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3. L’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE

3.2 Ruolo dello psicologo

“Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima.”

(H. Hesse)

L‟attività dello psicologo nell‟ambito della medicina palliativa costituisce uno strumento terapeutico di supporto essenziale per i famigliari e per gli operatori coinvolti nell‟assistenza i quali, a loro volta, potranno maturare un approccio psicologico nei confronti del malato.

L‟intervento psicologico si sviluppa in quattro situazioni: per l‟équipe (professionisti e volontari), nella supervisione, per il malato e i famigliari.

3.2.1 Per l’équipe

Per quanto concerne le dinamiche d‟équipe, il contatto quotidiano con i malati evoca costantemente l‟immagine della morte personale, che può provocare in tempi più o meno brevi usura, attenuazione dell‟impegno, crisi depressive, aggressività, sintomi che ritroviamo nella nota sindrome del burn out.

“Questo termine inglese significa letteralmente sentirsi bruciati; la sindrome del burn out costituisce la fase ultima di un processo difensivo reattivo a condizioni di lavoro stressante, è caratterizzata da uno stato d‟esaurimento fisico ed emotivo, un senso di ridotta realizzazione personale, ridotta produttività nel lavoro e un deterioramento nella relazione con gli altri” (Biondi, Costantini, Grassi, 1995).

La frustrazione per l‟ambito professionale e le pressioni psicologiche date dal malato e dalla famiglia possono produrre un logorio psicofisico rilevante.

Un modello teorico che meglio di altri può essere esplicativo del burn out è quello che fa riferimento alla sequenza: aspettativa-frustrazione dell‟aspettativa-aggressività-impotenza nel modificare la situazione burn out.

L‟operatore può coltivare una serie di aspettative che possono divenire in seguito fonte di burn out: la “guarigione” dei propri malati, la libertà di decidere, il guadagno, la carriera. Per realizzare un‟aspettativa viene messo in atto un investimento emozionale, la cui carica affettiva può essere variabile; più è elevata, maggiori saranno le possibilità di raggiungere con successo la propria meta, ma peggiori le reazioni in caso di fallimento.

Le strategie principali per prevenire tale sindrome sono: lavorare in équipe, chiarirsi gli obiettivi da perseguire, stabilire un limite alla propria disponibilità verso i pazienti, condividere con i colleghi i compiti più pesanti emotivamente, riconoscere lo stress ed imparare a gestirlo con strategie di coping mature, chiarificare e rendere consapevoli opinioni di sé, riconoscere le motivazioni personali della scelta professionale, organizzare il tempo di lavoro e programmare il tempo libero in attività piacevoli e rilassanti.

Lo psicologo può inoltre fornire all‟équipe le informazioni necessarie e le tecniche di comunicazione relative alla diagnosi e alla prognosi per favorire e migliorare lo scambio relazionale fra i diversi operatori e fra gli operatori ed il paziente.

Nel secondo ambito lo psicologo si occupa della supervisione del volontario che necessita particolare attenzione e protezione per la sua salute psichica, non essendo un professionista specializzato.

3.2.2 Per i famigliari e il malato

I famigliari, di fronte alla malattia inguaribile, possono avere difficoltà di comunicazione con il paziente e tra di loro, possono vivere sensi di colpa perché si sentono inadeguati o impotenti, sono provati da un carico di responsabilità dovuto alle cure, provano sentimenti di solitudine e sono persone, sicuramente, sofferenti.

Talora può essere utile un incontro con lo psicologo per ottenere un intervento supportivo; possono essere utili colloqui con il malato per offrire sostegno.

L‟intervento diretto sul malato può essere richiesto dagli operatori, dai familiari, dal paziente stesso che desidera il supporto psicologico.

L‟obiettivo è quello di sostenere le difese funzionali al malato per affrontare il suo cammino di morte, cercando di contenere il disagio emotivo, quando insorge in modo distruttivo. Quando, poi, sono crollate le speranze di guarigione, il paziente deve confrontarsi con la realtà della propria morte, ha inizio un percorso tra la vita e la morte costellato di paure e segnato dal dolore.

Ogni individuo ha diverse reazioni e un diverso stile d‟adattamento, secondo la propria personalità e il proprio vissuto; tra le più comuni ricordiamo: ansia, bisogno di controllo della malattia, delusione, negazione e passività.

Alcuni pazienti non riescono ad affrontare i sentimenti d‟impotenza e di rassegnazione, vengono sommersi dall‟angoscia, si chiudono in se stessi, rivolgendo la loro attenzione esclusivamente alla loro malattia e ai segni premonitori della fine; questa sorta di morte anticipata è la manifestazione di una forza interna devastante che distrugge le residue potenzialità.

E‟ bene tenere presente che generalmente l‟ammalato e i suoi familiari, pur soffrendo di un grave stato di disagio psichico, chiedono soltanto che vengano curati il dolore e tutti gli altri sintomi fisici secondari alla malattia o alle terapie;

solitamente non viene richiesto un colloquio con lo psicologo, anzi, la sua presenza può essere fonte di imbarazzo.

Questo avviene perché spesso il ruolo dello psicologo viene frainteso e collegato soprattutto con il sostegno da lui offerto nei casi di vera e propria malattia mentale, piuttosto che, come in questi casi, nei disturbi di comportamento o relazionali.

