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La sentenza 500 del 1999: dalla culpa in re ipsa alla colpa

Con la sentenza 500 del 1999 si attua una radicale revisione dell'orientamento tradizionale. La Suprema Corte sostiene, infatti, che ai fini dell'accertamento dell'elemento soggettivo non è più invocabile “il principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di un atto amministrativo illegittimo, poiché tale principio, enunciato dalla giurisprudenza di questa suprema Corte con riferimento all'ipotesi di attività illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 c.c., non è conciliabile con la più ampia lettura della su indicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo”. Tale affermazione4 tradisce, in realtà, la volontà della Suprema Corte di recuperare sul piano dell'elemento soggettivo quello che si era ceduto sul piano dell'elemento oggettivo, posto l'indubitabile ampliamento della sfera di responsabilità dell'amministrazione derivante dalla riconosciuta risarcibilità dell’interesse legittimo5. Secondo le coordinate tracciate dalle Sezioni Unite., la colpa

4 Critico nei confronti dell'affermazione della Corte, non supportata da specifica motivazione al riguardo PARTISANI, Lesione di un interesse legittimo e danno risarcibile: la perdita di chance, in Resp. civ. e prev. 2000, 577 ss; si osserva infatti che l'opzione seguita dalla Corte circa l'assunta incompatibilità tra una lettura in senso ampliativo dell'art. 2043 cc e la concezione tradizionale della colpa ripropone e in realtà una differenza di regime della responsabilità a seconda che sia leso un diritto soggettivo; nello stesso senso CARINGELLA, Giudice amministrativo e risarcimento del danno: dai

problemi teorici ai dilemmi pratici, in il Nuovo Processo amministrativo dopo due anni di

giurisprudenza, a cura di CARINGELLA – PROTTO, Milano, 2002, p. 638, che rileva che tale pretesa incompatibilità “sarebbe difficilmente condivisibile se la si intendesse nel senso che la lesione dell'interesse legittimo, a differenza di quella del diritto soggettivo, necessita di una verifica della colpa, poiché l'unica differenza che c'è tra il vecchio illecito della pubblica amministrazione, per il quale si è affermata la culpa in re ipsa, ed il nuovo illecito amministrativo, per cui si afferma la necessità di provare la colpa, sta nel fatto che prima l'illecito veniva affermato per la sola lesione di diritti soggettivi, adesso la responsabilità viene riconosciuta anche per la conculcazione degli interessi legittimi. Siffatto elemento di novità riguarda esclusivamente il dato oggettivo del fatto illecito, cioè il danno ingiusto, e non tocca in alcun modo il profilo soggettivo”.

veniva riferita non al funzionario agente, ma alla p.a intesa come apparato, da configurarsi nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta “in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare e che si pongono come limiti esterni della discrezionalità”.

Il passaggio dalla culpa in re ipsa alla colpa d'apparato ha sollevato non poche critiche dottrinali. Le perplessità maggiori derivano dalla circostanza che le regole d'imparzialità, invocate dalla sentenza 500, sono destinate ad operare come limiti interni della discrezionalità; da ciò discende che la violazione di siffatte regole integra un vizio di legittimità, sotto il profilo dell’eccesso di potere o della violazione di legge6. Da questo punto di vista, le regole di correttezza di imparzialità e di buona amministrazione attengono al giudizio sulla ingiustizia del danno, sotto il profilo della valutazione del comportamento non iure del danneggiante7. La colpa, quindi, nell'accezione della Corte si ammanta di una valenza normativa, che “tende impropriamente a spostarla nel territorio della ingiustizia del danno”8. Al contrario, come sostenuto dalla dottrina amministrativistica, mai la colpa concerne le medesime regole la cui infrazione costituisce l'ingiustizia. “Non sarà dato mai parlare di colpa, ove la norma considerata sia, ad esempio, rivolta a riconoscere giuridicamente un interesse di un soggetto o ad attribuire al soggetto un potere, ma soltanto quando essa miri a prescrivere cautele intese a prevenire il verificarsi di un altrui danno”9.

