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Gli studi storici e grammaticali di lingua ebraica (1843-1844)

Al momento dell’ingresso di Renan a Saint-Sulpice, il corso superiore di ebraico era ancora tenuto dall’ottuagenario e decrepito Antoine Garnier della cui opera, un compendio di sacra scrittura, mai pubblicato in ossequio alla modestia e all’anonimato sulpiziano, si è parlato nel precedente paragrafo. Abbiamo mostrato inoltre le tare ermeneutiche, così come la debolezza della critica e dell’apologia del direttore sulpiziano, e messo in luce alcuni aspetti retrogradi della formazione dei seminaristi sulpiziani rispetto ai progressi delle scienze bibliche. Il compito di riscattarne il serio spirito e colmarne le lacune era toccato ad Arthur Marie Le Hir.

Il noto orientalista890 era allievo ed erede spirituale di Garnier891. Fu sotto la sua egida che, dalla fine dell’ottobre 1843, Renan dette inizio, con profitto e grande trasporto, all’apprendimento della lingua ebraica e fu senz’altro per suo merito che il giovane seminarista si dispose a intraprendere la carriera filologica892. Il corso di Le Hir non godeva di gran seguito, come prevedibile, essendo l’apprendimento dell’ebraico niente affatto obbligatorio. Dal canto suo Renan vi prendeva parte con massimo interesse, imparando ad applicare il metodo comparativo allo studio degli idiomi semitici893, iniziandosi ai rudimenti di fonetica, indagando le leggi della linguistica e sviluppando una personale filosofia del linguaggio.

I seminaristi studiavano la grammatica sui Principes de grammaire hébraïque et chaldaïque di Glaire894; più raramente, come dimostrano sparute menzioni tra gli appunti di Renan, ricorrevano alle Institutiones di W. Schröder895. Tra i manoscritti di Renan troviamo inoltre citazioni dal

Lexicon hebraïcum et chaldaïcum di Buxtorf, ma il dizionario di riferimento restava il piccolo Lexique di E. F. Léopold. Dal secondo anno fu integrato il Lexicon manuale hebraïcum et chaldaïcum di Gesenius — del cui utilizzo i manoscritti del 1844-1846 recano ampia testimonianza,

così come il manoscritto consacrato all’Introductio in Libros Sacros di Jahn (cap. II, 14) — secondo Pommier, conosciuto durante il primo anno solo indirettamente. Quali erano i testi biblici sui quali lavorava Renan? Una crestomazia a cura di Glaire, almeno dal 1844 una Bible de Vatable del XVIII secolo896 e il commentario di Genebrard accompagnato dalla Vulgata897. Dal canto suo, Le Hir

890 Almeno tutti i primi IV capitoli della Jeunesse cléricale di Pommier sono dedicati a questa figura d’insegnante e teologo. Ne

apprendiamo le fonti, la metodologia e la personalità. In conclusione Pommier lo tratteggia, forse ingiustamente, come un erudito moderato, poco originale e non molto superiore a Garnier. Dei suoi punti deboli Renan, nel 1844, non era in grado di rendersi conto: «En revanche, les qualités ont dû le frapper, surtout par comparaison avec d’autres Directeurs. A voir celui-ci donner si fermement la contradiction à Quatremère ou à Gesenius, il l’aura pris pour un maitre égal aux plus grands, — ou du moins destiné à le devenir».

JCER, p. 487. 891

Cfr. S.E.J., O.C. II, p. 855.

892

«Le Hir fixa ma vie, j’étais philologue d’instinct», S.E.J., O.C. II, p. 864. Pommier sostiene che Renan non avesse, al momento della sua iscrizione al corso di Le Hir, alcuna ambizione di carriera e che, al massimo, avrebbe mirato solo a una cattedra seminarile di lingua ebraica. Cfr. JCER, p. 105.

