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Premessa: Al momento della stesura di questo paragrafo ritenevo pressoché inedite le Confessions di Renan. Ignoravo

che a p. 267 della terza edizione del volume di Pommier Renan d’après des documents inédits, il critico cita il titolo del manoscritto delle Confessions («J’ai rappelé ailleurs la page des Confessions où Renan [...]»). In nota, a fondo pagina, Pommier rimanda a un suo articolo apparso sul numero del 14 ottobre 1921 de «La Revue de la Semaine illustrée». Articolo che ho potuto soltanto scoprire intitolarsi Les premiers Souvenirs d’enfance d’Ernest Renan (d’après un

document inédit). La nota di Pommier non si limita a rimandare all’articolo, ma serve al critico per scusarsi di aver

ignorato al tempo, lui stesso, che, nel 1909, il 3 luglio, sul «Supplément littéraire du Figaro», Mme Noémi Renan aveva già pubblicato il manoscritto! Al di là del mea culpa per non essermi reso conto fin da subito dell’esistenza di questi due oscuri contributi, uno dei quali misconosciuto dallo stesso Pommier — ad oggi (gennaio 2014) ho potuto reperire e visionare soltanto quello apparso sul supplemento a «Le Figaro», che contiene, in un trafiletto di due colonne201 la trascrizione (peraltro non integrale202) del manoscritto da me creduto pressoché inedito —, ritengo importante approfittare del mio errore per rimarcare la difficoltà in cui oggi si trova uno studioso di Renan. Sul celebre autore francese si produsse, nel primo trentennio del XX secolo, ampia letteratura postuma, ma, per la maggior parte, in forma di brevi articoli, alcuni dei quali di notevole rilevanza (soprattutto quelli di Pommier). Talvolta furono pubblicati stralci di manoscritti sciolti nelle pagine di questi articoli, ma quanti e quali? La completa mancanza di un database sulle pubblicazioni di e su Renan, almeno quelle in lingua francese, ci impedisce di avere chiara consapevolezza, dopo un lungo periodo di “trascuratezza” nei confronti di questo autore che dura ormai dagli inizi degli anni Settanta, dalla morte di Pommier, del veritiero stato della ricerca su di lui; così che, oltre a riesumar Renan, nel suo studio, il critico è costretto a riesumar coloro che se ne sono occupati e che ad oggi giacciono atomizzati, dimenticati, sepolti in qualche emeroteca parigina di non facile accesso. Ma anche quando essi si trovassero disponibili negli archivi di gallica.bnf.fr, come nel caso dell’articolo di Noémi Renan, necessiterebbero comunque di uno spolio, pagina per pagina, senza possibilità di effettuare ricerche più mirate. Ciò detto e auspicando che la costituzione di un repertorio delle pubblicazioni “renaniane” possa rientrare il prima possibile tra gli impegni prossimi da assumersi coi colleghi del

Groupe Renan (ITEM), lascio inalterato, qui di seguito, nel suo primigenio, ingenuo assetto, il paragrafo che avevo

appena sottoposto a revisione la prima settimana di gennaio 2014.

Nonostante avesse promesso a Liart di far rientro a Tréguier in occasione delle vacanze estive, con una lettera datata 15 luglio 1842, Renan lo informava dell’impossibilità di rientrare in Bretagna203. Si diceva tuttavia meno dispiaciuto del solito della lontananza dalla terra natia, giacché conservava ancor fresche le impressioni delle sue ultime vacanze204; evidentemente l’aria d’Issy non era poi irrespirabile quanto quella di Saint-Nicolas. Issy aveva anche un altro aspetto positivo: l’isolamento. Le notizie del mondo vi facevano il loro ingresso con ritardo e non tumultuavano i parchi muscosi e i vialetti circostanti, deserti durante le vacanze205, ove Renan amava condursi in solitudine, a leggere e meditare, abbandonato a se stesso. Oltre le mura di Issy, a qualche lega di

201

N. Renan, Fragment de Confessions (pages inédites), in «Le Figaro supplement littéraire», 3 juillet 1909, p. 1. L’articolo è preceduto da un breve commento che insiste soprattutto sulle analogie tra il contenuto delle Confessions e la corrispondenza coeva di Renan.

