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La lettura dell’Essai sur le panthéisme di Henri Maret (1844)

Dalle note del 1845, come vedremo, emergono in maniera vaga e incompleta le nozioni filosofiche di Renan. Al fine di ottenerne un’idea più precisa, abbiamo visto di quale utilità sia lo spoglio dei suoi manoscritti e delle note a margine dei volumi appartenuti alla sua biblioteca. Talvolta però, di certe letture restano soltanto sparuti accenni, non un carnet di appunti, non l’esemplare di un libro. Certe idee sono state a tal punto assimilate dal seminarista e rielaborate in una forma personale da far dubitare sulla possibilità di un corretta attribuzione a una fonte. Tale pensiero lo avrà ereditato da Malebranche o da Pascal? La nozione di semplicità sostanziale la apprese dalle sue antologie scolastiche, dalla lettura di Descartes oppure lesse Leibniz prima del 1845? Alcuni tasselli di questo percorso di studi li conosciamo e uno dei contributi di questo lavoro, si spera, è stato quello di rivelarne almeno uno nuovo, il De immotalitate animae di Agostino. Possiamo escludere che alcune letture siano avvenute prima della fuoriuscita dal seminario, come quella di Locke, elementi della cui filosofia gli furono trasmessi dalle Institutiones Philosophiae di Valla; altre ancora, come quella di Leibniz, restano incerte1085. In quest’ultimo caso uno studio della

Monadologia o dei Principi razionali della natura e della grazia, intorno alla metà del 1845,

sembrerebbe fortemente plausibile, poiché il quaderno ܬܩܠ, pur mancando di riferimenti diretti all’opera di Leibniz (titolo, edizione, numero di pagine, come invece accade, ad esempio, nei casi di Cousin e Bautain) mostra attinenze con la sua filosofia e perché a partire da essa, oltre che dalla fisica energeticista di Boscovich e altri (cap. II, 17), Renan metterà in discussione le sue idee sulle sostanze e in generale sul sistema della realtà. È prudente tuttavia affermare che, all’inizio dei suoi studi, Renan dovette impadronirsi dei contenuti principali di alcune opere importanti tramite il filtro della letteratura secondaria di matrice cattolica, apologetica e polemica. Sebbene Renan, ad esempio, possedesse Les passions de l’âme di Descartes, il cui esemplare è conservato mutilo dell’ultima parte e non sottolineato1086

, nulla ci autorizza a sostenere che abbia effettivamente letto quest’opera. Ma è certo che ne assimilò le idee e con esse lo spirito generale della filosofia dell’autore grazie almeno al IV capitolo del De la connoissance de Dieu et de soi-même di Bossuet1087 e soprattutto attraverso la lettura dei Traités de l’existence et des attributs de Dieu di Fénelon. In questo paragrafo riscopriremo per l’appunto una lettura “segreta” di Renan, vale a dire poco nota ai suoi studiosi, ma della quale restano tracce nelle note al Cours de 1818 di Cousin e nelle note del 1844.

Abbiamo visto la particolare cura impiegata da Renan nello studio degli Esquisses de

philosophie morale di Dugald Stewart e ci siamo resi conto fino a che punto egli condividesse il

metodo e i risultati dell’illuminista scozzese. Si trattava però pur sempre di un filosofo del XVIII secolo, recepito attraverso un’edizione ad uso dei seminaristi; d’altronde a Issy non entravano

direttamente le idee filosofiche della contemporaneità francese. Tuttavia vi penetravano per via

indiretta, cioè tramite gli autori cattolici, e a Renan continuarono a giungere per questa via in molti casi anche a Saint-Sulpice. L’istinto apologetico che sopravvivrà in lui, sorprendentemente sino all’ultimo periodo sulpiziano, dimostra l’influenza degli autori cattolici nonostante il sostanziale

1085

Nella sua recente biografia J.-P. Van Deth sostiene come assodato, ma senza citare alcuna fonte, che Renan lesse Locke e Leibniz già a Issy, nel 1842. Cfr. J.-P. Van Deth, Ernest Renan, Fayard, Parigi 2012, p. 41.