893

Grazie alla sua conoscenza di molte lingue orientali e di alcune lingue moderne, Le Hir era sicuramente un valido grammatico comparativo. Renan s’interessò soprattutto all’impiego dell’analogia, che attraverso la comparazione di siriaco, caldaico e arabo all’ebraico, permetteva di scoprire o confermare certe regole grammaticali. Le Hir non si limitava alla comparazione tra gli idiomi semitici, ma si spingeva anche nella comparazione morfologica dell’ebraico con il greco, il latino, il francese, l’inglese, il tedesco e, entro certi limiti, anche del bretone. Cfr. JCER, pp. 118-120.

894

J. B. Glaire, Principes de grammaire hébraïque et chaldaïque, J. J. Blaise Libraire Éditeur, Paris 1832.

895

N.-G. Schröder, Institutiones ad fundamenta linguae hebraeae. In usum studiosae juventutis edidit N.-G. Schroeder. Editio novis

indicibus aucta et emendata eademque tertia, in officina librar. stettiniana, Ulmae 1792. La grammatica di Schröder aveva

soppiantato quella di Danz. «Le Institutiones [...] determinarono ben presto l’intero studio della lingua ebraica. Gli schemi strutturali della lignua latina sono abbandonati da Schröder, che fa invece valere le peculiarità del semitico». H.-J. Kraus, L’Antico Testamento, cit., p. 255.

896 «Quant à savoir ce qu’il faut entendre par “Bible de Vatable”, ce n’est pas aussi facile qu’on le pense. Ce nom s’applique

spécialement aux Bibles du XVIe siècle, à celles du moins qui comprennent les Notes latin de François Vatable». JCER, p. 400. L’esemplare di Renan è pubblicato in due tomi (nel 1729 e nel 1745) e curato da N. Henri, professore di Ebraico al Collège Royale.

affrontava lo studio del testo biblico a partire dall’ebraico, attraverso un confronto tra le differenti versioni. Ricordava, infatti, che i più antichi manoscritti ebraici risalivano all’VIII secolo898. In alcuni casi, ammetteva persino la possibilità di un’interpolazione del testo ebraico, pur mettendo in guardia i suoi discepoli dal congetturare manipolazioni o errori dei copisti senza prove sufficienti899. Così, seppur attenendosi nella maggior parte dei casi alla veritas hebraica, Le Hir teneva in conto, oltre alla Vulgata, la versione dei Settanta, quella Samaritana, il Targum di Onkelos900, le parafrasi caldaiche, le versioni siriache, persiane, arabe, ecc.901. Venivano consultati poi i talmudisti (Kimḥi, Salomon ben Isaac, Aben-Esra, Bechai), ma generalmente Le Hir assumeva nei confronti di quelle che reputava le loro fantasiose interpretazioni in chiave anticristiana e delle loro teorie grammaticali una benevola aria di superiorità902. Se i rabbini venivano chiamati in causa era soprattutto per il merito avuto nella salvaguardia del testo sacro e nella sua interpretazione certe volte coerente a quella ortodossa. Da ultimo, Le Hir si rifaceva ai padri della Chiesa, Agostino, Ambrogio e i medievali, su tutti Tommaso, ma addirittura Bernardo903. Dal punto di vista ermeneutico il professore pretendeva che l’esegesi si conformasse al testo sacro senza ricorrere a forzature grammaticali o lessicali904. Le Hir aveva inoltre una vastissima conoscenza degli aspetti storici della lingua ebraica e delle tradizioni del suo popolo905, al punto che Renan definirà il suo corso un vero e proprio corso di Santa Scrittura906 parallelo a quello di (letto da) Carbon o Mollevault. L’ebraista, a differenza degli altri direttori, era aggiornato sui prodotti della critica tedesca contemporanea, «Pas une des objections du rationalisme qui ne soi venue jusqu’à lui»907

; era un vero savant e tuttavia, scriverà Renan nei Souvenirs, era soprattutto un santo. Vale a dire che, nonostante la modernità delle sue conoscenze, riusciva a conservarsi integerrimo nella fede cattolica. Il rigore della sua ortodossia superava, a quanto pare, quello della sua vasta erudizione: «Le surnaturel ne lui causait aucune répugnance intellectuelle»908. Il razionalismo tedesco non lo impressionava affatto, quanto di buono in grammatica poteva riprendere d’Oltrereno non se lo faceva sfuggire, quanto poteva confutarne in fatto di critica non tardava a confutarlo; sia sul piano teologico che su quello esegetico il sulpiziano perseguiva indefesso la difesa del dogma cattolico909. Per dimostrare l’autenticità del

