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L’unica segnalazione della lettura, da parte di Renan, del giovanile scritto di Sant’Agostino

De immortalitate animae, composto nel ritiro di Cassiciaco, nel periodo che seguì alla sua definitiva

conversione compare in un articolo di Jean Pommier di non facile reperibilità144. L’influenza del pensiero di Agostino sul filosofo bretone è d’altronde ancora poco studiata. Sappiamo per certo della lettura delle Confessiones, probabilmente già avvenuta intorno al 1840, quando, in luglio, Renan aveva ricevuto in premio un’edizione di alcune sue Œuvres choisies145

. Non sappiamo se il titolo di questo volume doppio, nella forma in cui è citato da Renan alla madre, fosse quello di una traduzione francese, oppure se gli scritti scelti di Agostino fossero in latino. Ciò che sappiamo è che il seminarista ebbe sotto gli occhi una versione latina del De immortalitate anime, come dimostrano alcune citazioni trascritte nelle sue note al testo; tuttavia, potrebbe essersi trattato dell’edizione maurina così come della sua ristampa pubblicata dal Migne nel 1841 (Patrologia latina, vol. XXXII).

Il vescovo d’Ippona è nominato solo un’altra volta nella corrispondenza di Renan a noi nota sino alla fine degli anni Quaranta. Quando Renan lo citerà nel dicembre del 1843 in un’omelia composta in occasione della seconda domenica dell’avvento lo farà a partire da una citazione estrapolata da Bossuet dal Tractatus in Joannis Evangelium146. L’anno successivo trarrà altre citazioni agostiniane dal IVe Sermon sur la circoncision e dai Sermons sur la charité fraternelle del vescovo di Meaux, che annoterà tra le sue Observationes et Faits Psychologiques147. La lettura dei

Fragmens philosophiques del marchese G. de Cavour riporterà poi la sua attenzione sul confronto

tra Pelagio e Agostino148 e sarà Genebrard a disvelargli l’interpretazione agostiniana del significato di Cantincum ascensionum149. Maggior spazio troveranno i riferimenti alle teorie agostiniane nei quaderni di Renan del 1846, nei quali l’ex seminarista annoterà con toni ironici le opinioni di Adolphe Garnier sulla decadenza, opinioni estrapolate da una discussione alla quale partecipò anche Ernest Havet:

On aborde le christianisme, car il en faut venir là. Il y a décadence pour ces M.M. de Cicéron à St Augustin mais progrès dans la morale de Platon à Cicéron parce que ce n’est qu’à celui-ci qu’on voit des traités complets. Oh! l’homme aux traités complets! On sent le psychologue à traités classiques (ילתפנ [50]).

Se Havet si dimostrerà scandalizzato dalla credulità agostiniana, pur professando un certo amore per Agostino, Garnier non nasconderà un giudizio ben più tranchant anche alla luce di un confronto con Bossuet, finendo per irritare Renan:

[...] c’est un exalté, rempli de contradictions, sur la grâce, etc... Je ne suis pas dupe, dit-il, de la foi de Bossuet. Il croyait que c’était utile, et puis il y était engagé par l’extérieur. Mais nulle foi aux superstitions chrétiennes. St Chrysostôme de même. O Dieu! quelle sottise.... (ילתפנ [50]).

144

J. Pommier, Les premiers «Souvenirs d’Enfance» d’Ernest Renan (d’après un document inédit), in «La Revue de la semaine illustrée», 14 octobre 1921, pp. 191-199.

145

L’edizione in due volumi non ci è nota. Cfr. lettre à Mme Veuve Renan, Paris, 2 juillet 1840, C.G., t. I, p. 164.

146 Cfr. TJ, p. 5. 147 Cfr. TJ, pp. 53, 58. 148 Cfr. TJ, p. 97. 149

«[...] les uns pensent qu’ils sont ainsi appelés, comme des degrés par lesquels l’âme s’élève à Dieu. Ita St Augustin et les interprètes mystiques». TJ, p. 155.

In seguito, Renan cambierà idea sulla sottise di Garnier, finendo per dare ragione, almeno in parte, ai due suoi interlocutori.

Il est sûr que les Pères, même les plus philosophes, St Augustin, St Ambroise, etc. sont plus superstitieux que les penseurs païens, Cicéron, Sénèque etc. Cela tenait à ce que le merveilleux était leur élément, et comme de droit commun dans le christianisme. — C’est le seul point sur lequel M. Havet et M. Garnier avaient raison. (ילתפנ [99]).

