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Vediamo adesso come Renan si esercitò autonomamente nell’uso della propria ragione e nella riflessione filosofica nel 1842124 e cerchiamo di capire che cosa rappresentasse allora, per lui, la filosofia. Tra i suoi manoscritti ho rinvenuto alcune pagine intitolate Introduction (Appendice B), che potrebbero far supporre un tentativo, o soltanto l’incipt, di un “discorso sul metodo” dai tratti apologetici. Si tratta di una riflessione interrotta dopo appena 11 punti (dei quali l’ultimo incompiuto) che identifica la filosofia col fine supremo dell’essere umano e la definisce come

ricerca di sé. Nonostante la brevità e l’incompiutezza del manoscritto, da esso emerge l’importanza

che Renan attribuiva al suo oggetto. La filosofia ha per fondamento un principio costitutivo della psicologia umana, la curiosità e si esercita a partire dalla riflessione la quale necessita di almeno una cause occasionnelle — si fa evidente nell’impiego di questa nozione l’influsso di Malebranche — per potersi produrre una prima volta. Se la riflessione è ovviamente quell’atto e quel procedimento tramite il quale l’io si rivolge a se stesso, la curiosità è la facoltà che apre al mondo esterno, al non-io. È pertanto naturale l’istanza dell’uomo sull’uomo e dell’uomo su ciò che lo circonda: è «le résultat de notre constitution»125. Tuttavia essa non è necessaria, infatti solo una minoranza di uomini riflette, vale a dire è posta nelle condizioni di riflettere grazie all’intervento di una cause occasionnelle. Ora, per l’uomo che riflette è naturale l’istanza su di sé e su ciò che lo circonda così come è naturale lo sforzo di darvi una soluzione. Con tale scopo, l’uomo intraprende un duplice percorso che lo conduce da un lato a studiare se stesso, dall’altro a studiare ciò che lo circonda, vale a dire la natura nel suo complesso, il non-io. La conoscenza di questo secondo oggetto d’indagine è necessaria ai fini della conoscenza piena del primo. L’uomo infatti conosce se stesso non soltanto per via di riflessione, vale a dire tramite il ripiegamento dell’io su di sé, ma anche attraverso il sistema di relazioni tra io e non-io. A questo secondo tipo di conoscenza, è comunemente dato il nome di scienza. Ora, la funzione suprema della scienza ha un carattere prevalentemente ancillare, poiché il fine di essa è ulteriore rispetto alla scienza stessa e corrisponde al soddisfacimento della prima istanza, cioè la conoscenza di sé. Affinché l’uomo possa conoscersi in maniera completa la sua relazione con la natura dev’essere conosciuta chiaramente. Danno forza alla ricerca scientifica due principi costitutivi della natura umana. Il primo lo si è già nominato, è la

curiosità che è un principio primitivo soggiacente all’indagine delle cose e presupposto di ogni

intelligenza. Il secondo è un principio di utilità ma che potremmo definire principio di comodità, poiché ad essa mira l’uomo e, per raggiungerla trasforma l’astratta conoscenza scientifica in applicazioni concrete realizzate attraverso l’industria. Il progresso industriale consente infatti il miglioramento delle condizioni materiali di esistenza del genere umano. Questo duplice orientamento conoscitivo dell’uomo è per Renan un fait. Esso si articola in una conoscenza teorica che corrisponde alla filosofia e in una conoscenza applicativa che Renan sembra ridurre all’industria ma che comprende anche la conoscenza scientifica. Infatti, se in quanto teoria la filosofia è, nel senso attribuitole dagli antichi, la conoscenza della verità in generale, all’applicazione è comunemente attribuito il nome di science. Sebbene Renan riconosca l’utilità della science, come si è detto essa una funzionalità ben più ampia che si estende, oltre che al piano pratico, a quello filosofico e psicologico. In primo luogo essa apporta un contributo necessario alla

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Dato il ms. dell’Introduction alla prima parte del 1842 e per i riferimenti impliciti a Gottofrey e perché appare scritto prima della lettura degli Esquisses de philosophie morale di Dugald Stewart (traduction nouvelle précédée d’une introduction par l’abbé P. H. Mabire, Librairie Catholique de Perisse Frères, Paris-Lyon, 1841 [d’ora in avanti Esquisses]) che dovette avvenire, al massimo, nella prima metà del 1843. Il Riferimento all’Introduction di Simon alle Œuvres di Descartes fu una delle prime letture a Issy e mi conferma ulteriormente in questa convinzione.

conoscenza di sé, svolgendo per tale motivo una nobilitante funzione ancillare rispetto alla filosofia. In secondo luogo appaga il principio primitivo della curiosità procurando all’essere umano una soddisfazione psicologica. Infine, ha ricadute sul piano pratico poiché grazie alla conoscenza dei meccanismi del reale può manovrarne il funzionamento orientandolo, il più possibile, al soddisfacimento delle esigenze materiali umane e persino al raggiungimento della commodité o del

confortable, obiettivo certo di gran lunga secondario e che non ci aspetteremmo neppure preso in