202

Noémi Renan ha omesso di trascrivere l’intero f. 688v del manoscritto.

203

Le ragioni si trovano nella lettera della madre a Renan, scritta da Tréguier il 25 giugno 1842. Cfr. C.G., t. I, pp. 308-309.

204

Lo ripeterà anche alla madre nella lettera del 23 luglio. Cfr. Lettre à Mme Veuve Renan, [Issy] 23 Juillet [1842], C.G., t. I, p. 315. È senz’altro vero che Renan si trovava abbastanza a suo agio nella solitudine di Issy, ma sia nella lettera a Liart, sia in quella alla madre, tace sulla noia del periodo (evidente invece dalle primi righe delle Confessions), per evitare di procurare, in maniera diretta o indiretta, alcun dispiacere a Manon che era stata costretta a pregare il figlio di restarsene nei pressi di Parigi.

205 Almeno sino al 16 di agosto, data per la quale era attesa una “colonia” sulpiziana da Parigi. Il pensiero non rallegrava Renan, che

al tempo non nutriva una particolare simpatia per i condiscepoli parigini, i quali, ogni mercoledì di primavera, venivano in passeggiata a Issy: «Quant au Séminaire de Paris, [...] son caractère propre, c’est un icroyable mélange de tous les esprits et de tous les caractères. [...] c’est une vraie tour de Babel, aussi bien pour la confusion des langues, car il y en [a] de tous les pays, que pour celle des esprits». Lettre à F. Liart, Issy, 15 juillet 1842, C.G., t. I, p. 311. Si noti come nella lettera alla madre del 23 luglio 1842, il giudizio sulla presenza di un gran numero di condiscepoli parigini a Issy, sarà stravolto in una luce positiva: «[...] On est ainsi en nombreuse et joyeuse compagnie». Sull’attitudine menzognera di Ernest nei rapporti con la madre si veda il cap. II, 1.

distanza, brulicava la capitale del romanzo, ove Balzac andava ambientando una maestosa storia naturale dell’uomo, di cui Baudelaire affrescava lisergici Tableaux, squallidi e decadenti, alla quale Hugo, detentore d’ogni suo segreto, s’assimilava, s’agglutinava nel gigantismo goticheggiante e feroce delle cattedrali in pietra e delle cieche folle da ammaestrare. Per Renan Parigi era come se non esistesse; anche nel circondario della capitale, è la terra di Bretagna che egli va cercando e che, infine, ritrova206.

Da Issy Renan aggiornava Liart anche sugli scarsi progressi fatti al corso di filosofia e formulava un parallelismo, dal parfume pascaliano e implicitamente critico nei confronti del misticismo di Gottofrey, tra le due discipline più amate, la seconda delle quali era, lo sappiamo, la matematica:

[...] il faut de la finesse en philosophie, au lieu qu’en mathématiques, il suffit de l’attention, du bon sens et du travail. D’ailleurs je suis plus persuadé que jamais quel les mathématiques sont inséparables de la philosophie; aussi du premier coup d’œil il est facile de distinguer un ouvrage de philosophie fait par un philosophe mathématicien, ou par un autre qui ne l’était pas207.

Questa concezione risente anche del confronto tra due letture del periodo, quella del Traité de

l’existence de Dieu di Fénelon208

e quella dei Traités de l’existence et des attributs de Dieu di Clarke209, che, a differenza del primo, procedeno per assiomi ed sono connotati da un certo rigore matematico — Nei quaderni del 1846 Renan definirà il ragionamento di Clarke «un fil d’araignée» che conduce dall’ateismo a Dio210

. Ci dovremo ricordare di questa ammirazione per il rigore filosofico da parte Renan, nel suo primo periodo di studi filosofici, quando confuteremo — se già non lo si è fatto — più avanti, l’idea errata che vorrebbe ridurre la sua concezione filosofica a un vezzo poetico.