Frequentemente i famigliari ritengono di essere in grado di gestire i problemi psico-affettivo-relazionali, perché li considerano conseguenti alla patologia ed al suo iter.

Il compito dello psicologo è quello di stimolare le risorse psicologiche e di far circolare la comunicazione in questi diversi ambiti.

L‟assistenza psicologica nelle cure palliative e all‟interno degli hospices, in particolare, costituisce un‟attività essenziale in tutte le fasi del processo che va

dalla valutazione e formulazione del piano terapeutico, alla sua assistenza e a quella dei suoi familiari, al supporto e alla formazione del personale.

È necessario, ora, chiarire quale tipo di sostegno psicologico possa offrire lo psicologo al malato terminale, che cosa, cioè voglia dire accogliere e prendersi cura dei bisogni di chi avverte, di giorno in giorno, l‟avvicinarsi della morte.

La legge stessa riconosce questa importante funzione dello psicologo nel passo in cui recita: “In considerazione del livello di impegno psico-emozionale richiesto al personale che opera nella rete, l‟azienda sanitaria locale provvede a realizzare adeguate forme di supporto psicologico e di formazione permanente del personale” (DM 28 Settembre 1999).

E, più avanti, nello stesso decreto: “Gli obiettivi specifici della rete di assistenza ai pazienti terminali sono: assicurare ai pazienti una forma di assistenza finalizzata al controllo del dolore e degli altri sintomi, improntata al rispetto della dignità, dei valori umani, spirituali e sociali di ciascuno di essi e al sostegno psicologico e sociale del malato e dei suoi familiari” (DM 28 Settembre 1999).

Per queste ragioni lo psicologo è stato inserito, a pieno diritto tra i componenti dell‟équipe multidisciplinare.

Tuttavia, anche per lo psicologo, sia per quello che opera nelle strutture sanitarie, sia per quello che verrà “arruolato” ai fini dell‟attuazione del programma di cure palliative, si rendono necessarie esigenze impellenti di formazione; per questo sono note alcune società di psicologia in ambiti specialistici: la Società Italiana di Psicologia dei Servizi Ospedalieri e Territoriali (SIPSOT) si impegna, possibilmente in sinergia con altre società scientifiche ed associazioni professionali di psicologi con comprovata esperienza in questo settore, di predisporre corsi di formazione specifici.

Il trattamento psicologico deve permettere, in primo luogo, di stabilire una relazione di comprensione empatica che costituisca uno spazio nel quale il paziente si senta riconosciuto e accettato con i suoi bisogni di rassicurazione, le sue ansie, le sue paure e la possibilità di esprimere le sue emozioni.

Le problematiche psicologiche ed emotive del malato oncologico, nel suo percorso di malattia, richiedono degli interventi specifici per:

 elaborare il trauma psicologico conseguente al cancro;

 ricostituire il senso di continuità della propria esistenza;

 circoscrivere nel tempo l‟evento malattia;

 mantenere relazioni affettive di supporto;

 reinserirsi progressivamente nei suoi standard di attività sociale;

 migliorare il più possibile la sua Qualità di Vita.

L‟efficacia e la validità dell‟assistenza al malato grave, non può essere misurata soltanto sull‟adeguatezza delle prestazioni erogate o in base alla gestione attiva della malattia da parte del paziente o della famiglia, ma sarà il risultato di una relazione preziosa, costruttiva e significativa tra malato, sistema familiare e operatori.

Per quanto concerne la formazione dello psicologo, è necessario che egli abbia compiuto un tirocinio presso un Centro di Terapia del Dolore e Cure Palliative, ponendosi in relazione diretta con questo tipo di pazienti e con loro familiari, deve inoltre avere già avuto la possibilità di confrontarsi con le problematiche legate all‟iter diagnostico-terapeutico-assistenziale che caratterizzano l‟universo oncologico e che condizionano i vissuti, le emozioni, gli affetti, lo stile e la qualità di vita di chi si trova a vivere questa esperienza in prima persona.

Abbiamo già precedentemente accennato ai quattro ambiti principali di intervento dello psicologo che opera nell‟équipe di cure palliative ed emerge, per tanto, come egli debba essere in grado di attuare il lavoro in gruppo e sul gruppo, conoscendone le dinamiche interne determinate dalla grande quantità di reazioni emotive dei singoli membri.

Sarà importante che sappia familiarizzare dunque con tematiche quali: la competizione, l‟ostilità, la gelosia, i problemi di ruolo e la leadership in tutte le sue forme di manifestazione più o meno esplicita.

Lo psicologo deve essere formato alla conduzione di gruppi soprattutto eterocentrati, centrati, cioè, sul “là ed allora”.

In questi gruppi si richiede che si parli di un caso clinico seguito da un partecipante: sarebbe molto pericoloso per i complessi equilibri dell‟équipe, l‟attivazione di un gruppo “autocentrato” che presuppone la discussione o la simulazione sul “qui ed ora”.

Possiamo immaginare le conseguenze di operatori che discutono in gruppo di ciò che sentono tra loro o descrivono esperienze particolarmente intime che potrebbero diventare, al termine dell‟incontro ed alla ripresa dell‟attività lavorativa, catalizzatori di rivalità, invidie e gelosie.