1086

In NAF 1154728: Œuvres de Descartes, Nouvelle Édition, Collationnée sur les meilleurs textes, et précédée d’une introduction par M. Jules Simon, Discours de la Méthode. Méditations. Traité des Passions, Charpentier Éditeur, Paris 1842.

1087

Per fare solo alcuni esempi Bossuet si dilunga molto, sulla metafora del corpo-macchina, oppure ricorre alla nozione di spiriti

animali, descrive il loro movimento nel corpo e il conseguente movimento del corpo, attenendosi, bene o male, alla fisiologia

cartesiana. Ancora, ritorna sulla “sospensione del giudizio”. Cfr. J.-B. Bossuet, De la connoissance de Dieu, cit., pp. 188 ss, 193, 204.

disinteresse da parte sua per la teologia, il disprezzo della scolastica e l’impostazione psicologica della sua filosofia. Se pertanto Renan continuerà, di tanto in tanto, ma sino agli ultimi mesi di permanenza in seminario, ad esercitarsi nella difesa del dogma, lo farà con una certa autonomia, da

psychologiste, con tentativi “originali” improntati all’empirismo scozzese e un certo spirito

innovatore. Da una prospettiva più ampia, invece, va rimarcato l’eclettismo lato sensu di Renan. Nel percorso di studi e nei quaderni privati lo vediamo e lo vedremo confrontarsi e cercare di trar partito dal contributo di tutte le diverse scuole di pensiero. Questo atteggiamento lo predisporrà progressivamente ad accogliere quella posizione cousiniana dalla quale il caposcuola dell’eclettismo, per l’impostazione dialettica della sua ricerca storico-filosofica, abbracciava la totalità dello spirito umano nel rispetto delle sue forme molteplici — ce lo dichiara lui stesso, nel 1846, in ילתפנ [80] e ancora, ad esempio, in ישפנ [59]. Tuttavia, va rimarcato che Renan non aderirà mai alla scuola eclettica e che, anzi, dell’eclettismo denuncerà i limiti filosofici. Lo farà ad esempio nella nota 16 del quaderno Πολυχρεστα ove egli rimarcherà l’assenza di spinta innovativa da parte di questa scuola limitatasi a combinare e modificare le ipotesi filosofiche, le une con le altre, attenendosi alla regola del giusto mezzo. E, sempre nel 1846, sotto l’impulso dei suoi studi romantici e rinunciando alla sua idea di una verità che è residuo di un conflitto tra posizioni false e in contraddizione (cap. II, 1), criticherà la cautela eclettica che smussa tutte le posizioni filosofiche al limite da appiattirle e indebolirle: «J’aime mieux encore la manière ronde et ferme, qui s’échauffe et prend feu. Il y a beaucoup d’erreur, mais aussi beaucoup de vérité, et là-bas, il n’y a rien» (ישפנ [28]). Per Renan, lo vedremo commentando ad esempio la metafora mineraria contenuta in ܬܩܠ [37], ogni scuola filosofica in grado di apportare un progresso alla conoscenza umana, dovrà aprire un nuovo filone di ricerca rispetto alle scuole precedente, fuoriuscendo dalla galleria già tracciata e aggredendo la “ganga” dello spirito umano laddove essa permane ancora intatta.

Oui, décidément, l’éclectisme dans son large large [sic] et non étymologique est la formule la plus générale de la bonne méthode maintenant à suivre. Plus de négation absolue, ne plus être positivement d’un avis. Il est de fait que quand j’aborde une controverse, il m’est désormais complètement impossible de m’enrôler sous l’un des 2 étendards opposés; il faut partager, mais non à la petite manière, qui prend et mêle. Sottise. Petits esprits. Non: mais être d’un avis quand il y en a 2 en face, c’est bonhomie et mauvais goût. C’est un reste de la vieille ergoterie.