Pentateuco poggiava sull’evidenza dei cosiddetti arcaismi, termini presenti nei cinque libri,

appartenenti a un’epoca remota della lingua, abbandonati nei testi successivi e che attestavano l’antichità del testo. Di questo elemento della topica ermeneutica ortodossa riparleremo nel paragrafo dedicato al commentario di Renan all’Introductio in libros sacros di Jahn e nei commenti alle note di טקל. Ci limitiamo qui a constatare che, nonostante avesse una buona conoscenza delle teorie di Wiseman e una certa ammirazione per questo autore ostile alla tradizione giudaica, che fa risalire la lingua ad Adamo e ai primi patriarchi910,Le Hir sosteneva che l’ebraico fosse una lingua 897

Per una descrizione più dettagliata di questi testi, delle opinioni di Le Hir e di altri sulla loro validità, cfr. JCER, pp. 399-402. Ancora: ivi, pp. 563-564. Le Hir parla anche di «diverses indications» provenienti «sans doute de notes relatives à certains psaumes, et que M. Le Hir avait confiées ou qu’il envoya à son élève favori». Ivi, p. 564.

898

Cfr. JCER, p. 431.

899

Cfr. JCER, p. 432.

900

Il Targum di Onkelos (Aquila, identificato per errore con l’autore), detto anche Targum babilonese, è la traduzione aramaica della

Torâ. 901 Cfr. JCER, pp. 432-435. 902 Cfr. JCER, p. 446. 903 Cfr. JCER, pp. 447-448. 904

Sull’esegesi in Le Hir, cfr. JCER, pp. 438 ss.

905

Sulle fonti di Le Hir e su questo aspetto delle sue lezioni rimando interamente a JCER, pp. 407 ss. Purtroppo, anche in questo caso, Pommier omette, nella sua trattazione, la maggior parte dei riferimenti precisi ai ms. di Renan.

906

Cfr. lettre à F. Liart, Paris 29 mars 1844, C.G., t. I, p. 479. Il corso di Le Hir faceva, in pratica, da corso ausiliare a quello tenuto da Mollevault. Cfr. JCER, p. 109.

907

S.E.J., O.C. II, p. 857.

908 Cfr. S.E.J., O.C. II, p. 857. Le Hir è definito da Renan misticheggiante ma guidato da un giudizio più retto di Gottofrey. Cfr. S.E.J., O.C. II, p. 858.

909

Su Gesenius Le Hir così si esprimeva: «Son dictionnaire est imbu des principes rationalistes; sa Grammaire est sans danger, sauf le Précis historique sur la langue hébraïque qui la précède, et où, comme les autres rationalistes, il détruit l’authenticité des Livres Saints [...]». Cfr. JCER, p. 112.

910

Wiseman riprendeva a sua volta le idee di Molitor. Cfr. N. Wiseman, Discours sur les rapports entre la science et la religion

antica come il genere umano911, e che fosse stata proprio la lingua adamitica (in alternativa proponeva il caldaico912). Da ciò azzardava in considerazioni storiche e giuridiche sulle origini del piacere, che rintracciava ai tempi di Yōbal e degli strumenti musicali (Gn 4, 21), sulla poligamia, facendo riferimento all’episodio di Lemek e delle sue due mogli (Gn 4, 23), sulla proprietà, citando l’episodio di Abele e Caino in Gn 4, 2 ss., ecc913

. Anche per questi motivi, certamente, è impossibile non scorgere una benevola ironia nei tardi, pubblici elogi di Renan al vecchio maestro, dal quale, nel frattempo, l’autore della Vie de Jésus aveva subìto diversi e seri attacchi sul piano filologico914.

