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3. L’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE

3.4 Gli altri componenti dell’équipe

3.4.1 Il medico

“Il medico saggio deve essere esperto tanto per prescrivere un rimedio, tanto per non prescrivere nulla.” (B. Graciàn)

Lavorare sul malato morente è un compito apparentemente ingrato; significa confrontarsi quotidianamente con la morte non più considerata come l‟eccezione o l‟incidente, ma come la regola.

La sofferenza, la disperazione degli altri diviene inevitabilmente metafora della propria morte e di quella del proprio mondo privato, compagnia costante di ogni momento e di ogni relazione.

Secondo una tradizione antica, il medico identifica la gratificazione e il successo nel proprio lavoro con il guarire, col salvare la vita del malato; il medico che si occupa di palliazione deve, quindi, trovare nel proprio lavoro nuovi scopi, nuove gratificazioni, nuovi ruoli e nuovi motivi.

Da sempre il principale metodo di indagine, di diagnosi delle condizioni del malato è stato ed è l‟ascolto; il farmaco più efficace a disposizione del medico è, quindi, in primo luogo se stesso, mentre l‟oggetto delle cure non è la malattia, ma il malato.

L‟attenzione deve essere focalizzata, nelle fasi avanzate di malattia, soprattutto, sui problemi soggettivi del paziente, cercando di soddisfarne i bisogni.

Lo sviluppo di questo nuovo approccio ha costretto il medico a riconfrontarsi con il problema della morte, troppo sbrigativamente relegato in tempi passati alla struttura ospedaliera e da questa nascosto nel silenzio di una camera, quando non protetto che da un semplice paravento, dopo che i parenti erano stati allontanati.

Questo confronto medico-morte può essere traumatico per una figura abituata invece ad indagare, diagnosticare e guarire, poiché esiste, di fatto, un‟antitesi fra questi obiettivi della medicina ed i bisogni del malato terminale che desidera qualità di vita, comfort ed attenzioni.

La medicina, quella in corsia e più ancora quella sperimentale, ha come oggetto la malattia, invece del malato e se non riesce più a controllare il disturbo, si trova impotente di fronte alla sofferenza senza speranza.

Per quanto breve possa essere il tempo di vita che rimane, le competenze mediche saranno ancora importanti, ma fondamentale sarà “entrare” nell‟altra persona, facendole sentire che è “unica”; l‟essere importante per gli altri diviene fondamentale perché può essere l‟unico progetto rimasto.

Quest‟obiettivo si raggiunge osservando, essendo presente, ascoltando con un‟attenzione particolare che distingue una cura palliativa dall‟offerta di un placebo.

La cura palliativa mette l‟uomo al centro perché non fugge dalla morte, ma la considera un momento importante e per questo amplifica il tempo e semplifica le cure da dedicare al malato.

Il medico si trova di fronte, quindi, molte sfide:

 sul piano psicologico. E‟ difficile rassicurare chi teme di morire ed è ancora più difficile comunicare con chi sta realmente vivendo la sua morte;

 sul piano emotivo. Il medico si sente investito dalle proiezioni del malato e diviene, talvolta, persecutore sadico e cinico, altre, guaritore miracoloso;

 sul piano della comunicazione. Il tema della verità viene fin troppo discusso; “forse l‟atteggiamento più favorevole al malato è quello di guidarlo senza forzarlo e comunicargli comunque che non guarirà” (Corli, 1988);

 sul piano della relazione. Vi sono nel rapporto tra medico e malato inguaribile alcuni momenti cruciali che possono trasformarsi in momenti di crisi: come il primo colloquio, la dimissione dall‟ospedale, i ricoveri successivi, le ultime ore di vita e le richieste di morte;

 sul piano dei diritti. Il medico deve impegnarsi a trattare il malato inguaribile come un essere vivente fino alla morte, farlo partecipare alle decisioni, fornirgli una cura medica continua, non ingannarlo e permettergli di morire in pace e con dignità.