In una nota incompiuta del quaderno successivo (םיפעש [15]) Renan ritornerà sulla dottrina traduciana della generazione delle anime e la attribuirà ad Agostino, così come aveva fatto anche l’amico Billion, in una lettera indirizzatagli nel 1845 (cap. II, 17). La questione della generazione del principio sostanziale, come vedremo, sarà al centro dei quaderni renaniani del 1845-1846, ma non raggiungerà in essi una soluzione definitiva. Il traducianesimo attribuito discutibilmente da Renan e Billion ad Agostino sembrerà all’ex seminarista la peggiore delle teorie sull’origine dell’anima e un grande controsenso filosofico quand’essa dovesse essere interpretata come una trasmissione sostanziale:

L’hypothèse du flambeau de St Augustin pour expliquer l’origine de l’âme, est très-naïve et

très-nettement caractérisée. Jamais on n’a mieux trahi l’embarras où l’on est pour expliquer le commencement d’être d’une substance. Le bon Saint en fait un fait, ce qui est bien plus commode; car il n’imagine pas, j’espère, que c’est la substance du père qui lui passe un peu du sien, pas plus que le flambeau source ne donne de sa flamme au flambeau qu’on y allume. C’est donc le simple fait d’un... (םיפעש [15]).

Nel quaderno ףסוי ראב, secondo le teorie di Renan, Sant’Agostino diverrà l’emblema di un progresso non sincronico che nell’individuo e nel genere umano si compie al di là della fissità apparente di alcuni elementi spirituali. Da questo punto di vista la figura di Agostino è infatti ambivalente; egli rappresenta un progresso in ambito morale e, allo stesso tempo, un immobilismo in campo retorico — d’altronde che tipo di giudizio attendersi da colui che definirà i retori «la pire espèce de toutes» (ףסוי ראב, [123])?

Ritorniamo adesso al nostro punto di partenza: al De immortalitate animae. In che anno collocarne la lettura da parte di Renan? È impossibile dirlo con esattezza, sebbene, basandomi sulla collocazione del manoscritto nel fonds Renan tra quelli risalenti al periodo di Issy sono propenso a datarne la lettura tra il 1842 e la prima metà del 1843. Tuttavia, il reiterato confronto delle idee agostiniane col pensiero di Descartes piuttosto che con quello di Platone mi fa supporre molto ravvicinata la lettura delle opere del padre della filosofia moderna che avvenne a Issy nel 1842. Il fatto che Renan abbia preso le sue note su fogli separati rispetto al libro di Agostino, riassumendo i paragrafi del De immortalitate e posponendovi alcuni commenti personali, potrebbe significare che il volume sul quale lavorava — ma del quale non vi è traccia in nessuno dei fondi che ad oggi compongono la sua biblioteca — non era di sua proprietà.

Queste note ci offrono un giudizio poco entusiasta su un testo che apparve a Renan arido, irrigidito nella forma di un trattato e peggiorato da uno stile sillogistico che lo aveva persino fatto dubitare della sua corretta attribuzione150. L’idea, poi scartata per mancanza di prove e per «la conformité de ce qu’on y lit sur la mémoire, le temps, la conservation divine, la nature de l’âme etc. avec le sentimens de ce grand docteur»151, testimonia da un lato l’audacia interpretativa del Renan appena ventenne, dall’altro il suo attaccamento a una determinata idea del bello stile agostiniano, senz’altro ricavata, oltre che dallo studio della retorica e della filosofia in generale, dalla lettura diretta quantomeno delle Confessioni.

Non al solo fine di presentare un ulteriore inedito di Renan, si è scelto di offrire la trascrizione di queste note giovanili. Esse anticipano infatti quel filone di ricerca sulla sostanza

150 «Ce qu’on y lit des espèces, etc. la sécheresse du Traité, la forme syllogistique, que St Augustin ne présente pas d’ordinaire si

stricte, m’avait d’abord fait penser que ce Traité n’était pas de St

Augustin». NAF 11481 f. 692r.