In generale lo stile un po’ eclettico di Le Hir era accattivante. L’ebraista poteva facilmente passare da un argomento all’altro mantenendo viva l’attenzione dell’allievo. Sotto l’influsso delle

Leçons di Lowth, esaltava la sua fondamentale “scoperta”, sulla struttura poetica dell’Antico

Testamento, anteponendo per importanza il valore e l’impiego della simmetria (si veda טקל [1]) rispetto a quello di un corretto uso della lingua. Per via analitica cercava poi di risalire alla forma originaria di questa lingua nella convinzione di ritrovare in certe sue anomalie le tracce dei suoi primi momenti formativi, ecc. Dalla grammatica tornava al discorso sulla poesia oppure introduceva nella sua analisi ulteriori lingue semitiche. Comparava l’ebraico al siriaco, a un altro idioma mediorientale oppure a una lingua moderna, dispiegando un’erudizione sino ad allora sconosciuta a Renan915. Con la sua analisi linguistica Le Hir resuscitava lo spirito del popolo ebraico — intento, anche questo, in cui Lowth era stato anticipatore — e persino i suoi costumi. Studiando le associazioni di idee e i luoghi comuni presenti nei testi sacri, il professore pretendeva di ricostruire le dinamiche dell’antico pensiero ebraico e quasi una «psychologie d’Israel»916. Questa vitalità protoromantica d’ispirazione lowthiana impressa da Le Hir alla lingua delle sacre scritture, non dovette essere, per Renan, un impulso secondario al suo studio. Il seminarista avrebbe finalmente potuto accedere in maniera diretta al testo “originale”, confrontarlo con le sue traduzioni, rilevarne le differenze, riscontrare l’affidabilità di queste ultime, salmodiare i primissimi vagiti del genere umano; fu allora opportuno, senza particolare rammarico, sospendere l’apprendimento della lingua tedesca che aveva cominciato da qualche tempo e che riprenderà alla fine del 1844 (cap. II,1). Superate alcune iniziali difficoltà inerenti alla scrittura, il seminarista si convinse presto di esser versato917 nello studio di quella che gli si rivelerà come la più bella e, secondo i pregiudizi del maestro, la più antica delle lingue conosciute918. Fin dalle prime settimane del corso, inoltre, Renan si rese conto della superiorità scientifica della filologia tedesca. Come spiegava alla sorella, i protestanti — in realtà les allemands — erano riusciti a trasformare l’ebraico in una vera e propria scienza razionale: «une géometrie en un mot»919. La sorpresa tedesca dovette essere grandiosa se consideriamo che tale superiorità non doveva affatto emergere dal concomitante corso di Scrittura Sacra. Certo, neppure Le Hir dovette, almeno direttamente, mettere sotto gli occhi del suo allievo l’intera pletora degli esponenti di quel razionalismo e di quella scienza storico-critica che da Lutero ed Erasmo in poi, sino almeno a De Wette, si erano succeduti (in senso lato) oltre-Reno. È chiaro comunque che Renan dovette rendersi improvvisamente conto che, da questo punto di vista, a Saint- Sulpice il tempo si era come fermato da un secolo, e non solo rispetto alla scienza tedesca. Lutero, Erasmo, Calvino, Carlostadio, Reuchlin, Pellicanus, Grozio, Cappel, Herbert di Cherbury, Turrettini, De la Peyrère, Spinoza, Simon, Jean Le Clerc, Astruc, Michaelis, Reimarus, Semler, Lessing, Herder, Eichhorn, Gesenius... Chissà se tutti questi nomi cominciarono effettivamente a

911

Renan ritrovava l’idea, tra gli altri, anche in Grozio. Cfr. U. Grozio, Della vera religione cristiana, Laterza, Bari 1973, pp. 24-25.

912

Lo sosteneva sulla base del fatto che i nomi biblici di Adamo ed Eva hanno un senso in entrambe le lingue. Cfr. JCER, p. 113.

913

Cfr. JCER, p. 443.

914

Nel 1866 Le Hir pubblicherà in Études XVI anche un Examen critique d’un livre intitulé les Apôtres, par M. Renan.

