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I corsi di teologia, cominciati nel novembre del 1843, costituivano lo studio principale a Saint-Sulpice, l’«unique à proprement parler»964, poiché da essi dipendeva la maggior parte degli altri corsi (Sacra Scrittura, Diritto canonico, ecc.). La mattina si svolgevano le lezioni di teologia morale, tenute dal professor Henri-Joseph Icard (1803-1892)965; il pomeriggio Philpin de Rivières (1814-1908), appena trentenne966, insegnava teologia dogmatica, studio che Renan finirà presto per disprezzare967. Il manuale di riferimento per entrambi i corsi era la Theologia moralis ad usum

seminariorum di L. Bailly. Per stile (scolastico), lingua (il latino) e spirito generale, questo testo

particolarmente datato968 sembrava a Renan l’analogo, in teologia, della Philosophie de Lyon. La Theologia moralis comprendeva nove trattati di teologia dogmatica, quattro dei quali costituivano la dogmatica generale, propedeutica all’analisi dei dogmi specifici, oggetto dei cinque trattati successivi969. Il testo di Bailly includeva poi undici trattati di teologia morale, disciplina anch’essa divisa in due parti: la morale generale e la morale speciale970

. Pommier studiando personalmente il manuale appartenuto a Renan, giunge alla conclusione che egli non dovette ricorrervi in maniera troppo assidua e ne deduce che gli insegnamenti teologici venivano forniti direttamente durante le lezioni dai docenti sulpiziani. In effetti, non è chiaro quali fossero le effettive competenze teologico-dogmatiche di Renan; tuttavia, egli ne dovette sapere a sufficienza

964

Cfr. lettre à H. Renan, Paris, 27 Nov. 1843, C.G., t. I, pp. 451.

965

H. J. A. Icard (1805-1893) fece il suo ingresso a Saint-Sulpice nel 1827; l’anno dopo fu ordinato sacerdote. Si spostò temporaneamente ad Avignone per poi tornare a Parigi nel 1832 a insegnare teologia morale e diritto canonico. Vicario generale di Parigi nel 1861, direttore del seminario nel 1862, nel 1871 sarà preso in ostaggio dai comunardi. Nel 1875 Icard diverrà Generale Superiore di Saint-Sulpice fino alla morte e sarà ricordato per l’intransigenza dogmatica che, al tempo di Renan, non doveva mostrarsi. Nel 1889, in risposta a certe polemiche fu costretto a precisare la dottrina del fondatore di Saint-Sulpice nella sua Doctrine

de M. Olier. Già in precedenza Icard era stato chiamato a difendere la compagnia da accuse di gallicanesimo. Fu autore di scritti di

catechismo, legge canonica e vari argomenti di carattere spirituale. Così Renan si esprimeva su di lui i primi giorni sulpiziani: «[...] homme d’une finesse et d’une sagacité sinon d’un profondeur, remarquables outre qu’il a la plus longue habitude du professorat». Lettre à Liart, Paris 18 novembre 1843, C.G., t. I, p. 442. Su di lui cfr. anche Πολυχρεστα, [16].

966

Renan esprime disappunto per la troppo giovane età del professore nella lettera à Liart (Paris 18 novembre 1843, C.G., t. I, p. 442). Pommier ci ricorda come questo maestro inesperto e dalla scarsa vocazione, finirà per abbandonare il seminario: «M. Philpin était compatriote de Diderot, et l’on sait que la tête d’un Langrois est rarement fixe sur ses épaules». Cfr. JCER, p. 23.

967

I primissimi giorni lo aveva al contrario giudicato avvincente. Cfr. lettre à Mme Veuve Renan, Paris 6 Novembre, 1843, C.G., t. I, p. 434.

968

L’originaria intenzione dell’autore era quella di abbattere atei, deisti, eretici e nemici della chiesa, ma, negli anni nei quali lo studiò Renan, poteva ormai ritenersi superato per il fatto che ogni questione di diritto pubblico in esso sollevata era stata sconvolta dal Concordato. Anche le note aggiunte all’edizione del 1824 non riuscivano a svecchiare l’opera, tant’è che l’edizione del 1830 conteneva ancora tutti gli errori che si erano rinfacciati all’autore. Renan possedette una ristampa in quattro volumi, del 1835, che acquistò nell’ottobre 1843. Cfr. JCER, p. 25; lettre à F. Liart, Paris, 29 mars 1844, C.G. t. I, p. 479. Cfr., inoltre, la lettera del 6 novembre alla madre (C.G. t. I, p. 436), ove tra alcune spese rendicontate risulta anche «Une théologie», acquistata per 8 franchi.