Il 23 luglio 1842 Renan rassicurava la madre sul non grave peso della permanenza a Issy, scrivendole di prender letteralmente “con filosofia” la forzata lontananza da Tréguier e dai suoi cari. Uno scritto incompiuto e sinora edito solo frammentariamente, intitolato Confessions e pensato in quei giorni, fu vergato per alleviare il peso delle «longues heures» d’esilio durante quelle vacanze211. Il titolo richiama alla mente le celebri confessioni agostiniane e, nondimeno, quelle di Rousseau. L’esordio delle Confessions renaniane, non è alieno da molteplici elementi della topica della letteratura di confessione che caratterizzano alcune delle più importanti opere medievali tra le quali le omonime Confessioni di Agostino, i suoi Soliloqui o il proemio ai Dialoghi di Gregorio Magno sino alla modernità di Rousseau. La condizione di esilio — figurato certamente —, entro la quale si trova l’autore, la sua solitudine, la tristezza, il tema della disgregazione della personalità nella dilatazione al suo esterno, nel mondo, contrapposto a quello dell’angustia come condizione del ritrovamento di sé e del colloquio con Dio sono alcuni dei caratteri tipici della classicità del genere, quali in Gregorio quali in Agostino. Ma da queste poche righe di Renan emergono inoltre caratteri prettamente moderni, un certo istrionismo alla Rousseau, il piacere del riconoscimento sociale, con esso la duplicità morale dell’individuo e, infine, la noia — tema eminentemente pascaliano — che per Renan è tuttavia stimolo alla produzione confessionale212 e intellettuale in generale — al limite

206

«Je passais des heures sous ces longues allées de charmes, assis sur un banc de pierre et lisant. C’est là que j’ai pris (avec bien des rhumatismes peut-être) un goût extrême de notre nature humide, automnale, du nord de la France». S.E.J., O.C. II, p. 835.

207

Lettre à F. Liart, Issy, 15 juillet 1842, C.G., t. I, p. 312.

208

«[...] est certainement admirable, mais on voit bien néanmoins que son auteur n’avait pas fait 10 ans de géométrie [...]». Lettre à F. Liart, Issy, 15 juillet 1842, C.G., t. I, p. 312. La copia di Renan, mancante di frontespizio e non ricca di annotazioni, è il volume NAF 1154731 della BnF.

209

«[...] dénote peut-être moins de génie: mais aussi comme c’est concluant!». Della lettura dei Traités de l’existence et des attributs

de Dieu è conservato un ricordo persino nei Souvenirs. Cfr. S.E.J., O.C. II, pp. 841-842. 210

Cfr. ילתפנ, [115].

211

NAF 11481, f. 687r. Lo scritto avrebbe potuto forse comporsi di più libri, sul modello agostiniano, essendo la prima pagina intitolata Livre I. Uno stralcio del ms. è publicato senza particolare commento in H. Psichari, Renan d’après lui-même, Librairie Plon, Paris 1937, p. 156.

212

Rétat ha dato forse troppo credito a quanto Renan scriverà nel 1846 in ישפנ [95]: «La France s’ennuie, a-t-on dit. Oui, c’est très- vrai. Mais pourquoi? Je ne m’ennuie jamais, moi, je souffre souvent, mais m’ennuyer jamais». Cfr. L. Rétat, Contre les « Chatterton-

che per certi versi, può dirsi che egli, nel suo continuum creativo mai realmente si annoia (ילתפנ [12]) . In questo l’incipit renaniano si contrappone a quello del proemio ai Dialoghi gregoriani, nel quale il papa, oberato dagli impegni mondani, anelava il ritorno alla solitudine del monastero e al dialogo con Dio213.

