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PARTE SECONDA LA REALTA‟ BIELLESE

1. DESCRIZIONE DEL NOSTRO CONTESTO DI OSSERVAZIONE

1.4 Le nostre osservazioni in équipe

L‟équipe di Cure Palliative di Biella è così composta:

 il responsabile dell‟Unità Operativa di Cure Palliative;

 cinque medici esperti in cure palliative con differenti provenienze:

Azienda Sanitaria Locale 12, Fondo E. Tempia, Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori;

 un infermiere professionale coordinatore;

 cinque infermieri professionali con diverse provenienze: ASL 12, Fondo E. Tempia, Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori;

 un medico ed un infermiere dell‟hospice (vedi allegato n. 1 in appendice)

 la psicologa;

 due coordinatrici dei volontari;.

 collaborazioni future: un fisioterapista ed un assistente spirituale.

L‟équipe di cure palliative si riunisce con cadenza settimanale in un incontro della durata di circa due ore, presso i locali dell‟ospedale di Biella; tali momenti sono indispensabili occasioni durante i quali i vari operatori hanno modo di rivalutare i piani assistenziali e la loro adeguatezza, di confrontarsi tra loro, di discutere eventuali problemi insorti e di analizzare le problematiche psicologiche, grazie all‟apporto della psicologa dell‟équipe.

Nella riunione d‟équipe, quindi, si raccolgono le testimonianze degli operatori che si recano dal paziente, ci si scambiano impressioni sui bisogni del malato e dei suoi famigliari e spesso le opinioni sono, in parte, differenti.

Abbiamo potuto notare che, quando in una famiglia ci sono difficoltà di relazione, accade che ci si schieri emotivamente con uno o con l‟altro, giustificandone il comportamento e, talvolta, criticando quello di un altro membro.

Ascoltando i racconti degli operatori ci siamo subito rese conto che è molto facile prendere le parti del membro più debole, della vittima, e attaccare quello che sembra non collaborare, ostacolando l‟assistenza.

Bisognerebbe, in questi casi, sospendere ogni forma di giudizio, con l‟intento di comprendere posizioni diverse, senza che questo impedisca agli operatori di formulare o di “sentire” delle opinioni sulle diverse situazioni famigliari.

I pensieri degli operatori devono, comunque, essere espressi e condivisi perché, se taciuti, influiranno inevitabilmente sui loro comportamenti, restando, così, ad un livello inconsapevole.

Le opinioni di ciascuno sono composte da tante parti: le regole dell‟ambiente sociale e culturale in cui si cresce, che possono non corrispondere con quelle del malato; gli echi della personale storia affettiva, che portano, inconsapevolmente, ad apprezzare o disprezzare aspetti degli altri semplicemente perché appartengono a qualcuno o a qualcosa di significativo per noi (proiezione).

Gli operatori dovrebbero essere aiutati a diventare consapevoli delle proprie proiezioni per accogliere e comprendere veramente il malato assistito e i suoi famigliari.

Abbiamo capito che l‟operatore non è, evidentemente, solo un professionista, ma anche una persona che porta nella relazione la propria storia, le proprie motivazioni e le proprie aspettative.

Abbiamo avuto modo di osservare come la discussione in gruppo possa essere sufficiente a rassicurare l‟operatore che ha avuto problemi nella relazione con un determinato paziente.

Ogni partecipante può trovare comprensione negli altri membri dell‟équipe o consigli da chi è più esperto; non si sentirà più solo e, molto probabilmente, riuscirà a gestire meglio la relazione con il paziente.

Il sostegno del gruppo, nella riunione d‟équipe, non è sufficiente a sviluppare temi dedicati alla relazione, l‟operatore potrà contare sulla supervisione psicologica finalizzata ad affrontare tali problematiche.

Essendo il gruppo da noi osservato di recente costituzione, possiamo ipotizzare che gli operatori, provenendo da realtà differenti e conoscendosi solo da pochi mesi, non sentano ancora una forte appartenenza gruppale e, quindi, abbiano difficoltà ad avere piena fiducia gli uni negli altri.

Abbiamo potuto osservare che, in alcuni casi, il coinvolgimento è stato molto stretto e la relazione con il malato è diventata emotivamente coinvolgente.

Ne è esempio ciò che è successo ad un‟infermiera che è entrata in crisi perché i figli del paziente avevano pressappoco la sua età ed è stato facile per lei identificarsi con loro, rendendo così difficile mantenere il proprio ruolo professionale.