Renan non si avvicinò immediatamente all’opera di Cousin; a Saint-Sulpice ne leggerà il

Cours de 1818, ma soltanto a seguito di un denso excursus nella modernità filosofica su piste

tracciate da guide ben più ortodosse. Una di esse fu Henri Maret, di Cousin massimamente critico — così come di Pierre Leroux che Renan a sua volta criticherà per aver voluto ridurre il cristianesimo, prodotto eminentemente juif, alla grecità1088. Di Maret Renan lesse il voluminoso

Essai sur le panthéisme dans les sociétés modernes, nella sua prima edizione del 1840. Quest’opera,

grazie alla quale l’autore poté accedere all’insegnamento nella Facoltà di teologia in Sorbona, vedrà, nel 1845, la sua terza edizione. Nell’arco di questo quinquennio, Renan dovette tornarvi a più riprese e familiarizzare anche con altri testi del prete cattolico1089. Ripercorrere alcuni momenti di quest’opera consentirà di rievocare alcuni elementi della contemporaneità filosofica con la quale il giovane Renan cominciava a confrontarsi.

Maret aveva sostenuto la tesi che al fondo delle dottrine filosofiche e delle opere letterarie della modernità francese si celassero più o meno subdolamente tendenze panteistiche e

1088

«[Le Christianisme] fut un mélange du Platonisme et du Stoïcisme. Il adopta la métaphysique de Platon et l’éthique de Zénon», P. Leroux, De l’humanité, de son principe, et de son avenir, Pierrotin, Éditeur-Libraire, Paris 1840, pp. 63-64.

1089

L’Essai di Maret esercitò sulla formazione di Renan influenze dirette e indirette, queste ultime, ad esempio, tramite i corsi di Teologia. Cfr. JCER, p. 279 n. 26. Troviamo infatti il riferimento a questo volume nelle note a Stewart redatte da Renan a Issy nel 1841. Cfr. CR3, p. 91. L’influenza di Maret si protrae ancora in un suo successivo studio su Bossuet, nel 1845 in un ms. relativo al Sl XXII e, infine, nell’Essai psychologique sur Jésus-Christ. Cfr. JCER, pp. 368 ss.

anticattoliche1090. Aveva tentato di dimostrarlo con le oltre quattrocento pagine del suo saggio, attraverso l’interessante trattazione storico-filosofica di una dottrina di epoca in epoca subdolamente proteiforme e, tuttavia, immutabile nella sostanza. Il moderno panteismo francese offriva, secondo Maret, l’esempio eclatante di strategie dissimulatrici e deduzioni ben poco rigorose da principi generalmente taciuti, o lasciati nel vago, ma dalle conseguenza perniciose e che avrebbero ripugnato al senso comune. Soprattutto, scandalizzava il prete cattolico la pretesa simbolista delle moderne filosofie che si ponevano in linea di successione col cattolicesimo e miravano a trasformarne la dogmatica in una topica poetica vuota di senso. Possiamo dire che da questo punto di vista — e da moltissimi altri1091 — il più importante lettore sulpiziano dell’Essai

sur le panthéisme negli anni Quaranta, finirà per aderire pienamente all’oggetto della condanna di

Maret — la salvaguardia della poetica religiosa e l’abbandono del dogma assurgeranno a punti quasi programmatici di Renan soltanto pochissimi anni dopo l’abbandono di Saint-Sulpice — («A l’état philosophique et religieux où je me trouve — scriverà in ילתפנ [144], nei primi mesi del 1846 — je ne suis aucunement disposé à rendre un culte à quoi que ce soit»). Di più, potremmo dire che il Renan maturo avrebbe senz’altro trovato un posto di riguardo tra gli avversari di Maret.