969

Il Trattato su Dio e sugli attributi divini, prendeva in considerazione Dio in se stesso; il Trattato di Dio creatore, lo considerava in relazione al creato; il Trattato sulla vera religione serviva a provare l’esistenza di una sola religione sovrannaturale (quella cristiana); il Trattato sulle vere Chiese stabiliva che, tra le diverse forme del cristianesimo, soltanto il cattolicesimo è istituito da Cristo. Da questi trattati di dogmatica generale dipendevano i dogmi della chiesa esaminati nei cinque trattati successivi: il Trattato sulla Trinità che ineriva al dogma della presenza di tre persone in un’unica e identica natura; il Trattato sull’Incarnazione, del quale era oggetto la seconda persona della Trinità; il Trattato sulla grazia, che verteva intorno al fine stesso dell’Incarnazione; il Trattato sui sacramenti

in generale che discuteva delle vie di diffusione della grazia; il Trattato sui sacramenti in particolare. Pommier spiega che

quest’ultimo studio, nel manuale di Bailly, comprende almeno sette capitoli, ed è per questo che Renan nei suoi Souvenirs attribuisce alla Teologia dogmatica 15 trattati. Cfr. S.E.J., O.C. II, p. 860.

970

Questi i trattati di morale generale: il trattato Sulla natura sui principi e sul fine degli atti umani; il trattato sui principi esterni, cioè Sulle Leggi; il trattato sui principi interni, cioè Sulla Coscienza; il Trattato sulle virtù inerente al rispetto delle leggi, il Trattato

sui Peccati, inerente all’infrazione delle leggi. La seconda parte della teologia morale, la morale speciale, aveva ad oggetto l’esame

delle leggi particolari al quale deve sottomettersi il cattolico. Essa comprendeva: il Trattato sul decalogo; il Trattato sul Diritto e

sulla Giustizia; il Trattato sui Contratti; il Trattato sui Comandamenti della Chiesa; il Trattato sulle Censure e le Irregolarità; il Trattato sui Benefici e sulla Simonia.

per poter giudicare la disciplina molto severamente. Ciò che lo irritava era soprattutto il metodo, non quello di ampio respiro e tutto oratorio di un Agostino e dei Padri della Chiesa, ma quello dialettico, definitorio, capzioso e sillogistico alla maniera scolastica di Giovanni Damasceno, Sant’Anselmo, Pietro Lombardo o San Tommaso (si è visto peraltro come, nel periodo di Issy, Renan avesse stentato a riconoscere come agostiniano, per la sua forma trattatistica e l’incedere “scolastico”, il giovanile trattato De immortalitate animae, (cap. I, 4). Questo metodo, pur preservando dai deliri del fideismo, faceva ricadere la teologia dogmatica negli errori della vecchia metafisica e questa stretta relazione tra dogmatismo e astrazioni metafisiche suggerì a Renan il dispregiativo epiteto di théologo-méthaphysique: «Tout syllogisme dont au moins une proposition n’est pas un fait ou une définition de mots ne peut mener à rien. Voilà pourquoi la plupart des raisonnements de la théologo-métaphysique ne sont que des cercles vicieux»971. Gli sforzi della teologia, da questo punto di vista, gli apparivano un indebito tentativo di penetrare gli abissi del dogma piegandolo forzosamente al diverso ordine strutturale del ragionamento umano. Questo tentativo razionalista naufragava ineluttabilmente in un mare di sottigliezze e spiegazioni incomprensibili: «Telle est cette seconde partie de la Théologie, toute empreinte de la scolastique du Moyen-Age, moulée encore, pour ainsi dire, sur les formules abstraites et creuses de l’école»972. Eppure Renan, ricordando il manuale in uso a Saint-Sulpice, ancora nei Souvenirs d’enfance et de

jeunesse, dimostra il permanere in lui dell’impressione forte, benché negativa, delle pagine di