individuale, sull’anima e sulla sua immortalità che sarà sviluppato nei quaderni del 1845-1846. Già dalle note ad Agostino emerge l’ammissione da parte di Renan di alcune difficoltà capitali, su tutte, quella della dimostrazione della sostanzialità dell’anima. È questo, come leggiamo nelle note alla sesta parte del De immortalitate, che deve essere il vero e principale obiettivo della ricerca psicologica: «Il est fâcheux que la démonstration en soit si difficile: mais tout est là»152. La dimostrazione agostiniana, in effetti, non riesce a soddisfarlo pienamente, Renan spesso ne diffida e il suo giudizio finale sul trattatello sarà, come si è detto, poco lusinghiero. Il seminarista fece, in definitiva, una lettura non impeccabile del testo, priva di eccessi d’entusiasmo, sebbene l’argomento avesse per lui un’importanza speciale. Il suo atteggiamento si rivela spesso critico, e ciò sin dagli inizi del suo commentario. Il ragionamento di Agostino secondo il quale il “luogo” ove si trova la

disciplina (quarumcumque rerum scientia), cioè l’animus, l’anima razionale, essendo eterna tale

disciplina, è anch’esso eterno, appare a Renan «un sophisme, roulant sur l’équivoque du mot réside (est)»153. Il sospetto è causato dall’esempio del quale Agostino si serve per attestare l’immutabilità della disciplina, ossia il fatto che chiunque ammetta una verità geometrica ammette anche che tale verità esiste sempre. Ora, tale verità immutabile, per Renan è colta dall’anima ma non sembra coincidere in maniera sostanziale con essa, così che dall’eternità della prima non può inferirsi quella della seconda. È con lapidarie formule scolastiche che il giovane seminarista liquida l’esempio agostiniano: «ce en quoi réside quelque chose d’éternel est éternel, s’il y réside réellement et substantiellement, concedo, s’il y réside seulement come perçu, nego. Or c’est ainsi que la science réside en l’âme»154. Tuttavia, Renan passa oltre l’argomentazione troppo in fretta,

poiché per Agostino la disciplina è inseparabile dall’animus — seppur con esso non si identifichi — e non può trovarsi in altro “luogo” che in una realtà vivente, vale a dire, una realtà spirituale in grado, per via di un atto trascendente di pura intellezione, di ritrovare in sé, platonicamente, una conoscenza certa.

Seguendo Agostino Renan annota come la ragione (il mezzo per raggiungere la scienza) si trovi dans l’âme — il De immortalitate recita animus ma Renan non distingue tra anima e animus — o ad essa corrisponde e che in entrambi i casi, essendo immutabile, l’animus che vi si identifica o che la contiene è a sua volta immutabile. Fraintende, invece, il significato del termine ratio laddove Agostino sostiene che il giudizio matematico è invariabile e che perciò lo strumento con cui lo si esprime, la ragione, appunto, è altrettanto invariabile. Dopo aver esemplificato «Item semper eodem modo est, quod ‘quattuor habent duo et duo; hoc autem non habent duo: duo igitur quattuor non sunt’»155

, Agostino scrive: «Est autem ista ratio; inmutabilis igitur ratio est»156. Renan ne ricava che: «La raison n’est pas l’âme même, mais l’objet de la perception de l’âme. — Elle est il vrai dans l’âme, mais par perception. Ceci s’applique à la raison essentielle, dont sans doute St

Augustin entend parler. Car s’il parle de la raison personnelle, elle n’est pas immuable»157; e tuttavia, il termine ratio, in questo caso è usato da Agostino nel senso di calcolo razionale («Est autem ista ratio [...]»).

La condanna di Agostino non è mai totale e si riferisce precipuamente a quest’opera, nella quale il «grand docteur»158, capace comunque di intuire alcuni «principes vrais et lumineux de métaphysique»159 ragiona per sillogismi poco graditi a Renan. Per dimostrare che ciò che è immutabile non è mosso ma può muovere, Agostino sostiene che la costanza sia virtù e

immutabilità. Ma virtù è azione, e azione è movimento impresso oppure ricevuto. Dato che

l’immutabilità esclude il movimento ricevuto (presupposto del cambiamento) essa, di necessità, non esclude il movimento impresso. Ora tale movimento può essere impresso solo da una sostanza

152

NAF 11481 f. 690v.

153

NAF 11481 f. 689r.

154 NAF 11481 f. 689r [corsivo mio]. 155

Sant’Agostino, De immortalitate animae, II, 2 (ed. it. in Id., Sull’anima. L’immortalità dell’anima. La grandezza dell’anima, a cura di G. Catapano, Bompiani, Milano 2003, p. 66).

156

Sant’Agostino, De immortalitate animae, II, 2 (Sull’anima, cit., p. 68).