L’autore dell’Essai, nell’urgenza della sua critica, compie un percorso circolare che parte dalla contemporaneità francese, retrocede alle dottrine orientali, vediche, manichee, ecc. — seppur nell’ammissione di una scarsa familiarità con esse — e risale attraverso l’antichità, per il medioevo e la modernità filosofica, sino a riemergere nuovamente nella contemporaneità francese, bersaglio perciò di un duplice attacco, iniziale e finale. Poco importa che Maret fosse in possesso o meno di valide nozioni di indologia — da neppure vent’anni era stata fondata la Société Asiatique da E. Bournouf —, certe immagini e alcune sentenze dovettero colpire il suo giovane lettore, come la descrizione di Brahma, «l’Ocean d’être à la surface duquel apparaissent et s’évanouissent les vagues de l’existence [...]». La si confronti col passo dell’Averroès nel quale Renan esporrà la profonda verità della teoria aristotelica: «à savoir l’identité du fond permanent des choses, l’éternité de l’océan d’être à la surface duquel se déroulent les lignes toujours oscillantes et variables de l’individualité»1092

. Scorrendo le pagine dedicate da Maret alle filosofie dell’India, Renan scoprì che solo Brahma esiste, «et tout ce qui n’est pas Brahma n’est qu’une illusion»1093

. Poi, con Parmenide e Zenone sfiorò l’idea che in ogni conoscenza umana persiste «un élément nécessaire d’illusion»1094

mentre al fondo delle cose risiede, assoluta, l’unità dell’essere1095.

Può darsi che en passant, leggendo della reazione sensista di Leucippo e Democrito agli eleati e della conseguente crisi scettica della ragione nel conflitto tra i due opposti (sensismo e idealismo — schema e opposizione che dimostrano il debito di Maret nei confronti di Cousin1096) Renan abbia riflettuto sulla coessenzialità del divenire alla storia della filosofia o, per meglio dire, alla filosofia stessa. Checché ne sia, l’esposizione di Maret introduceva Renan all’emanazionismo gnostico e a quello neoplatonico (Plotino, Proclo1097), spiegati alla luce dei lavori del Tenneman e

1090

Maret nota come in letteratura il panteismo agisca subdolamente. Nei romanzi, nei feuilletons, nei giornali, le sue dottrine compaiono infatti sempre separate dai principi. Si tratta di un panteismo nascosto o dissimulato espresso in teorie accessibili e che hanno l’aspetto di spiegare ogni cosa. Secondo Maret è un’illusione: «Si le panthéisme se montrait dans sa nudité, il répugnerait à un grand nombre d’esprits». Panthéisme, p. 220.

1091

Il libro di Maret sembra condannare punto per punto tutta la filosofia del Renan maturo: gli esempi potrebbero essere molteplici. Tra questi, l’accusa al simbolismo panteista di aver avallato una strategia divisoria dell’umanità in due caste eternamente divise, ammettendo l’alterità originaria tra i portatori del sapere religioso e le masse che seppero persuadere: «Ils ont destiné les symboles au peuple, les idées aux philosophes, aristocrates de la pensée» (Panthéisme, p. 254). La stessa divisione la ritroveremo nei Dialogues

philosophiques di Renan, opera dalla quale P. Bourget ricaverà il sogno “aristocratico” del filosofo Bretone, nei suoi Essais de psychologie contemporaine, Alphonse Lemerre Éditeur, Paris 1883, p. 96.

1092

Renan si riferisce all’VIII libro della Fisica e al XII della Metafisica. Cfr. Av., O.C. III, p. 102.

1093 Cfr. Panthéisme, p. 113. 1094 Cfr. Panthéisme, p. 124 1095 Cfr. Panthéisme, p. 123. 1096

In realtà Maret non usa in questo contesto il termine scetticismo per definire una prima sintesi di sensualismo e idealismo, ma l’impianto del discorso ricalca chiaramente la successione cousiniana del Cours del 1828.