915 Cfr. lettre à H. Renan, Paris, 27 Nov. 1843, C.G., t. I, p. 452. Per approfondire le fasi dell’insegnamento di Le Hir, cfr. JCER, pp.

121-124.

916

JCER, p. 421. Cfr. ivi, pp. 420-421.

917

Cfr. lettre à Mme Veuve Renan, Paris 6 Novembre, 1843, C.G., t. I, p. 434; lettre à Alain et Fanny Renan, Paris 16 novembre 1843,

C.G., t. I, p. 438. 918

Cfr. lettre à Mme Veuve Renan, Paris 6 Novembre, 1843, C.G., t. I, p. 434.

orbitare nel sistema storico degli studi biblici veterotestamentari che lentamente Renan andava formandosi, ma è certo che alcuni di essi, come sappiamo, gli divennero familiari e cominciarono ad assumere in quei mesi, grazie al corso di Le Hir, un significato più preciso. Certuni, lo sappiamo, non erano stati taciuti da Garnier, ma rappresentavano dei nemici o degli autori dai quali estrapolare sporadicamente idee consone alla critica ortodossa e certamente dei quali non rilevare i meriti. Gran parte — e la più importante senz’altro — degli studi biblici era stata occultata, sinora, allo spirito inquieto e indagatore del giovane Bretone. Le Hir dovette far già molto, in questo senso, per l’erudizione e l’abilità che sapeva dispiegare nell’esposizione delle sue teorie. Lowth, che almeno in parte ne era la guida, anch’egli, già si è detto, forniva a Renan notevoli aperture esegetiche. Ma più di tutto, io credo, dovette contribuire alla maturazione del seminarista la biblioteca personale di Le Hir, che il maestro mise a disposizione del fedele e versatissimo allievo, probabilmente a partire dal secondo anno. È ripensando agli insegnamenti di Saint-Sulpice che Renan scriverà a ragione: «J’aurais honte de reconnaître pour ancêtres la misérable école française [...]»920

.

Abbiamo già detto come Renan fosse consapevole della portata di questi studi. L’apprendimento della lingua ebraica era il necessario passo per avviarsi a una critica seria e rigorosa, in una parola scientifica, del testo sacro. Le Hir e i suoi pochi allievi cominciarono a tradurlo, a partire dalla Genesi, tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio 1844921. Ciò che davvero sorprende è la facilità con la quale il seminarista si dimostrò in grado di apprendere questa lingua che per “brevità”, secondo Fleury, era la più vicina al linguaggio degli spiriti i quali, per comunicare, non necessitano di parole e che Renan definiva «la langue plus belle et plus simple»922. A leggere la corrispondenza del giovane Ernest, saremmo portati a credere che stesse sopravvalutando le sue capacità di apprendimento. Eppure i fatti testimoniano in suo favore. A distanza di circa un anno dall’inizio dei suoi studi di una lingua tutt’altro che semplice, soprattutto per le numerose irregolarità che presenta, Le Hir e i direttori sulpiziani incaricheranno Renan dell’insegnamento dell’ebraico ai principianti e, poco tempo dopo, il maestro gli proporrà addirittura la stesura di una grammatica di ebraico!923 Detto questo, è quasi superfluo far notare lo spirito d’indipendenza e di intraprendenza che Renan dimostra nel suo primo quaderno del 1845, in tutte quelle note dedicate alle espressioni e ai termini problematici del Testo Sacro, nelle quali, tenta soluzioni esegetiche personali in contrasto con Le Hir e talvolta persino con Gesenius.

