente. Il primo segno di questa progressiva evoluzione già si avverte nelle case di Santa Mari- nella ove, alla limpida ed esibita stesura delle gran- di balconate nei prospetti a mare, fa da contraltare la più minuta e frastagliata stesura del fronte su strada arricchita e resa eloquente dalla vibrante qualità cromatica della parete in mattoni smaltati di chiara ascendenza iberica. Quella parete colora- tissima e segreta, quasi un retablo mediterraneo e solare segna la nascita di un rapporto, via via più elaborato e sofi sticato, tra gli estremi di un discor- so ininterrotto ove andranno a lungo convivendo, come in altri maestri contemporanei, si pensi a Gardella o a Ridolfi , gli estremi di una realtà cul- turale ai limiti della contraddizione e perciò stesso della complessità ove, appunto, saranno sovrappo- sti i motivi della tradizione e quelli della modernità , intesi nella loro logica più segreta. Da questo primo exploit seguono poi tante altre esperienze, sempre

In alto: Disegni di dettagli di Mario Ridolfi In basso: progetto per Sitges di Coderch e Valls

sembrano suscitati più dalla componente mo- rale che da quella artistica del proprio lavoro. Dunque i contatti con i registi o gli intellettuali sono fortissimi e generano rifl essioni sulla que- stione sociale dell’architettura.

A Milano inoltre le vicende architettoniche arri- varono praticamente a fondersi con quelle di un Design che accompagna la crescita industriale e che coinvolge direttamente quasi tutti gli archi- tetti dell’epoca. Di fatto Franco Albini o Carlo Mollino progettano regolarmente opere di ar- chitettura o design. Tale legame da agli autori della città meneghina, le capacità per affrontare progetti a piccola scala ovvero arredamenti e al- lestimenti e in tale ambito si producono opere di eccezionale qualità. lo sviluppo industriale di Milano rende la città e la sua area metropolitana uno dei più importanti poli economici europei. A Milano in questo periodo la piccola impren- ditoria inizia a collaborare con i designer loca- li, seppur spesso per produzioni in serie mol- to esigue e con rapporti non istituzionalizzati. Tuttavia la ricerca nel settore grafi co si evolve e si espande e la città lombarda diventa, in pochi decenni, uno dei centri di riferimento in cam- po internazionale per quanto riguarda i campi di moda, allestimenti, grafi ca pubblicitaria, proget- tazione di interni e in generale tutto quello che riguarda il disegno del prodotto, senza dimen- ticare l’aspetto comunicativo, espresso spesso attraverso riviste di settore che superano con facilità i confi ni nazionali, si pensi ad esempio a “Domus” e “Casabella”.

La distinzione tra questi ambiti è tuttavia mol- to sottile e a volte viene inglobata all’interno di una progettazione coordinata d’insieme, svilup- di Cordoba. Anche a Barcellona si può notare

un legame molto stretto che unisce architetti ed artisti, come dimostrato dall’impegno di Joan Miró il quale realizza varie opere per la città come il Murale all’aeroporto o il mosaico sulla Rambla. Allo stesso modo Picasso esegue, nel 1962, il disegno murale sulla facciata del Colegio de Arquitectos de Catalunya che ha di fronte a sé la facciata della Cattedrale di Barcellona. La Costa Brava è il luogo dove si incontrano, durante le vacanze estive, artisti come Dalì, Pi- casso e architetti come Coderch i quali hanno la possibilità di un ricco scambio di idee. Una fi gura determinante per l’architettura catalana è quella di Català-Roca il quale si trova a stretto contatto con il Grupo R di cui ne fotografava le opere e come sostiene Oriol Bohigas riguardo le sue foto: “Le qualità artistiche e pubblicitarie delle foto in bianco e nero contrastato, ogget- tività astratta, defi nizione critica del contesto e fedeltà all’eredità del razionalismo, si fecero così familiari che, poco a poco, molti progetti architettonici partivano già dall’idea estetica di Català-Roca.”10

In Italia, a parte l’impegno di Luigi Moretti, il le- game con gli artisti, seppur presente, è minore rispetto a quello, strettissimo, con scrittori ed intellettuali. I rapporti culturali che gli architet- ti stabiliscono con esponenti di altre discipline,

10

«Las cualidades artísticas y publicitarias de las fotos -blanco y negro contrastado, objetividad abstracta, defi nición crítica del entorno y fi delidad a las herencias del racionalismo- se hicieron tan habituales que, poco a poco, muchos proyectos de arquitectura partían ya de algunos prejuicios estéticos de Català-Roca».

BOHIGAS, Oriol, riportato da GRAELL, Vanessa, “Vanguardia vs. fascismo” El mundo” 05/02/2014 Traduzione dell’autore.