1097

«On pourrait résumer en ces termes la philosophie de Proclus: il n’y a dans l’univers qu’une seule essence, toujours identique à elle-même; nous découvrons cette essence en nous-mêmes par la contemplation du moi». Panthéisme, p. 139.

del Degerando e contrapposti al creazionismo cristiano1098. Per la prima volta, il seminarista aveva l’occasione di cogliere certi nuclei tematici del De divisione naturae dell’Eriugena e con essi l’idea per la quale «l’intelligence de toute chose est la réalité de toute choses»1099. Tuttavia non dovette allora prestarvi molta attenzione. Ancora nel 1847 egli ascriverà pienamente questo originale pensatore alla linea di eruditi ibernesi d’epoca carolingia1100. Neppure sembra che Renan si sia soffermato alquanto sul panteismo di Guglielmo di Champeaux e Davide di Dinant, rapidamente passati in rassegna da Maret, ma che ritroveremo citati nell’Averroès: l’avversario di Abelardo in quanto ausiliario sospetto dell’ortodossia, il secondo come sostenitore di dottrine affini al “panteismo arabo”. Negli anni sulpiziani troviamo invece il nome di Bruno rapidamente menzionato da Renan, in associazione con l’Eriugena, in delle note composte in occasione dello studio del Sermon sur l’unité de l’Eglise di Bossuet1101.

Le pagine di Maret, invece, riproposero con maggior incisività al giovane seminarista le dottrine di uno dei più pericolosi nemici dell’ortodossia: Spinoza — o Spinosa, come troviamo scritto nell’Essai e come anche Renan continuerà a scrivere in טקל e nei quaderni successivi. La pericolosità dell’avversario era accentuata dal rigore del suo metodo geometrico e dalle immorali conseguenze della sua dottrina. Per depotenziarne l’autorità, Maret sottrae alla comprensione di Spinoza il pensiero di Descartes, mostrandone la ricezione da parte sua come un tradimento. La concezione spinoziana della sostanza unica forzava il pluralismo sostanziale cartesiano e il dualismo tra anima e corpo, che con esso doveva essere invece mantenuto. Se Descartes aveva definito la sostanza come ciò che di null’altro abbisogna per esistere, lo aveva fatto parlando della sostanza in quanto soggetto di attributi senza negare la necessità di una causa o di un principio delle sostanze individuali. Spinoza aveva radicalizzato l’idea cartesiana in senso rigidamente monistico, negando l’esistenza di una sostanza oltre a Dio e fondando la sua dimostrazione sull’impossibilità dell’origine di una sostanza a partire da un’altra sostanza1102

. Nel 1845, in טקל, Renan rifletterà a lungo sulla nozione di sostanza attraverso un ragionamento filosofico scandito dalle note 35, 50, 55, 56 e 57 alle quali si ricollegheranno ulteriori note del quaderno successivo La difficoltà di giustificare la compresenza di due diverse sostanze nell’uomo, soprattutto alla luce della debole spiegazione offerta da Descartes nel Traité des passions1103 (difficoltà che abbiamo visto emergere già tra le note agli Esquisses di Stewart), l’urgenza di dimostrare la spiritualità della sostanza umana e la sua immortalità personale, la paura di cadere nel panteismo pur tuttavia senza escluderne mai definitivamente la possibilità, saranno gli stimoli vivificanti della riflessione filosofica di Renan in quegli anni.

Se Spinoza «ne forma pas d’école»1104, la Germania protestante, fu il vero teatro del panteismo. Attingendo a piene mani dal primo volume degli Essais de Philosophie di F.

1098 Cfr. Panthéisme, pp. 128-141. 1099

Panthéisme, p. 143.