Il futuro docente di lingue veterotestamentarie al Collège de France, era innegabilmente dotato per l’apprendimento dell’ebraico. Vi fu agevolato, in primis, dalla sua capacità organizzativa e da alcune favorevoli condizioni, tra le quali il gravame moderato degli studi teologici, che lasciarono a Renan il tempo sufficiente per dedicarsi allo studio dell’ebraico e le energie per dispiegarvi il massimo impegno. Dal dicembre 1843 egli era già in grado di cimentarsi, sulla scia di Le Hir, nelle prime comparazioni tra l’ebraico e il celtico924, esempi delle quali troveremo nel quaderno טקל e troviamo nello scritto intitolato Rapports de la langue celtique avec l’hébreu (Appendice I). In queste poche pagine manoscritte Renan individua certe somiglianze grammaticali tra le due lingue, soprattutto riguardo all’impiego del pronome. Il pronome celtico di seconda persona, tè, gli mostrava un’evidente somiglianza con lo stesso pronome ebraico ה ָּת ַא (’attâ), giacché la maggior parte dei grammatici sembrerebbe convenire sul fatto che ’at sia una aggiunta non-radicale, essendo questo pronome identico in tutte le lingue e non soltanto nei casi del tu latino, del συ grec o del du tedesco925. Evidenti gli apparivano poi le somiglianze tra ebraico e celtico riguardo al pronome femminile di terza persona, hi in celtico e איִה (hî’) in ebraico, così

920

NAF 11482, f. 6, cit. in JCER, p. 112.

921

Cfr. lettre à Mme Veuve Renan, Paris 6 février 1844, C.G., t. I, p. 468 e Lettre à F. Liart, Paris, 29 mars 1844, C.G., t. I, p. 480.

922

Lettre à Mme Veuve Renan, Paris 6 février 1844, C.G., t. I, p. 468.

923 Nel 1846, Le Hir proporrà a Renan di scrivere una grammatica ebraica al fine di una pubblicazione. Renan cominciò a prepararla

a partire dalla note del corso del suo professore, tuttavia non la pubblicò mai. Il suo progetto si ampliò in una teoria generale dei sistemi linguistici (Cf. C.G., t. II, p. 305). La preziosa grammatica ebraica di Renan è conservata in BnF (NAF 11482). Alcune note preparative ci sono conservate nella raccolta Philologica (NAF 11475, ff. 100-217).

924 «Croirez-vous que le bretonne me sert beaucoup pour l’hébreu». Lettre à Mme Veuve Renan, Paris, 13 décembre 1843. Cfr.,

inoltre, la nota LXXVII delle Observations et Faits Psychologiques, nei TJ, p. 53.

come al pronome dimostrativo di terza persona, lo zè celtico e lo הֶז (zeh) ebraico. Su tutto, però, lo colpiva l’impiego dei pronomi affissi nelle due lingue. Ora, sebbene questo impiego fosse caratteristico delle lingue semitiche (per sostantivi, verbi e particelle), Renan ne riscontrava l’uso anche in lingua bretone ad esempio nel verbo gant, gantañ (lui ha), ganeoc'h (voi avete), ecc., fatto che lo portava a scrivere:

De toutes les langues en dehors de la souche sémitique, la langue celtique paraît seule jouir de cette propriété. Car les mots latins mecum et tecum, n’offrent qu’une simple agglutination de mots, sans aucune modification du pronom, modification qui a lieu en celtique et en hébreu926.

Ritornando alla dimestichezza di Renan con la lingua ebraica, va segnalato che, già nel febbraio del 1844, egli auspicava di riuscire a ottenere, entro un anno, una discreta preparazione927. Il metodo e l’abilità di Le Hir furono tali da facilitargli la comprensione dei meccanismi di una lingua «sans construction, presque sans syntaxe, la pure idée dans son expression nue». Questi caratteri la rendevano oltremodo una «langue d’enfant» e alimentavano il pregiudizio sulla sua primordialità. Nella lettera a Liart del 29 marzo 1844, Renan esprime tutta la sua contentezza per essere in grado di leggere e tradurre direttamente in lingua originale, così da recuperare l’intera portata poetica del testo sacro (dei Salmi soprattutto) che, inevitabilmente, si era perduta nella Vulgata geronimiana928. La stessa lettera ci offre un passo significativo che esprime tutta la fascinazione di Renan per Le Hir:

Il métamorphose sa classe d’hébreu en une vraie classe d’Ecriture-sainte, où il développe une érudition et une pénétration qui quelquefois font tomber d’admiration le petit nombre de ses auditeurs. Je le regarde comme un vrai savant, qui, si Dieu lui donne encore 10 ans