L’iniziale apostrofe a Dio ha un carattere immediatamente filosofico e omette la preghiera, pur certamente restando entro le forme di una laudatio agostiniana. Il Dio al quale Renan si rivolge non è genericamente magnus214 come quello di Agostino, ma è più specificamente immuable, sempre identico a se stesso215 e sin dall’origine del breve scritto, contrapposto alla sua creatura terrena o, ancor più precisamente, allo stesso Renan, che in sé avverte tutta la mutevolezza dell’essere del quale è dotata la creatura transeunte: «je change tous les jours, à toute heure, je le sens»216. All’essere superno, a colui che, aveva scritto Agostino, è la quiete di se stesso217, si contrappone la mobilità dell’essere umano. Tale contrapposizione, interpretata in chiave diversa, è un tema classico della patristica; essa si ritrova, prima che in Agostino, nel pessimismo di Gregorio Nazanzieno218 e successivamente in Gregorio Magno219. È anche intorno al concetto di cambiamento, cioè d’instabilità, d’incoerenza, disequilibrio e quant’altro, che ruotano le poche paginette di questo tentativo renaniano destinato al naufragio nel vortice di un’inconcludente autoanalisi. Esse si incentrano altrettanto attorno al tema della vanità — le cui varie forme Agostino enumera e combatte nel X libro delle sue Confessioni — correlato ontologico, ma in questo caso soprattutto morale, del cambiamento.

Concepite forse anche sotto l’influsso di Fénelon220 e sicuramente sotto quello di Pascal, le

Confessions rappresentano, per Renan, così come per Agostino, un bilancio filosofico — il primo

nel suo caso — e, necessariamente, un prodotto del loro stesso oggetto di indagine: il “divenire”. È nel disequilibrio della mutazione che infatti Renan può coglier se stesso, o meglio, l’incertezza del proprio io, nel suo farsi attraverso vere e proprie révolutions. Sono i passaggi di età, per i quali seguiamo più articolatamente anche Agostino — ben meno giovane di Renan al tempo della sua stesura — attraverso i suoi primi libri221. E questa incertezza, che è debolezza ontologica, relega la natura umana al limite dell’effimero, umiliandola in senso pascaliano222 oltre che agostiniano. A differenza di Agostino, però, al cui sguardo retrospettivo, lo scorrere del suo tempo corrispondeva ad una lunga discesa nel peccato e ad un allontanarsi dal Dio misericordioso e preludeva alla risalita verso questi, il tempo renaniano è meramente autoreferenziale e come staccato dalla temporalità del disegno divino. Rievocando le sue révolutions Renan posa l’occhio interiore soltanto sull’intima singes »: le « mal du siècle » et le jeune Renan, in Difficulté d’être et mal du siècle dans les Correspondances et Journaux intimes de la première moitié du XIXe siècle, Textes réunis et présentés par Simone Bernard-Griffiths avec la collaboration de Christian

Croisille, in «Cahiers d’études sur les correspondances du XIXe

siècle» n° 8, Librairie Nizet, Paris 1998, pp. 263-264.

213 Cfr. Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli (Dialoghi), t. I, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2005, p. 7. 214

Cfr. Sant’Agostino, Confessioni I.1. Per i riferimenti alle Confessioni cfr. Opere di Sant’Agostino, vol. I, Città Nuova Editrice, Roma 1965.

215

Solo in un secondo momento Agostino enumera alcuni attributi di Dio, definendolo «immutabilis» e «mutans omnia». Agostino,

Confessioni, IV, 4. Maggior vicinanza si riscontra con i Soliloqui: «O Dio, per la cui potenza tutte le cose che da sé non sarebbero, si

muovono verso l’essere». Agostino, Soliloqui I, 2, in Id., Opere di Sant’Agostino. Dialoghi, vol. III/1, Città Nuova Editrice, Roma 1970, p. 383.