Bailly. La debolezza filosofica del testo e della materia in generale dovette contribuire molto alla sua inquietudine spirituale. L’insufficienza metodologica, la puerilità di certe soluzioni argomentative, la fallacia logica del ragionamento, se da un lato lo indispettivano, dall’altro lo stimolavano a riflettere su soluzioni migliori, senza accodarsi ai ragionamenti della vecchia scuola — gli stessi sulpiziani non dovevano comunque essere così poco accorti da pretendere assoluto rispetto per l’autorità di Bailly. In questo senso, si può dire che fu concessa a Renan una discreta libertà di pensiero nelle trame larghe di questa sfilacciata rete teologico-metafisica. Ritengo dunque che la Theologia moralis dovette esercitare su di lui un certo impulso alla riflessione, e lo ritengo anche in base a certi dettagli fornitici da Pommier, che dimostrano come alcune idee combattute nella Theologia (dai prosecutori di Bailly che, pur rieditando l’opera, l’avevano aggiornata in maniera inadeguata), furono incorporate nella riflessione del seminarista. Ad esempio, l’edizione aggiornata e nondimeno inattuale del manuale posseduto da Renan prendeva in considerazione alcuni autori recenti, tra i quali Charles-François Dupuis (1742-1809) che ne L'origine de tous les

cultes, ou la religion universelle (1795)973 aveva ridotto il Cristo all’idea del sole e gli apostoli a quella dei dodici segni zodiacali974. Il dettaglio colpì Renan, che, nel maggio del 1845, lo recupererà nello scritto coevo al quaderno טקל intitolato Essai psychologique sur Jesus-Christ, scritto al quale già si è accennato in precedenza e del quale riparleremo. Non solo; nella Theologia, Pommier rinveniva anche una critica all’opinione dell’abate Claude-François Houtteville (1686-1742) sul miracolo. Forse Pommier non sottolinea a sufficienza l’importanza di quest’opera sulla produzione di Renan, sia che egli la conoscesse solo indirettamente oppure che l’avesse letta di persona. Ne La

religion chrétienne prouvée par les faits, del 1722, Houtteville aveva polemizzato con Spinoza sul

tema del miracolo che il filosofo panteista aveva ritenuto impossibile in quanto sovvertimento delle leggi di natura, ossia dei decreti immutabili di un Dio immutabile. L’abate francese aveva riaffermato la possibilità del miracolo sulla base della sua non assurdità975 e si era spinto ancora oltre estendendo al miracolo la legge di natura: «Je soutiens que tous les miracles peuvent être, & sont vraisemblablement une suite de l’harmonie des loix générales»976

. Dio, essere sommamente

971

TJ, p. 47.

972 Lettre à H. Renan, Paris, 27 Nov. 1843, C.G., t. I, p. 451. 973

L’opera era stata rieditata nel 1822 poi negli anni 1835-1836.

974

Renan avrebbe potuto incontrare Dupuis citato anche nell’Essai sur le panthéisme di Maret (Panthéisme, p. 334).

975

Se concepiamo Dio come essere perfetto e senza limiti reggitore del mondo e, per sua volontà, dell’essere di ogni creatura, sosteneva Houtteville, allora non deve sembrarci assurdo che l’essere che ha formato la materia possa modificarla.

976

C. F. Houtteville, La religion chrétienne prouvée par les faits avec un discours historique et critique sur la Méthode des

saggio e previdente, ha scelto leggi massimamente semplici e feconde per regolare la sua opera e, con volontà unica, amministra passato presente e futuro977. È nei limiti dell’uomo non conoscere nella sua interezza l’insieme delle leggi divine e non cogliere nella loro complessità i disegni dell’altissimo; tuttavia, è dalla semplicità di queste leggi che scaturiscono tutti gli effetti possibili, comuni o rari che siano. È agli effetti rari, che non rientrano sotto le leggi di natura dall’uomo conosciute, rimarcava Houtteville, che si attribuisce il nome di miracoli. Pertanto, un miracolo è “semplicemente” un evento sovrannaturale agli occhi dell’uomo, mentre per Dio, la cui volontà non subisce variazione, incertezza e non necessita di correttivi, è coerente alle leggi di natura. Ogni effetto è frutto, secondo Houtteville, delle leggi che Dio ha prestabilito e che si combinano con i suoi eterni disegni. In tale concezione, il miracolo è il frutto di una legge cachée che si combina con una legge nota e si traduce in un evento raro all’interno del complesso ordine naturale978. Anche in questo caso le somiglianze col pensiero del Renan dell’Essai psychologique, lo vedremo, sono impressionanti — e sotto questo profilo Renan fu più fedele forse a Houtteville che a Malebranche.