1100

«Scot Érigène fut sans doute un phénomène dans son siècle; ce serait toutefois une erreur de croire qu’il a été unique ou même exceptionnel. Il a peut-être considéré comme le type de ces nombreux Hibernais qui venaient faire admirer du continent leur science. Il en est sans doute le plus illustre représentant; mais la série de ses études fut la série accoutumée de son temps. Ici comme toujours l’histoire littéraire doit prendre garde en mettant dans un trop grand jour certains noms propres d’effacer le groupe dont ils firent partie et de les montrer isolés comme des exceptions à tout leur siècle». E. Renan, Histoire de l’étude de la langue grecque dans

l’Occident de l’Europe depuis la fin du Ve

siècle jusqu’à celle du XIVe, CERF, Paris 2009, p. 254. Nell’Averroès Renan lo rivaluterà come un «spéculateur très hardi et très peu orthodoxe» (Av., O.C. III, p. 218), le sue idee si rifletteranno nei Dialogues

philosophiques e in una nota manoscritta sarà eletto a suo antenato ideale (NAF 14200, f. 58). Su questi due ultimi punti rimando a L.

Rétat, Le père et l’abîme: au principe de l’interrogation religieuse de Renan, in Renan dans son temps et le nôtre. L’écrivain critique

d’art. Censure et création littéraire, «Les Cahiers de l’AIEF», n° 62, 2010, pp. 25-42. 1101

Cfr. TJ, p. 103. Tuttavia Bruno e l’Eriugena già si trovano accostati in Maret e secondo Pommier Renan fu molto colpito dalla descrizione della concezione bruniana del mondo fatta dall’autore dell’Essai. Leggendo quest’opera, si domanda il critico, «Le rêve des Dialogues ne s’ébauche-t-il pas déjà dans l’esprit du jeune homme?». JCER, p. 368.

1102 Ad esempio alla p. 185 del suo Essai. Una rapidissima confutazione del panteismo spinoziano, Renan la ritroverà nei Fragmens

di Gustave de Cavour in una nota “risolutiva” della quarta antinomia kantiana, ove l’autore spiega l’errore panteistico come un indebito utilizzo del termine “volontà”. Secondo il marchese Spinoza non rifletté sufficientemente sulla differenza, in Dio, tra volontà necessaria, in quanto costitutiva della sua essenza, e libera volizione1102. Cfr. Fragmens, p. 107, n. 1.

1103 «[...] les preuves cartésiennes de l’existence d’une âme distincte du corps me parurent toujours très faibles [...]». S.E.J., O.C. II,

p. 846.

Ancillon1105, Maret ricapitolava sommariamente la dottrina kantiana prima di introdurre il suo lettore al pensiero di Fichte, Schelling ed Hegel. È dunque probabile che proprio Maret sia stato tra i primi autori1106 a fornire a Renan un bagaglio concettuale di matrice idealistica e ad averlo iniziato alla modernità filosofica tedesca, alla kantiana loi du devoir scaturita dal seno della libertà e che «nous impose de croire à l’existence de Dieu et à l’immortalité de l’âme»1107. Qualche anno prima della stesura de L’avenir de la science, Renan poté così venire in contatto con la concezione fichtiana di un Dio equiparato all’ordine morale e allo sviluppo dell’ideale nel reale, della ragione nei fatti, inteso, cioè, come termine ultimo di tutti i progressi del genere umano. Trovò inoltre formulata, tra le dottrine di Fichte, l’idea dello sviluppo progressivo dell’umanità e quella dell’ineluttabile concatenazione, e di una reciproca determinazione, tra le epoche storiche. In generale, nell’idealismo, Renan trovò, e non poteva essere altrimenti, l’anticipazione della teoria del progresso di Victor Cousin: un passaggio graduale da una primitiva epoca istintuale e oscura a un’epoca futura, illuminata dalla ragione. Con Schelling intravide l’identificazione di legge morale e tensione all’Assoluto, Assoluto che comprese, soprattutto con Hegel, come essenza di ogni cosa dalla quale tutto procede e che tutto riassorbe. La filosofia hegeliana, per la prima volta, dischiuse inoltre alla sua riflessione — e alla sua immaginazione — gli orizzonti cosmici della storia, manifestazione dell’Assoluto, sviluppo non soltanto del genere umano, bensì movimento dell’intero