L‟operatore sanitario è esposto da una serie di richieste emotive e problemi psicologici per i quali non ha ricevuto, molto spesso, una formazione adeguata:

abbiamo avuto modo di sentire il disagio provato dai medici dell‟équipe a contatto con richieste di aiuto psicologico e con famigliari che “scaricavano” su di loro pesanti carichi emotivi.

L‟operatore, a volte, si difende, coscientemente o meno, riducendo il contatto con il malato al minimo indispensabile e spersonalizzando i rapporti:

un‟infermiera dell‟équipe ha detto, in una riunione, che aveva adottato uno stile distaccato per cui prestava, in maniera ineccepibile, le cure tipiche del suo mestiere, ma cercava di non “invischiarsi” nel ménage famigliare.

Sarebbe opportuno raggiungere un giusto equilibrio tra distacco ed eccessivo coinvolgimento: l‟empatia rappresenta l‟atteggiamento che permette di mettersi al posto dell‟altro, di vedere il mondo come lo vede lui.

Comprendere una persona vuol dire mettersi nel suo angolo visuale per capire le cose come le vede lui, adottare i suoi schemi mentali e ragionare partendo dalle sue premesse.

Comprendere una persona non significa, però, necessariamente condividere le sue idee o approvare le sue decisioni, ma capire che per l‟altro esse hanno una loro importanza e un loro significato.

A volte non si è in grado di assumere un atteggiamento empatico, perché le aspettative dell‟operatore non tengono conto della realtà del paziente ed insiste nel tentativo di raggiungere ideali impossibili.

Il sentirsi sconfitto, la sensazione di perdere continuamente la partita, il vedere infrangersi l‟immagine di guaritore “onnipotente” creano sofferenza nell‟operatore sanitario che, tradizionalmente, ha scelto di fare questo lavoro per curare e guarire.

C‟è bisogno di rielaborare la propria immagine di curante, i propri ideali, l‟idea di ciò che voglia dire “curare” e prendersi cura del malato terminale.

Abbiamo avuto modo di rilevare, nelle nostre osservazioni in équipe, come gli operatori avessero attuato questa “trasformazione” e fossero coscienti del fatto che ogni tentativo di guarigione fosse escluso; il loro lavoro si traduce, così, nel controllo del dolore dei malati e su tutto ciò che può migliorare la qualità dell‟ultimo tratto di vita.

Fondamentale è il clima armonico nel gruppo che è dato dalla suddivisione dei compiti, dall‟organizzazione interna, dalla possibilità di comunicare, dalla chiarezza dei ruoli.

Sul piano organizzativo le riunioni seguono uno schema conduttore: partono con la richiesta e la dichiarazione d‟eventuali comunicazioni che possono essere utili all‟équipe.

L‟incontro prosegue con la presentazione d‟eventuali nuovi pazienti, dei quali il responsabile dell‟Unità Operativa descriverà attentamente il quadro clinico e del progetto assistenziale.

Si procede, quindi, all‟assegnazione degli operatori di riferimento: un medico ed un infermiere professionale si annoteranno tutte le informazioni che possono essere loro utili per seguire meglio il paziente.

E‟ importante che gli operatori parlino dei pazienti deceduti, di come sono morti (se in pace, serenamente, se in modo improvviso o doloroso) e che i loro nomi vengano annotati alla fine dell‟elenco, permettendo, così all‟èquipe, di

giungere ad una riflessione sul lavoro svolto e di chiudere le narrazioni riferite ad ogni singolo paziente.

La morte non viene trattata come un fantasma che terrorizza, non viene percepita come una sconfitta della medicina, ma come il decorso naturale di una patologia mortale, nei confronti della quale l‟équipe ha elaborato tecniche assistenziali e strategie relazionali per favorire una “buona morte”.

Abbiamo potuto udire espressioni del tipo: “Ci ha abbandonato serenamente e senza il minimo dolore …”, parole commosse, che i membri dell‟équipe riportano come espressioni pronunciate dai familiari di pazienti terminali.

Purtroppo, nonostante il grande impegno, non sempre la morte raggiunge i pazienti in modo così sereno, è il caso del signor S. di cui si racconta: “Ogni tanto lanciava urli non giustificati dal dolore, la moglie ha fatto molta fatica ad accudirlo perché non riconosceva più il carattere del marito. Quello non era più l‟uomo che lei aveva sposato tanti anni fa ...”

L‟infermiera ci ha raccontato che, in genere, per calmarlo bastava una carezza, un contatto fisico, ma negli ultimi giorni le cose erano molto cambiate: era sempre nervoso ed agitato, fino a quando la morte lo ha raggiunto.

