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La giurisprudenza europea sul concetto di colpa e le sue ricadute

Come si è visto, la problematica della colpa dell'amministrazione rappresenta uno dei problemi più delicati della responsabilità. Le difficoltà di inquadramento derivano dalla necessità di conciliare due esigenze che per loro stessa natura si contrappongono.

Da un lato, la necessità di non addivenire ad un eccessivo ampliamento delle fattispecie concretamente risarcibili, in modo che la responsabilità diventi uno stimolo e non un disincentivo; dall'altro, la necessità di garantire che il danneggiato sia risarcito in modo rapido ed efficace.

Arrivati a tal punto della ricerca, occorre verificare come su tale delicato problema di bilanciamento abbia inciso la giurisprudenza europea, che, anche di recente, con la sentenza della Corte di Giustizia del 30 settembre 2010 è intervenuta “a gamba tesa” sulla questione, affermando a chiare lettere che “non è compatibile con il diritto dell'Unione Europea una normativa nazionale che subordini il risarcimento del danno all'accertamento della colpa”.

Prima di analizzare tale pronuncia e le sue ricadute nell'ordinamento nazionale, occorre ricostruire il concetto di colpa, alla luce della giurisprudenza

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europea, per verificare se ed in quale misura il sistema comunitario attribuisca rilevo all'elemento soggettivo, ovvero ne prescinda, prediligendo un modello oggettivo di responsabilità.

Il fulcro entro cui si muove la giurisprudenza comunitaria in tema di colpa è costituito dal concetto di violazione grave e manifesta, rinvenibile già a far data dalla nota sentenza Francovich. In tale pronuncia, la Corte di Giustizia aveva individuato tre diverse condizioni perchè potesse riconoscersi la responsabilità dello Stato: la norma violata doveva essere attributiva di diritti individuali ai singoli; la violazione doveva essere grave; doveva sussistere un nesso causale tra violazione dell'obbligo da parte dello Stato e il danno arrecato. Il carattere della gravità della violazione veniva ricavato attraverso il ricorso ad una serie di indici, relativi “al grado di chiarezza e precisione della norma violata, all'ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali o comunitarie, al carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, alla scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto, alla circostanza che i comportamenti adottati da una istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere alla violazione”.

Il riferimento a parametri di marca prettamente soggettiva, quali la involontarietà o involontarietà della violazione, ovvero la scusabilità dell'errore cristallizzano un modello di responsabilità fondato sulla colpa28. Se ne ricava, dunque, una nozione oggettiva di colpa, diversa da una nozione oggettiva di responsabilità, in cui mediante il criterio della violazione sufficientemente qualificata si introduce la necessità di verificare di volta in volta “le specifiche circostanze – ivi compreso l'elemento soggettivo – della situazione rilevante”29.

A favore di tale ricostruzione, depone anche la pronuncia della Corte di Giustizia del 14 ottobre del 2004. Nel caso di specie, con riferimento al settore degli appalti pubblici, la Corte ha affermato la incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa che subordini il risarcimento alla prova da parte del danneggiato degli dolo o della colpa dei soggetti agenti.

La reale comprensione della portata della pronuncia presuppone la disamina

28 CIMINI, La colpa è anora un elemento essenziale della responsabilità da attività provvedimentale della p.a. 29 L. TORCHIA, La responsabilità della pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo comparato a

del caso concreto da cui essa prende le mosse. La questione afferiva alla compatibilità con diritto comunitario di una norma dell'ordinamento interno portoghese che subordinava il risarcimento del danno alla prova del dolo o della colpa non già della pubblica amministrazione, bensì del singolo funzionario agente, traducendosi, in tal guisa, in una vera e propria probatio diabolica difficilmente superabile per il privato. Pertanto, la pronuncia lungi dall'aderire ad un modello di responsabilità oggettiva, ha evidenziato l'esigenza che la prova della colpa non fosse troppo gravosa per il soggetto danneggiato. Sul fronte interno, la pronuncia ha comportato il consolidamento dell'indirizzo giurisprudenziale tendente a sollevare il privato dalla prova dell'elemento soggettivo, mediate il ricorso alle presunzioni. In tale prospettiva, dunque, il privato danneggiato può solo invocare la illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa, spettando alla p.a. l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile30.

Il secondo intervento si deve alla sentenza 10 gennaio 2008, C-70/06.

Nel caso di specie, la Corte, a fronte della inerzia opposta della Repubblica Portoghese, ha rilevato la violazione degli obblighi che le incombono derivanti dall'art. 228, n. 1 CE, in considerazione del tenore della direttiva 89/665 sui mezzi di ricorso esperibili in materia di aggiudicazione negli appalti pubblici. Per giungere a tale conclusione, la Corte ha preliminarmente richiamato la ratio sottesa alla direttiva, che, al fine di assicurare l'effettività dei ricorsi in materia di appalti pubblici, il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, impone agli Stati membri la predisposizione di mezzi di ricorso efficaci e il più possibile rapidi avverso le decisioni assunte dalle autorità aggiudicatici in violazione delle norma comunitarie. Tra gli strumenti di tutela previsti, l’articolo 2 della direttiva contempla proprio il risarcimento del danno esperibile dal soggetto leso a seguito di decisioni illegittime della pubblica amministrazione. Individuata la ratio della direttiva, la Corte ha ritenuto che la difficoltà di assolvimento dell’onere probatorio gravante sul privato derivante dalla normativa nazionale controversa fosse pregiudizievole di una tutela risarcitoria adeguata ed effettiva per il soggetto danneggiato.

cura di G. NAPOLITANO, Milano 2007, p. 279.

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Tale pronuncia, dunque, non prefigura una responsabilità senza colpa, ma si limita ad incidere sulla prova dell’elemento soggettivo. Si sostiene, infatti, che la Corte “appare riferirsi all’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della p.a. e non all’esigenza di accertare la responsabilità, prescindendo dalla colpa dell’amministrazione”31.

8. La sentenza della Corte di Giustizia, 30 settembre 2010: verso un