Il medico di base (medicina generale) è colui che attiva il servizio d‟assistenza domiciliare; il suo compito è quello di mantenere i rapporti e di collaborare con il medico dell‟équipe.

I medici di base, particolarmente quelli di famiglia, hanno la notevole opportunità di offrire continuità di cura e di consiglio, basati entrambi sulla profonda conoscenza del paziente e della sua famiglia.

Un sistema di cura esperto e sensibile consente, infatti, al paziente e ai suoi parenti di avere piena fiducia in questo medico che li conosce personalmente e da lungo tempo, che sa a chi parla e cosa dire sulla malattia e sulle sue implicazioni.

Responsabile dell‟attivazione dell‟assistenza, impegnato in prima persona nella definizione del piano assistenziale, egli discute le scelte terapeutiche con lo specialista oncologo di riferimento, interagendo con le diverse figure professionali coinvolte, dall‟infermiere al volontario.

Il medico dell‟équipe rappresenta la figura centrale: in quanto è responsabile del coordinamento dell‟unità di cure palliative, è l‟erogatore di cure a domicilio e fornisce sostegno alla famiglia, in collaborazione con l‟équipe.

Egli deve assumersi l‟onere dei numerosi e delicati rapporti con i sanitari degli altri reparti, con i medici di famiglia, con le istituzioni e gli enti pubblici e privati che si occupano o possono essere coinvolti nell‟assistenza al malato terminale.

Il medico, durante le riunioni periodiche dell‟intera équipe, deve interagire secondo le modalità più efficaci; sua deve essere la strategia non solo dell‟intervento sul singolo malato, ma soprattutto sullo sviluppo e l‟organizzazione del servizio.

3.4.2 L’infermiere

“Chi insegna all’uomo a morire, gli insegnerà a vivere.”

(M. de Montagne)

Rappresenta la figura chiave dell‟assistenza al malato terminale in quanto è colui che vive più strettamente a contatto con il paziente e la sua famiglia e gestisce tutta l‟organizzazione delle cure e il coordinamento degli interventi.

L‟infermiere deve arricchire di modalità nuove il suo lavoro, tradizionalmente basato sulla dipendenza dal medico, per giungere ad un‟operatività d‟équipe, in cui ogni membro ha pari importanza e pari dignità, in un rapporto di stretta interdipendenza per una maggiore efficacia degli interventi.

Egli deve possedere una forte motivazione, poiché è quotidianamente in contatto con la sofferenza e la morte; non è, infatti, solo l‟esecutore di prestazioni,

ma è colui che si prende cura della persona malata, facendosi carico di tutti i suoi bisogni fisici, emozionali e spirituali.

Lo specifico infermieristico (nursing) pone nella cura del corpo uno dei cardini della disciplina e nelle cure palliative quest‟aspetto assume grande rilevanza: il cancro e le altre malattie terminali segnano a fondo il corpo e ne richiedono la massima cura.

Nell‟ambito della sfera emotiva il ruolo dell‟infermiere richiede la capacità di stare accanto al malato e di parlare con lui. La comunicazione con il paziente in fase avanzata e terminale di malattia implica, da parte dell‟operatore, la disponibilità ad ascoltare ed eventualmente ad accogliere le sofferenze del singolo e, talvolta, dei suoi famigliari.

In tal modo il malato non è più soltanto un utente passivo di prestazioni sanitarie, ma un interlocutore con cui instaurare un dialogo.

La malattia inguaribile stressa e angoscia chi sta attorno al paziente il quale, a volte, impara invece a convivere con il dolore e ad accettare i disagi che lo affliggono; è chi si occupa di lui che va in crisi perché l‟assistenza è estremamente faticosa e soprattutto deve essere continua, senza momenti di tregua e di stasi.