216

NAF 11481, f. 687r.

217

Agostino, Confessioni, XIII, 38.

218

«Io sono. Dimmi, che cos’è l’essere? Una parte di me è già passata. - Niente è stabile. Io sono il corso di un fiume fangoso che sempre fluisce, senza mai fissarsi. - Di tutto ciò, che cosa sono io?». Cit. in C. Mohrmann, Introduzione, in Sant’Agostino, Le

Confessioni, BUR, Milano 2003, p. 26. 219

«L’animo mio infelice, tutto preso e dolorosamente turbato dalle sue occupazioni, ricorda quale io fui una volta nel monastero, quando tutto ciò che scorre via gli era al di sotto ed esso sovrastava tutto ciò che è mobile e passa, perché non meditava altro se non le cose de cielo [...]». Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli (Dialoghi), t. I, cit., p. 7.

220 «Je ne puis expliquer mon fond, il m'échappe, il me paraît changer à toute heure… Je ne saurais rien dire qui ne me paraisse faux

un moment après…», aveva scritto l’arcivescovo di Cambrais (alla Duchessa di Mortemart), ma Pommier non sembra propenso a collocare la lettura delle Lettres spirituelles prima del 1843. Cfr. JCER, p. 140.

221

Cfr. Agostino, Confessioni, I, passim e VII, 1.

222 «Mais quand j’ai pensé de plus près, et qu’après avoir trouvé la cause de tous nos malheurs, j’ai voulu en découvrir la raison, j’ai

trouvé qu’il y en a une bien effective, qui consiste dans le malheur naturel de notre condition faible et mortelle, et si misérable, que rien ne peut nous consoler, lorsque nous y pensons de près» B. Pascal, Pensées, Flammarion, Paris 1976, pp. 86-87 [139-136].

relazione dei suoi stati coscienziali e unicamente sul suo essere. Il suo cambiamento, lo si capisce fin da subito, manca di un senso teologico.

Già abbiamo mostrato quale fosse l’indecisione teoretica del seminarista nelle sue lettere a Liart dei primi anni Quaranta, i suoi repentini cambiamenti prospettici conseguenti alla scoperta dei diversi sistemi filosofici. L’oscillazione da un estremo all’altro, di un io necessitato a smentir se stesso è un fatto umiliante, un costante richiamo alla debolezza della natura umana e, tuttavia, l’intento autobiografico di Renan, una memoria di queste variazioni, non sembra scevro di un certo compiacimento. La contrizione per il peccato che Agostino ricollega persino alle sue esperienze filosofiche non cattoliche più elevate (le letture dei platonici, ad esempio) non sembra emergere altrettanto chiaramente dalle righe di Renan, sebbene al peccato in esse si accenni. Nell’oscillazione permanente entro la quale la sua mente vaga da una posizione filosofica appena scoperta ad una ancora più recente, egli s’angoscia e si affanna, ma non si pente di star in tal modo deviando dal percorso teologico e scritturale a quello razionale e critico. L’analisi psicologica che in Agostino è volta a mostrare i difetti dell’animo e della morale umani, e attestare la necessità della conversione, in Renan assume una insidiosa sfumatura edonistica sin dalle prime righe: «j’aime bien à me rappeler ces vicissitudes, et à étudier les divers couleurs des temps de ma vie»223. L’orizzonte di Renan è lui stesso nel suo divenire, quello di Agostino è quel Dio dove dare, al divenire, riposo nell’essere.