Pertanto, la culpa in re ipsa apparentemente uscita dalla porta, rientra dalla finestra; infatti, il richiamo a correttezza, imparzialità e buona amministrazione, rischia di far coincidere la colpa con la illegittimità derivante dalla violazione dei suddetti canoni, dando la stura ad una tipicizzazione dell'illecito provvedimentale, in

6 R. CARANTA, Attività amministrativa e illecito aquiliano, cit., p.153; nello stesso senso, S. GIACCHETTI, La risarcibilità degli interessi legittimi è “in coltivazione”, in Cons. Stato, 1999, II, p. 1604. 7 F.D. BUSNELLI, Dopo la Sent. n. 500, cit. 543; in particolare secondo l'A., il richiamo alle regole di

imparzialità, correttezza e di buona amministrazione risulta “per così dire inquinato da un'ambigua riconduzione alla valutazione della colpa....della p.a. intesa come apparato; con la conseguenza coerente, ma abberrante che la correttezza si porrebbe come limite esterno della discrezionalità”. 8 E. NAVARRETTA, Forma e sostanza dell'interesse legittimo nella prospettiva della risarcibilità, cit. p. 361;

nello stesso senso L. TORCHIA, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di

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contrasto con il sistema atipico che sorregge la colpa aquiliana10.

Ulteriori perplessità ha destato il riferimento alla “colpa d'apparato”, trattandosi di un concetto che resta al un livello di “inevitabile astrazione”11. Come è stato, infatti, immediatamente rilevato dalla dottrina la sentenza non ha delimitato quali siano i confini oggettivi dell'apparato rilevanti che debbano essere presi in considerazione12.

La genericità del concetto si scontra con una realtà variegata, in cui sovente le decisioni vengono assunte non da una sola autorità amministrativa, ma da più centri decisionali in modo coordinato e partecipato. Da ciò si inferisce la necessità di delimitare i confini dell'apparato, specificandosi se entro tale perimetro rientri solo l'ente che ha adottato formalmente il provvedimento, ovvero l'insieme degli enti che hanno concorso all'adozione del provvedimento amministrativo. Pur nella consapevolezza di siffatte criticità, la Cassazione ha confermato l'orientamento inaugurato con la pronuncia del 99, continuando a riferire la colpa all'apparato, senza a tal fine fornire spiegazione sugli esatti confini di tale nozione13.

9 E. CASETTA, L'illecito negli enti pubblici, Torino, 1953, p. 44 e ss..

10 In tal senso F. FRACCHIA, L'elemento soggettivo nella responsabilità dell'amministrazione, in La Responsabilità dell'amministrazione per lesione di interessi legittimi, Milano, 2009, p. 242; analogamente in giurisprudenza Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, 3169, in Urb. e appalti, 2001, p. 757, secondo cui la violazione dei limiti esterni della discrezionalità comporta la illegittimità dell'atto per eccesso di potere”.

11 In tal senso Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, 3169 , ove si rileva “a parte la difficoltà di applicazione pratica di siffatto criterio, il collegio, pur se consapevole della complessità del tema, ritiene che tale enunciazione non sia idonea a risolvere il problema della ricostruzione del profilo soggettivo della colpa. Il criterio anzidetto, se da una parte rimane ad un livello di “inevitabile astrazione”, dall'altra non tiene conto del fatto che la violazione dei limiti esterni della discrezionalità comporta la illegittimità dell'atto per eccesso di potere. Sicchè, pur premettendo l'esigenza di una indagine penetrante sulla colpa dell'apparato, finisce per accontentarsi di una verifica di tipo solo oggettivo. Con riferimento al concetto di colpa d'apparato, si segnala TAR Friuli 23 Aprile 2001, n. 179, in Dir. proc. amm. 2002, p. 170, con nota di G. GUIDARELLI, La

pregiudizialità di annullamento nell'azione di risarcimento del danno per illegittimo esercizio della funzione pubblica, ove si evidenzia che il passaggio verso una colpa d'apparato è sembrato invero necessitato

dalla circostanza che addebitare la responsabilità al singolo funzionario agente, avrebbe indotto il soggetto danneggiato ad una vera e propria probatio diabolica in sede di giudizio. Ciò in quanto il terzo danneggiato avrebbe avuto l'onere di identificare nella complessa organizzazione della p.a. “a chi, tra i diversi soggetti a diverso titolo intervenuti, l'atto lesivo è imputabile, per poi ulteriormente dover provare, nei suoi confronti, la sussistenza dell'elemento psicologico”.

12 Tale perplessità è stata sollevata da F.G. SCOCA nello scritto Per un'amministrazione responsabile, in Giust. cost. 1999, p. 4052.

13 Tale tesi è stata da ultimo condivisa dalla Giurisprudenza; si cita a tal fine, Cass. Sez., III 23 febbraio 2010, n. 4326, in Giust. civ. Mass., 2, p. 259; in tale occasione, la Cassazione ha statuito che l'imputazione della responsabilità per lesione dell'interesse legittimo deve avvenire, “non in