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* Giulio Ruggirello, Ingegnere libero professionista

ESPERIENZE DI RESILIENZA NELLA PROGETTAZIONE E GESTIONE DEI BENI COMUNI

la prospettiva più appetibile per quelle realtà che cercano nella sostenibilità a 360 gradi il paradig- ma decisionale del proprio futuro infrastrutturale; occorre quindi indagare e approfondire le varie proposte che negli ultimi anni hanno costellato il panorama delle ipotesi e, perché no, delle spe- ranze di molti cittadini.

Tutto l’arco alpino è percorso da collegamenti ferroviari minori, a scala di valle, a servizio di comunità più o meno isolate e scarsamente numerose, spesso come retaggio di antiche trat- te di trasporto legate ad attività militari, estrattive o produttive in genere, ovvero di derivazione strettamente bellica; alcune delle ferrovie delle Alpi hanno successivamente visto uno sviluppo legato al trasporto passeggeri di natura perlopiù pendolare verso le grandi conurbazioni urbane. Alcune tratte sono state invece interessate da notevoli e spesso imprevedibili sviluppi turistici che le hanno rese icone di località ben note all’immaginario collettivo, e tra queste il trenino rosso del Bernina (ferrovia retica svizzera) rappre- senta forse l’esempio più riuscito, peraltro molto vicino ai confini trentini.

Esempi più o meno famosi, sostenuti anche da una generale tendenza al riuso del passato, hanno quindi iniziato a diffondersi nei dibattiti locali a vari livelli ed è ormai parte dell’agenda politica una nuova ventata di passione ferroviaria nella quale pare facile trovare giustificazioni e valori che travalicano le mere esigenze di traspor- to e mobilità, soprattutto delle persone.

Il Trentino non è privo di sistemi di trasporto su ferro, anzi in rapporto alla popolazione si può dire che ne sia ricco, viste le due tratte della Valsuga- na ad est e della Ferrovia Trento-Malè-Marilleva (FTM) ad ovest, le quali dal capoluogo percorro- no molti chilometri servendo un bacino di utenza piuttosto ampio; in questo scenario si propone da alcuni anni di introdurre una terza linea, sempre a scartamento ridotto e di carattere forse più turi- stico di quelle appena citate, che percorra il siste- ma delle tre valli di Cembra, Fiemme e Fassa e metta così in collegamento Trento e la val d’Adige (e forse, soprattutto, la ferrovia del Bren- nero) con il cuore delle Dolomiti.

Il progetto, promosso dall’associazione Transdo- lomites, ha visto già alcuni studi di fattibilità e numerose discussioni e dibattiti pubblici ed è stato capace di mobilitare, progressivamente, un certo consenso e garantire visibilità alla tematica del trasporto pubblico locale di natura ferroviaria. Viene quasi naturale proporre un rapido confron-

to tra il cosiddetto “Trenino dell’Avisio” e la cara vecchia “vaca nonesa” (il nome vezzeggiativo con il quale è chiamata la Ferrovia Trento-Malè dai loca- li, per via del suono del vecchio clacson della tram- via, simile a quello di un campanaccio), per con- sentire una lettura immediata, ancorché qualitati- va, delle somiglianze e delle differenze.

Il progetto di Transdolomites ipotizza di servire un bacino di circa 41.000 residenti (nelle tre valli già citate, esclusa la tratta in collegamento su Trento lungo la val d’Adige) contro i circa 55.000 della FTM (+35%), con un numero di presenze turisti- che (intese come arrivi) pari a circa 1.200.000 uni- tà, a fronte dei circa 835.000 delle valli di Non e sole (-43%); una vocazione più turistica a fronte di meno residenti da spostare quindi, senza dimenti- care che spesso le ferrovie di valle non riescono a raggiungere puntualmente tutte la popolazione, come ad esempio avverrebbe per la sponda sini- stra orografica delle val di Cembra nel progetto avisiano.

Dal punto di vista del tracciato invece, FTM per- corre i 66Km di sviluppo in circa 110 minuti con una velocità media di 36Km/h per un dislivello tota- le Trento-Marilleva pari a circa 700m; lo studio di fattibilità di Transdolomites riporta invece uno svi- luppo di tracciato pari a circa 85Km da percorre in soli 82 minuti alla non trascurabile velocità media di 58Km/h, coprendo un dislivello Trento-Canazei di oltre 1.300m.

Certo le caratteristiche più avanzate di una tratta da costruire ex-novo rispetto ad una seppure recente ferrovia di oltre un secolo di vita possono far sperare in tempi e velocità superiori, ma forse occorre approfondire alcune valutazioni tecniche, soprattutto sul cadenzamento degli orari e sugli interscambi tra convogli in direzione opposta (25 fermate, cioè una ogni 3,5Km per Transdolomites contro le 40 fermate di FTM ad una distanza media di 1,75Km, la metà esatta).