L‟infermiere ha il compito, quindi, di occuparsi anche dei famigliari, dando loro tempo e modo di farli parlare, sfogare, piangere di nascosto dal malato, di dar loro, inoltre, la sicurezza che, in qualsiasi momento di bisogno si sarà presenti.

L‟infermiere, oltre ad una buona conoscenza tecnico-scientifica deve acquisire:

 capacità d‟ascolto, così da poter cogliere ogni sfumatura che il dolore totale (fisico, psicologico e spirituale) crea;

 capacità di cogliere i cambiamenti fisici e di stati d‟animo nel malato;

 capacità di collaborazione fattiva con altre figure che ruotano attorno al paziente;

 capacità di vicinanza e di sostegno verso i famigliari che hanno bisogno di conforto e di comprensione per le loro stanchezze e angosce.

3.4.3 Il volontario

“Un sorriso arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona, non dura che un istante, ma il suo ricordo è talora eterno …” (P. Faber)

Il volontario è una figura relativamente atipica in un‟équipe multidisciplinare a forte contenuto professionale; la sua caratteristica, il suo pregio, è proprio l‟essere un “dilettante”.

E‟ infatti difficile pensare che, “per lavoro”, qualcuno voglia assumersi una così ampia varietà di compiti e, soprattutto, stabilire l‟intenso rapporto affettivo che spesso si crea tra lui e il malato; il successo del volontario è dovuto, dunque, ad una genuina e profonda motivazione personale, alla comunicazione ed alla disponibilità.

Tra i suoi compiti troviamo: la compagnia e le attività diversionali, l‟aiuto ai famigliari nella gestione del malato (commissioni, pratiche burocratiche, etc.), il ripristino di una corretta comunicazione col malato o tra il malato e la famiglia e l‟aiutare quest‟ultima nel momento del decesso e del lutto.

I volontari sono coordinati da un responsabile, anch‟esso volontario, che agisce da tramite tra l‟intero gruppo e il Servizio di Cure Palliative come membro permanente dell‟équipe, provvedendo alla comunicazione delle informazioni sul malato dal volontario all‟équipe ed informando lo stesso dei piani assistenziali predisposti .

Il volontario non è mai imposto: è il malato, con i suoi cari, che decide se e quando è opportuno il suo intervento; generalmente è presentato dall‟infermiera domiciliare ed in una particolare assistenza possono collaborare più volontari.

Il suo impegno di servizio non è continuo; è bene creare uno stacco tra un servizio e l‟altro per la necessaria rielaborazione ed un meritato riposo.

Il contatto continuo con la sofferenza può rendere infatti il compito gravoso, o, a volte, troppo coinvolgente.

Mentre il personale sanitario, quindi, fornisce soprattutto prestazioni tecniche, il volontario offre la sua disponibilità affettiva; è, questa, un‟offerta non gravata dal peso della routine, né limitata dalla specificità del ruolo, è rivolta al malato in quanto persona ed è espressione di una scelta libera e motivata.

I volontari sono persone per le quali la solidarietà è un valore centrale della vita; essi offrono la loro disponibilità a chi è in difficoltà ed ha bisogno d‟aiuto, con “cuore preparato e mente aperta” (Corso di formazione per volontari – Fondo Edo Tempia Biella).

3.4.4 L’assistente sociale

L‟operare dell‟assistente sociale avviene in situazioni di disagio fisico e sociale; la persona su cui s‟interviene si trova nella condizione di non poter risolvere da sola i propri problemi, che risultano ancora più intensi quando nascono da una realtà di malattia.

Fra i compiti di questa figura professionale, che fornisce un aiuto provvidenziale, vi è quello di valutare la realtà socioeconomica del paziente e di dargli la possibilità, qualora ne abbia i requisiti, di usufruire dei seguenti sussidi assistenziali ed economici.

Qualora il paziente sia seguito a domicilio, suo impegno primario è quello di rendere l‟abitazione funzionale alle particolari esigenze della persona gravemente ammalata.