In alto: Disegni di Picasso per la sede del COAC In basso: Bassorilievo di Amerigo Tot per Termini

come l’acciaio, nei decenni precedenti trascura- to in favore del calcestruzzo armato. Putroppo però in Italia, a differenza della Spagna, l’appli- cazione di tali tecniche e materiali viene osteg- giata da una classe politica che come ricorda Manfredo Tafuri in “Storia dell’architettura ita- liana. 1944-1985”, si preoccupa del problema occupazionale facendolo prevalere rispetto allo sviluppo economico del paese. Dunque ci si preoccupa di sfruttare una manodopera a basso pando un fenomeno che in seguito è diventato

regola. Dunque è proprio nella città lombarda che che si realizza quell’espressione, coniata da E.N.Rogers, secondo la quale un progettista deve dimostrare le proprie qualità in un ambi- to che va “dal cucchiaio alla città” e che oggi, agli occhi di osservatori esterni, è diventato per estensione carattere tutta la nazione italiana. A Roma, in quegli anni, l’artista Amerigo Tot è impegnato nella realizzazione del grandissimo bassorilievo della nuova Stazione Termini, a di- mostrazione di come il legame tra arte e archi- tettura non sia di subordinazione, ovvero l’arte non scade in un ruolo di decorazione ma è parte stessa dell’opera.

LA TECNICA

Il problema costruttivo nel second dopoguer- ra vede la convivenza di due atteggiamenti dif- ferenti e contrapposti. Vi sono le condizioni per una meccanizzazione del processo edilizio e dunque per l’ottimizzazione dello stesso at- traverso l’impiego di elementi prefabbricati, di macchine per la costruzione, di tecniche che privilegino costruzioni leggere, magari a secco. Oltre alle possibilità materiali fornite dallo svi- luppo tecnico dei paesi occidentali, vi sono le condizioni culturali per le quali in architettura si iniziano ad usare i nuovi materiali e le nuove tecniche con una grande disinvoltura e per ogni tipologia di edifi cio, dunque non si richiedono

costo in precarie condizioni lavorative anziché organizzare il lavoro secondo metodi moderni e secondo un’adeguato uso della tecnica. Mentre in Spagna, seppur scarsamente presenti materie prime come l’acciaio, la sperimentazione sulle strutture leggere porta a risultati molto interes- santi come il Colegio Maravillas di Alejandro de la Sota, l’Italia risulta bloccata sul calcestruzzo armato e nonostante riesca a sfruttarne al me- glio le possibilità, rimane legata ad un metodo costruttivo in cui la manodopera svolge il ruolo principale. I dettagliatissimi progetti di Mario Ri- dolfi , così come il suo “Manuale dell’Architetto” dimostrano questo atteggiamento di accuratez- za assoluta nel controllo del progetto e della sua realizzazione. Occorre dire che le Facoltà di ar- chitettura si preoccupano di fornire agli studenti gli strumenti necessari all’approfondimento dei problemi tecnici, l’architetto deve essere in gra- do di dominare un problema costruttivo e se in Italia tale preoccupazione viene attenuata dalla grande partecipazione dell’ingegneria, in Spagna è l’architetto il solo responsabile dell’opera nelle sue componenti strutturali e costruttive. Bisogna notare come il dominio e la corretta applicazio- ne delle tecniche costruttive è accompagnato da una capacità di gestione delle stesse e ciò esclu- de una deriva tecnologica a dimostrazione del fatto che il saper utilizzare uno strumento non ne implica necessariamente l’uso. A partire dagli anni Settanta, mentre in Spagna il ruolo dell’ar- chitetto e il suo rapporto con la costruzione rimane invariato, in Italia avvengono radicali tra- sformazioni: da un lato ci si inizia a preoccupare dell’autonomia disciplinare della progettazione e dall’altro gli esperimenti di edifi ci su grande scala

non lasciano spazio alla preoccupazione per un problema costruttivo concreto. La scelta di una separazione tra le discipline nell’insegnamento dell’architettura non è intrinsecamente un male ma lo è nella misura in cui lo studio delle tec- niche costruttive e quindi l’ambito tecnologico, perde il contatto con la necessità del progetto. Gli architetti spagnoli, studenti nel secondo do- poguerra, capaci di risolvere il problema tecnico congiuntamente a quello progettuale, si trove- ranno pronti al boom edilizio di dei decenni suc- cessivi e la loro capacità di gestire integralmente il processo costruttivo ne garantirà l’affermazio- ne a livello europeo, oltre ad una familiarità con il problema tecnico che li porterà ad esplorare a fondo tale questione.

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