157 NAF 11481 f. 689r. 158

NAF 11481 f. 692r.

vivente, essa è il motore dei corpi, cioè l’anima. Perciò non vi è contraddizione nel dire che l’anima, che muove e fa mutare il corpo, permane immutabile. Se Renan sembra convenire sul principio metafisico, il ragionamento agostiniano gli appare una subtilité160. È questo un termine dispregiativo frequentemente usato dal pensatore Bretone e, in special modo, contro la sillogistica scolastica. Particolarmente critico appare Renan riguardo alla prova dell’immortalità che Agostino ricava dall’immutabilità dell’arte (ars) che si trova nell’animo: «Si enim manet aliquid inmutabile in animo, quod sine vita esse non possit, animo etiam vita sempiterna maneat necesse est»161. Il seminarista obietta che se da un punto di vista soggettivo l’arte nell’uomo non è affatto immutabile, da un punto di vista oggettivo, cioè considerando l’arte per sé, «dans la raison suprême», essa non è che «un être abstrait qui n’existe nulle part»162, pertanto non nell’artista. Tuttavia, mi pare che

Renan consideri il termine ars in chiave troppo moderna, sotto il suo aspetto creativo. In realtà, per Agostino, l’ars è l’ars liberalis che si fonda su rapporti numerici immutabili, ed è pertanto intrinsecamente immutabile, permanendo nell’artista anche quand’egli non la esercita, in quanto ogni ars è ratio, cioè sapere razionale.

Sorprende non poco invece il giudizio di Renan sul prosieguo del discorso agostiniano. A fronte dell’obiezione per la quale l’arte sembrerebbe talvolta essere nell’animo, talvolta non esservi, per dimenticanza o incompetenza, Agostino rimarca il ruolo chiave dell’attenzione, da parte dell’anima, ai suoi oggetti. Renan è particolarmente impressionato da questo «excellent développement des pensées habituelles» e si convince di trovare in Agostino un pensiero originale che ne farebbe addirittura un «cartésien par anticipation»163. Agostino, infatti, aveva sostenuto che tutte le rationes si trovano nell’animo in secretis, vale a dire che sono in esso presenti oggetti che l’animo non avverte in sé, ma che può recuperare. L’associazione con Descartes — non scorretta in linea di principio, sebbene di secondario rilievo — non puògiustificarsi, in Renan, se non per via di una lettura estremamente ravvicinata delle Meditationes de philosophia prima. Non possiamo, infatti, seriamente supporre una totale ignoranza, da parte sua, del pensiero platonico164 nel momento in cui credette di ritrovare in Agostino, ante litteram, le «idées innées» con le quali il padre della filosofia moderna aveva colmato lo scarto tra il solipsismo dell’io e il fondamento trascendente della realtà. Questa vicinanza fra le due letture dovette suggerire a Renan la modernità agostiniana alla luce di una continuità con le Meditationes di Descartes, piuttosto che la ripresa, nel

De immortalitate, di un platonismo mutuato, probabilmente, da Cicerone espositore del Menone165. Renan ritiene invece concluante la riflessione di Agostino sui mutamenti dell’anima, causati dal corpo o dall’anima stessa e che tuttavia non cambiano il suo essere anima, vale a dire non ne causano la distruzione, poiché ciò che vi muta sono proprietà non essenziali: «Le raisonnement conserve donc toute sa force, en excluant de l’âme tout changement qui ferait qu’elle ne serait plus âme, changement qui seul peut la détruire: car tout autre ne va pas à la détruire»166. Queste sono le sue considerazioni sul V capitolo del trattatello agostiniano. Non si spiega facilmente come nel manoscritto, al riassunto e al commento di questo capitolo segua, disordinatamente, quello del VII, anziché del VI, a meno di non ammettere un errore meccanico da parte del seminarista che, riprendendo in mano i suoi appunti e l’opera, ebbe la sbadataggine di saltare un capitolo, per poi ritornarvi in seguito. Un’altra ipotesi implicherebbe una seconda stesura da parte di Renan di queste note, per cui, essendo esse inizialmente un brogliaccio composto di fogli sparsi, per un errore nella loro disposizione e un ulteriore errore di distrazione da parte sua, analogo al precedente, potrebbe egli aver ricopiato il VII capitolo in luogo del VI, tornando su questo in un secondo momento. Checché ne sia, il commento al VII capitolo è tra quelli che più esemplificano l’atteggiamento di

160

NAF 11481 f. 689v.

161

Sant’Agostino, De immortalitate animae, IV, 5 (Sull’anima, cit., p. 72).