Sviscerati alcuni numeri che fanno ben capire la portata del progetto, sui cui costi peraltro sarebbe molto opportuno fare un’attenta stima aggiorna- ta, è il momento di spostare il ragionamento tec- nico-economico su un piano più strettamente stra- tegico che non può non sottostare alle valutazioni

di fattibilità di simili opere pubbliche.

Una caratteristica certa accomuna entrambe le ferrovie trentine: esse sono, di fatto, due binari morti. Non conducono cioè ad un’altra tratta, non entrano in connessione con una rete.

Questa prerogativa le rende sostenibili nel lungo periodo o rappresenta un limite troppo forte per pensare ad un investimento miliardario?

Le altre ferrovie delle Alpi nel frattempo si stanno organizzando, cercando di tessere una maglia interconnessa che permetta, ad esempio, il periplo dei principali gruppi dolomitici; il collegamento Primolano-Feltre insieme al tratto Dobbiaco- Cortina, entrambi in programma anche se il secondo in stadio molto più avanzato del primo (almeno in termini di finanziamento, che in questi casi vuol dire praticamente tutto…), costituirebbe- ro il completamento di una ferrovia a scala interre- gionale collegata alle principali tratte transalpine dalle indubbie potenzialità turistiche.

Quale futuro può avere una ferrovia che termina al Alba di Canazei quindi? Ha senso escludere un col- legamento intervallivo in quanto non inserito in una rete più ampia e “circolare”?

Si tratta di dubbi legittimi, che non devono certo spostare l’attenzione o sminuire la portata delle visioni trasportistiche del sistema, ma che certo devono riportare l’attenzione verso un fattore che spesso viene troppo trascurato nei ragionamenti preliminari: il fattore scala. Una ferrovia locale, solo locale, troppo locale forse, rischia di partire col fiato corto e di arrivare tardi in un sistema che sta già virando verso una scala sovraregionale, quasi sovranazionale, dove è più probabile riuscire a repe- rire i finanziamenti necessari ed i mercati di inte- resse altrettanto fondamentali.

Occorre quindi aggiustare il tiro finché i tempi lo consentono, e rendere una positiva visione di sostenibilità una effettiva idea di concreta realizza- bilità, altrimenti si corre il rischio di schiantarsi al termine del capolinea.

Riferimenti bibliografici

Il treno dell'Avisio – Una ferrovia per Cembra, Fiemme e Fassa - Studio di fattibilità realizzato da Qnex di Bolzano Piano stralcio della mobilità della val di Fassa – Provincia autonoma di Trento

Introduzione

La storia recente di Perugia è segnata da tante “aperture al nuovo” e dal tentativo di affrontare i nodi fondamentali dello sviluppo rubano con idee in anticipo sui tempi. A cavallo tra gli anni '70 e '80, l'amministrazione elabora una strategia che sarà a lungo un “modello” per la politica dei centri storici in Italia. E' il progetto di “mobilità alternativa” (con- cetto coniato ad hoc) destinato a tradurre in realtà l'idea della città accessibile “senz'auto” di cui parla- no in quegli anni gli addetti ai lavori come soluzio- ne a congestione e degrado urbano imperanti. Disegno che si sarebbe attuato a Perugia con la decisione di chiudere le vie storiche al traffico, rea- lizzando una serie di parcheggi di corona collegati da una fitta rete di percorsi meccanizzati (ascensori e scale mobili) per l'accesso alla città vecchia. Una seconda fase di tale politica è costituita dal minimetrò, iniziativa votata allo stesso obiettivo: rinsaldare il tessuto urbano e migliorare l'accessibilità tramite una nuova offerta di traspor- to. Con il minimetrò siamo orami agli anni 2000. La

città è sempre più grande e geograficamente dispersa; il Centro Storico ha già perso molte fun- zioni importanti e il problema del traffico non è risolto ma solo trasferito più “a valle”. Essendo l'auto tuttora prevalente si punta su un inedito sistema “continuo” in grado di coprire distanze più lunghe e servire una zona più ampia di abita- to. Le attese sulla nuova opera sono molte. Il pre- gio tecnico dell'infrastruttura è evidente agli occhi di tutti. La difficoltà di agire con coerenza su una scala più ampia da luogo però a esiti più “contro- versi”, per comprendere i quali merita ripercorre- re le tappe principali di trasformazione della città.

Gli anni della svolta

Alla fine anni '70 Perugia vive la fase più acuta di cambiamenti iniziati nel decennio prima. Eventi come l'istituzione della Regione e l'accentramento nel capoluogo di nuove funzioni direttive, la nascita di un'imprenditorialità di suc- cesso e la fuga di popolazione dalla campagna hanno concorso a snaturare un'entità urbana che

L'esperienza di