Se da un lato la Theologia moralis poteva fornire qualche spunto di novità a una mente giovane e ricettiva come quella del seminarista nella prima metà degli anni Quaranta, essa, come già si è detto, dava piuttosto adito a critiche. Nei Souvenirs Renan inviterà il suo pubblico a leggere una Teologia per rendersi conto personalmente di cosa fosse un trattato sui sacramenti, a suo dire un insieme di supposizioni gratuite, di prove assurde a sostegno del Cristo istitutore di ciascun sacramento, ecc979. Inoltre la teologia pretendeva di avere risposte a tutte le obiezioni che le si ponevano e non poteva ammettere alcuna sconfitta:

Une réponse subtile peut être vraie. Deux réponses subtiles peuvent même à la rigueur être vraies à la fois. Trois, c’est plus difficile. Quatre, c’est presque impossible. Mais que, pour défendre la même thèse, dix, cent, mille réponses subtiles doivent être admises comme vraies à la fois, c’est la preuve que la thèse n’est pas bonne. Le calcul des probabilités appliqué à toutes ces petites banqueroutes de détail est pour un esprit sans parti d’un effet accablant980.

Sul tema del miracolo Renan notava come, ad esempio, le argomentazioni di Bailly contro coloro che lo avevano negato sulla base dell’assenza di fonti extraevangeliche a suo sostegno fossero debolissime. La sua apologia si riduceva, più che altro, a rimarcare come molti testi antichi fossero andati perduti e come il silenzio non dovesse necessariamente aver più forza delle testimonianze positive, argomentazioni analoghe, lo vediamo, a quelle impiegate da Garnier nel suo corso di Sacra scrittura (cap. II, 3). Nei Souvenirs Renan definirà il manuale addirittura dannoso per le imprecisioni cronologiche e geografiche contenute nei luoghi ove si tentava di dimostrare l’integrità del testo sacro, mentre già tra i suoi appunti giovanili troviamo critiche precise al metodo:

On présente ainsi l’argumenti ex sanctitate Christi. Christus est Deus aut impostor. Atqui

non 2°, ex-. Mauvaise manière, car, sans être imposteur, il a pu n’être pas Dieu, etc.

Comment? Nescio. Phénomènes de l’esprit humain. Principe de l’éclectisme, qui a du vrai, de ne pas trancher les choses si rondement. Il faut traiter cette preuve comme M. Wiseman, en montrant que cela ne rentre dans aucun des types alors existants. Ici encore analyse psychologique981.

Salvare il Cristo dalla macchia d’impostura appoggiandosi sulla sua “santità” è una petitio principii che esclude la possibilità di un Cristo impostore e in buona fede. Sorprende certamente che Renan abbia preso in considerazione questa ipotesi — sebbene egli non fosse ancora giunto alla messa in discussione del cattolicesimo —, ma è chiaro che la responsabilità di ciò è da ascriversi proprio alla

977

Houtteville è chiaramente un seguace di Malebranche.

978

Cfr. su questo il capitolo V dell’opera di Houtteville, intitolato Que les Miracles en général, & en particulier ceux de l’Evangile

sont possibles, in C. F. Houtteville, La religion chrétienne prouvée par les faits, cit., pp. 20-30. 979 Cfr. S.E.J., O.C. II, p. 862.

980

S.E.J., O.C. II, pp. 862-863.

fallacia logico-argomentativa del Bailly. Quest’opera, suo malgrado, contribuiva a stimolare e a liberare la riflessione di Renan sino allo sviluppo di idee problematiche. L’imbarazzo per la questione del Cristo dovette portarlo a un confronto con Le Hir, ammiratore di Nicholas Wiseman (1802-1865). Dal manoscritto NAF 11477 (f. 173) apprendiamo che fu Gosselin, superiore a Issy e suo confessore, a far leggere a Renan quello che reputava «de beaucoup le meilleur livre sur les rapports de la science et de la religion». È tuttavia molto probabile che tale lettura sia avvenuta a Saint-Sulpice, dove Renan continuava a vedersi anche con il clero di Issy982. Wiseman, che nella nota della quale stiamo parlando è contrapposto a Bailly, nel suo quarto Discours sur les rapports

entre la science et la religion, aveva sostenuto che ogni nazione, così come non può abdicare ai

propri canoni estetici nel determinare il suo modello di bellezza ideale, non può abdicare neppure ai propri canoni morali nel determinare il suo modello di morale ideale. Come in India un bramino è modello di santità in quanto ad astinenza, silenzio, austerità e pratiche affini, in Grecia Socrate incarnò la perfezione di un carattere filosofico composto di elementi marcatamente greci. E Wiseman continuava:

[...] ce qui m’a souvent paru la plus forte preuve intrinsèque d’une autorité supérieure imprimée à l’histoire de l’Évangile, c’est que le caractère saint et parfait qu’il peint, non- seulement diffère de tous les types de perfection morale, que ceux qui ont écrit ce livre avaient la possibilité de concevoir, mais au contraire y est expressément opposé983.