162 NAF 11481 f. 689v. 163

NAF 11481 f. 689v.

164

Sant’Agostino, De immortalitate animae, IV, 6 (Sull’anima, cit., p. 76).

165

Alcuni critici contemporanei hanno ritrovato nel passo di Agostino l’ammissione di idee innate, ricavate forse dai rimandi di Cicerone al Menone: «discere nihil aliud [est] nisi recordari» (Tusc. I, XXIV, 57). Su questo si veda la bibliografia citata in

Sant’Agostino, Sull’anima, cit., p. 324, n. 63.

Renan nei confronti di quest’opera. In esso Agostino affronta un’obiezione all’immortalità dell’anima fondata sulla stultitia: allontanarsi dalla ragione è un difetto, ogni difetto tende al nulla, il nulla è la morte, di conseguenza, l’anima tende talvolta alla morte. «Cette objection» annotava Renan en passant «montre combien était vague la métaphysique des anciens»167. La risposta di Agostino appare a Renan quantomeno «fort ingénieuse», poiché egli aveva fatto notare che anche il corpo difetta essendo divisibile e che, tuttavia, la sua divisibilità tende all’infinito senza che il corpo finisca mai per annullarsi del tutto. Se tale annullamento accade al corpo, a fortiori non riguarda l’animus. Tuttavia, il giovane lettore di Descartes reputava l’analogia agostiniana tra le due sostanze diverse «peu solide, car les corps ne sont divisibles qu’en tant qu’étendus; cette qualité répugnant à l’âme, il n’y a nulle parité»168

. Forte della nozione di semplicità della sostanza spirituale Renan si vedeva costretto a rigettare la soluzione agostiniana.

Resosi conto di aver saltato il VI capitolo, Renan tornava sui suoi passi e dichiarava questa parte, dedicata in primo luogo alle accezioni del termine ratio, superiore a quella precedentemente riassunta e in grado di fornire «des belles pensées et très lucides sur la raison, la vérité, l’objectif, le subjectif, etc»169. A onor del vero il lettore di Agostino è impreciso. Scrive infatti: «il explique la nature de cette raison. Il en propose deux définitions: 1° c’est le regard de l’âme vers la vérité, 2° c’est la vérité elle-même»170

. In realtà, il termine ratio è colto da Agostino in tre accezioni, a Renan sfugge la seconda che probabilmente confonde con la prima: «Ratio est aspectus animi, quo per seipsum, non per corpus verum intuetur, aut ipsa veri contemplatio, non per corpus, aut ipsum verum, quod contemplatur»171. Renan continua a non curarsi della tripartizione agostiniana neppure a fronte dell’espressione De tertio magna quaestio est, usata da Agostino per indicare l’aspetto più controverso della terza accezione rispetto alle precedenti e mantiene il suo dualismo: «La 1e dit-il, est admise de tous: la seconde est controversée»172.

Si tratta di sapere se il vero è per sé oppure se esiste soltanto nell’animo: è l’animus il soggetto del vero, è il vero il soggetto dell’animus, oppure sono entrambi sostanze? Renan ritiene che Agostino abbia ragione nel sostenere che, se l’animo è soggetto del vero, vale a dire se contiene in sé il vero, esso è immortale: «cela est très-vrai». Ritiene che il santo-filosofo sia ancora nel giusto sostenendo che se è l’animo ad essere nel vero, essendo il vero eterno e non potendo contenere in sé qualcosa di alterabile, l’animo è altrettanto eterno: «vrai encore». Enumerando il terzo caso, nel quale l’animo e il vero, che Agostino chiama ratio nel senso di una «sostanza immutabile e potentissima»173, vengono mantenute come sostanze indipendenti, la prima unita alla seconda, Renan scrive «il est sûr que l’âme existera tant qu’elle sera unie à la vérité»174

. Fa poi direttamente

sua l’argomentazione agostiniana riformulandola in prima persona: «Or je dis que rien ne l’en peut

séparer»175. Non può essere un corpo a farlo in quanto per natura inferiore. Non può essere uno spirito che nulla ha da guadagnarci. Non può essere la verità stessa (cioè Dio), scrive Renan, perché «elle ne perd pas à être contemplée»176. Una tentazione probabilmente fuorviante mi spingerebbe a vedere, in questa lettura di Renan del testo di Agostino, la sua personale concezione di un distante Dio-Verità simile a quella che esprimerà uno o due anni dopo nei Principes de conduite, tuttavia per