La rivoluzione o, più semplicemente, la variazione rimanda al tempo che ineluttabilmente scorre e nel suo moltiplicarsi le si accompagna la consapevolezza di un invecchiamento. Ma se pur breve è la vita trascorsa, essa appare a Renan «si longue pourtant en péchés et en peines»224. Giacché, per quanto breve, non c’è vita che un cristiano cattolico possa dire salva da peccati e sofferenze. In questi primi momenti di crisi spirituale, la confessione dovette sembrare al lettore di Agostino il rifugio più naturale: inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te. Si prefigge pertanto di impiegare il tempo della sua permanenza forzata a Issy, vergando su carta il ricordo dei suoi primi diciannove anni di vita. Tuttavia è fin da subito incerto sull’opportunità di questa impresa; non sa come potrebbe collocarsi rispetto ai due archetipi del genere confessionale, quello antico, agostiniano e quello moderno, rousseauiano. Renan sembra quasi intravedere il pericolo in agguato, insito in tale genere. Perché una confessione? Se lo era chiesto più volte anche Agostino, fondatore del genere in prosa, ritenendo opportuno giustificare a Dio e ai lettori i suoi intenti. Avrebbero dovuto anche le Confessions di Renan esser umile canto di lode al Signore, ammissione di peccato, proposito continuo di migliorar se stessi, testimonianza della verità e sprone per l’altrui ricerca del Vero, fonte di speranza e rinnovamento dell’amore per Dio, come in Agostino, oppure l’istrionica e orgogliosa ostentazione di sé al mondo come in Rousseau, quale necessità di trasmissione di una immagine di sé non falsata, attraverso una veridica auotesposizione concepita dall’autore come opera unica del suo genere e prima pietra di paragone nell’indagine sull’uomo? «Je ne puis ressembler au premier, je ne veux ressembler au second»225; in questa impasse cogliamo, come in controluce, la sincera autoaccusa di Renan che, mancante d’umiltà, inclina pericolosamente all’orgoglio e che, già consapevole di una vocazione incerta, e pertanto impossibilitato all’elevazione agostiniana, teme in cuor suo la controparte autodistruttiva incarnata da Rousseau, al quale egli stesso si accosterà, nel 1846, in םיפעש [17]226. Si tratterà dunque di una confessione agli uomini o di una confessione a Dio e per gli uomini? In fin dei conti, neppure Renan lo sa, al momento in cui comincia a scriverla e, con diffidenza nei confronti di se stesso, si risolve a cominciar la sua esposizione, con ordine, a partire dagli anni della sua giovinezza. Quasi avvertiamo il sospiro di rassegnazione che accompagna la dichiarazione d’intenti: «Quoiqu’il en soit, je commence, ô mon Dieu»227. La dichiarazione è seguita da un riflusso agostiniano di riconoscenza verso Dio, nel momento in cui Renan scrive che rimembrar del suo passato gli sarà, in 223 NAF 11481, f. 687r. 224 NAF 11481, f. 687r. 225 NAF 11481, f. 687r. 226

«J.J. Rousseau. Moi-même, je suis faux quelquefois, et je songe au δοκειν».

fondo, di conforto e agirà da impulso moralizzante, riportando la sua mente ai bienfaits, ai favori (pallida ombra della grazia che è tra i nuclei principali delle Confessioni agostiniane) che il Signore usò nei suoi confronti. L’esperienza psicologica del ricordo della propria fanciullezza era da tempo sotto osservazione e Renan si era accorto del piacere lenitivo causatogli da questo abbandono che lo riportava a un tempo più dolce, nel quale egli ancora percepiva «ce goût suave de la vertu» e non aveva irrigidito se stesso — già a partire dal tempo di Saint-Nicolas du Chardonnet — nelle pose del serio, studioso e meditabondo seminarista228.

A differenza di Agostino e a differenza di Rousseau, che scrivono entrambi per esser letti — il secondo, a dire il vero, per leggersi pubblicamente, tra intimi, lui stesso —, Renan, che manifesta col suo solo gesto, la volontà o la necessità di riversarsi al di fuori e pertanto l’imbarazzo rispetto alla serrata dimensione interiore, non può che scrivere per se stesso. Per chi altri sennò? Eppure,