Wiseman sosteneva, infatti, che il modello morale giudaico fosse da ricercarsi negli scritti dei rabbini, e che nulla di più lontano dal loro pensiero, dai loro principi e dalle loro azioni vi fosse del pensiero dei principi e delle azioni del Cristo. Com’era stato possibile agli ebrei rappresentarsi un tipo morale così distante dai loro canoni tradizionali, in disaccordo col loro costume, con la loro educazione, e col loro patriottismo? E come Greci, Indiani, Romani, ecc., che al pari degli ebrei nessun modo avevano di figurarsi un simile carattere morale, si accordarono nella venerazione e nel rispetto di quest’uomo?

[...] ceci ne fait qu’augmenter notre mystérieux étonnement; car assurément il n’était pas comme le reste des hommes, celui qui pouvait ainsi se distinguer par le caractère de tout ce qui était reconnu comme le plus parfait et le plus admirable par tous ceux qui l’entouraient et par tous ceux qui l’avaient enseigné [...] nous ne pouvons que le considérer comme destiné à renverser toute distinction de couleur de forme, de figure et de costumes; destiné à former en lui-même le type de l’unité auquel se rallient tous les fils d’Adam, et nous donne, dans la possibilité de cette convergence morale, la plus forte preuve que l’espèce humaine, toute variée qu’elle soit, est essentiellement une984.

È dunque sulla base dell’unicità del carattere psicologico del Cristo che Wiseman stabiliva la sua divinità ed è nei suoi confronti che Renan contrarrà un debito enorme nella connotazione del “suo” Cristo come fenomeno morale straordinario (si ricordi anche ciò che si è detto in precedenza riguardo alla teoria di Houtteville sul miracolo in quanto raro fenomeno naturale) nelle pagine dell’Essai psychologique del 1845. Ma come si vede dalla nota citata in precedenza, già per il Renan del 1843-1844 il Cristo non afferiva a nessuna tipologia d’uomo esistente, così, con Pommier, dobbiamo affermare tutta l’importanza della psicologia, nel primo anno sulpiziano, come alternativa concreta alla scolastica capziosa e tranchante in difesa delle tesi cristiane.

Se dunque Bailly ebbe, per vie traverse, un ruolo notevole nella formazione di certe idee che Renan recupererà a due anni di distanza nell’Essai psychologique e se i limiti del suo insegnamento

982 Su Wiseman e sulla sua influenza in Renan cfr. anche CR5, p. 75. Ne approfittiamo per segnalare in questa nota il fatto ormai

dimenticato, tuttavia da tener presente in caso di uno studio degli appunti di Renan, che A. Caquot integrò questa edizione di Pommier di ulteriori note, ritenendola insufficiente. Cfr. A. Caquot, Deux écrits d’Ernest Renan sur les Sybilles et Virgile, et le

Talmud, in «Études renaniennes» n° 18, 1974, pp. 14-15.

983 N. Wiseman, Discours sur les rapports entre la science et la religion révélée, t. I, Publié par la Société Nationale, Bruxelles,

1838, p. 235.

lo inducevano a cercare soluzioni teologiche anche in campo psicologico, la psicologia restava comunque di difficile applicazione in dogmatica. Al corso di Philpin de Rivières, incentrato sul

Trattato sulla religione, Renan doveva rassegnarsi alle assurdità logiche e alle imbarazzanti

contraddizioni che spesso emergevano nel confronto tra interpretazione teologica e testo sacro, testo che, ricordiamolo, il seminarista era capace di leggere in latino e in greco e, progressivamente, si rendeva in grado di leggere anche in ebraico. Un dogma problematico era quello dell’ispirazione del testo sacro, dal XVI secolo tra i più controversi, poiché si statuiva «l’inspiration biblique comme un dogme fondamental d’une religion vraie, après avor établi la vérité de cette religion sur le fait de l’inspiration biblique»985

. Si trattava, anche in questo caso, di una petitio principii986. L’errore logico sul quale si pretendeva di fondare l’ispirazione dell’intero testo biblico — in polemica col

milieu protestante nel quale, nei secoli XV, XVI e XVII, si erano dichiarati ispirati soltanto alcuni

passaggi dottrinali, quando non si era radicalmente combattuto il dogma dell’ispirazione —, apriva la strada all’analisi filologica del testo che Renan, acquisendo progressivamente padronanza della lingua ebraica, si rendeva, di giorno in giorno, sempre più abile nel condurre. Egli, infatti, poté in