Dopo alcuni incontri è emersa, da parte dell‟équipe, l‟esigenza di contattare un‟infermiera, responsabile della formazione, che ha condotto un incontro in cui si è riflettuto su come rendere più funzionali le riunioni.

La proposta è stata quella di seguire un ordine del giorno strutturato, per evitare un dispendio di energia e di tempo. Riportiamo, qui di seguito, lo schema che è stato utilizzato successivamente negli incontri settimanali:

 presentazione sintetica dei malati presenti in hospice. È stata, infatti, allargata la partecipazione a due operatori dell‟hospice (in genere un medico ed un infermiere) che, a turno, si avvicendano e tengono così informata l‟èquipe sullo stato dei pazienti ricoverati in tale struttura;

 presentazione dei malati critici assistiti dall‟équipe;

 indicazione dei malati da visitare il sabato e la domenica. I medici e gli infermieri dell‟équipe di Cure Palliative sono, a rotazione, reperibili nei week end;

 presentazione dei malati presi in carico la settimana trascorsa;

 assegnazione dei nuovi casi agli operatori;

 presentazione delle esperienze di morte avvenute durante la settimana.

Il seguente programma è trascritto su di una lavagna a fogli mobili, che si è dimostrato un valido strumento informativo e di condivisione delle decisioni relative alle prestazioni da effettuare.

Altro strumento, altrettanto importante, è rappresentato dal verbale, in cui si segnalano: le decisioni prese, le presenze e le questioni riferite dagli operatori.

Viene redatto da uno dei conduttori o dei partecipanti e rappresenta una forma di memoria storica che permette di ricostruire e valutare il cammino compiuto dall‟équipe.

Ogni settimana viene, inoltre, distribuito l‟elenco dei malati contenente informazioni circa la diagnosi, la data di presa in carico da parte dell‟équipe, il nome degli operatori di riferimento (per ogni paziente un medico ed un infermiere dell‟UOCP ed un medico di medicina generale) ed i recapiti telefonici.

La tecnica di conduzione utilizzata è di tipo “partecipativo” stimolando, così, l‟intervento di ogni singolo componente dell‟équipe.

Nel caso in cui un partecipante senta la necessità di affrontare un argomento a lui caro, sarà importante che lo comunichi al responsabile dell‟Unità Operativa di Cure Palliative che provvederà a ritagliare uno spazio di tempo in cui parlarne.

Questa radicale trasformazione dell‟organizzazione della riunione è stata anche possibile grazie all‟intervento di un nuovo infermiere professionale che da marzo ha assunto il ruolo di coordinatore ed ha apportato diversi cambiamenti già a partire dalla stanza di ritrovo dell‟équipe.

La riunione, grazie al suo operato, è diventata molto più organizzata e strutturata perché c‟è un tempo prestabilito per affrontare ogni punto dell‟ordine del giorno.

Nel corso dei mesi il carico di lavoro è aumentato notevolmente ed è stato necessario assumere una nuova infermiera ed un nuovo medico che, dopo un iniziale periodo di affiancamento, sono entrati a far parte attivamente dell‟équipe.

Concludiamo riportando le parole, apparse sull‟ “American Journal of Nursing” di un‟allieva infermiera che scopre di avere un cancro passando così dal ruolo di curante a quello di paziente:

“Sono un’allieva infermiera. Sto morendo.

Scrivo queste parole a voi che siete o che diventerete infermiere, nella speranza che condividendo le mie sensazioni, possiate un giorno aiutare meglio chi vive la mia stessa esperienza …

A nessuno piace parlare di questi argomenti, in verità nessuno desidera veramente parlarne ...

Il malato morente non è ancora visto come una persona, è il simbolo di ciò che ogni essere umano teme e di ciò che ognuno di noi sa, se non altro in teoria, e che ognuno dovrà affrontare un giorno …

C’è ancora molto da imparare sulle proprie sensazioni prima di poter aiutare persone che manifestano quelle stesse sensazioni. Com’è vero.

Ma per me la paura è oggi e il morire è ora.

Voi sgattaiolate dentro e fuori dalla stanza, solo per somministrarmi dei farmaci e misurarmi la pressione … perché io avverto il vostro terrore? Le vostre paure accrescono la mia. Perché avete paura?

Sono io che sto morendo. Lo so vi sentite insicuri, non sapete cosa fare. Ma, vi prego, credetemi, se vi prenderete cura di noi non potrete commettere errori …

Non scappate, aspettate, tutto quello che voglio sapere è che qui ci sarà qualcuno a tenermi la mano quando ne avrò bisogno.

Mi dispiace. La morte può essere una routine per voi, ma è nuova per me …”