considerazione da colui che, nel 1855, definirà il termine comfort una «mot barbare»126. Se questa è la triplice natura e funzione della scienza, la Filosofia le è superiore. Essa è infatti, per Renan, «le tout de l’homme»; in sua assenza, per quanto edotto nelle scienze della natura, questi giace nella più profonda ignoranza di se stesso, «de sa nature, de sa fin, de ses devoirs, de son avenir», oggetti la conoscenza dei quali è condizione di felicità127. Renan non nega una sua dignità alla scienza presa in se stessa; essa può ben occupare lo spirito umano. Tuttavia, soltanto quando a tale conoscenza si aggiungono la riflessione e l’istanza morale essa acquisisce una dignità suprema. Lo scienziato merita una moderata ammirazione per i servizi resi alla filosofia e per aver sviluppato uno dei principi più nobili dello spirito umano, vale a dire la curiosità. Se a ciò egli si è fermato, non ha diritto ad alcun’altra lode. Ma se l’uomo oltre ad essere scienziato è anche filosofo, vale a dire se non ha come fine la scienza delle cose bensì la conoscenza di se stesso, allora egli si rende degno della più alta ammirazione giacché compie se stesso nell’orientarsi verso il suo fine specifico. Il filosofo, qualunque sia il suo risultato, sia che approdi a un qualche tipo di conoscenza o soltanto al dubbio, per aver assecondato la natura precipua del genere umano è per Renan degno e felice. Ogni suo sforzo conoscitivo, ogni pensiero e conoscenza acquisita è stata da lui sottomessa alla conoscenza di se stessi, all’indagine sulla propria essenza e sulla propria esistenza. Essenza ed esistenza dell’uomo sono dunque, per Renan, i più alti oggetti di indagine e il fine ultimo della filosofia. Già dal 1842-1843, il filosofo incarna al suo aristocratico sguardo il più importante rappresentante del genere umano. Ingiustificabili e irritanti appaiono pertanto, al giovane seminarista le invettive contro la filosofia, e le banalizzazioni dei teologi sprezzanti del razionalismo e fautori del sens commun, Gottofrey ad esempio. Questi ritengono che per avere nozioni sufficienti sulle questioni fondamentali dell’esistenza bastino il senso comune e la semplice natura e non serva la filosofia. Ora, da un punto di vista logico, osserva Renan, siccome la ricerca sulle questioni fondamentali dell’esistenza è proprio la filosofia, l’obiezione è di per sé fallace, essa infatti pretende di negare la filosofia opponendole soltanto una variante metodologica della filosofia stessa, facendo cioè del senso comune lo strumento di tale filosofia. Peraltro, il seminarista obietta ancora che se l’uomo potesse ricavare da se stesso, per via della sua semplice natura e del buon senso, la perfetta nozione di ciò che egli è, una scienza che miri allo stesso scopo sarebbe del tutto inutile. Ma, rileva ancora Renan, nessun uomo ha un’idea chiara della propria natura e, oltretutto, pochi uomini ad essa si attengono nella loro condotta pratica; Fénelon aveva scritto che l’uomo alla ricerca di sé marcia a tentoni come in un abisso di tenebra. Infine, questa prospettiva fraintende quei «points essentiels» che il filosofo deve avere di mira per dei principi. Queste considerazioni si chiariscono ancora meglio grazie a una nota, di poco posteriore, agli Esquisses de philosophie

morale di Dugald Stewart, nella quale Renan preciserà ulteriormente i limiti del sens commun:

Je crois qu’il faut prendre garde de pousser trop loin cette identification de la philosophie et du sens commun. Il faut à peu près l’admettre pour la certitude intellectuelle et morale, mais en tout ce qui commence à être question du pourquoi et de comment, le sens commun n’est plus compétent. Il ne faut le consulter que pour savoir ce qui de fait est ou non de notre constitution128.

In questa Introduction non è in ballo soltanto una questione metodologica, come scrive Renan, ma lo statuto stesso del “filosofo”. Tuttavia Renan compie il passo ulteriore di accordare

126 E. Renan, La poésie de l’exposition, E.M.C., O.C. II, pp. 242-243. L’articolo uscì sul Journal des Débats il 27 novembre 1855. 127

Cfr. NAF 11481, f. 660v.

validità filosofica alla Rivelazione. Ciò gli garantisce un punto d’appoggio sicuro. Soprattutto lo pone in condizioni di tentare quella sintesi di scetticismo e cattolicesimo della quale Pascal era all’epoca il modello e la cui possibilità era garanzia di una sensata permanenza all’interno della comunità cattolica. Bersaglio polemico di Renan sono, con evidenza, i suoi stessi superiori, almeno alcuni di loro, probabilmente Gottofrey, forse Pinault129, i quali dovettero sostenere che la conoscenza religiosa rendeva superflua la filosofia. Anche in questo caso, essendo per Renan la religione la più perfetta delle filosofie, sarebbe stata una contraddizione in termini volerla opporre alla filosofia stessa. Le derive misticheggianti di questa opposizione suscitavano il suo disprezzo, così come il presupposto di tale opposizione, sintomo di un’evidente ristrettezza mentale, vale a dire, l’idea che la filosofia si identifichi esclusivamente con la filosofia razionale. Renan è anni luce lontano dal misticismo, ma, lo è anche, ovviamente, dal puro razionalismo. In questo momento della sua riflessione, la Rivelazione può per Renan ben assumere il nome di filosofia fornendo un bagaglio insostituibile di verità sull’essenza stessa della filosofia: la conoscenza di se stessi. Anche in questo caso Renan pone l’accento sulla questione metodologica, rimarcando come per via di Rivelazione si proceda secondo un metodo diverso — certo, a partire dal dogma piuttosto che dall’esperienza. Renan non è ancora un allievo degli scozzesi, ma neppure li condanna. Reid è filosofo tanto quanto Leibniz, vale a dire, Reid è uomo degno di essere ascritto all’aristocrazia della ragione umana tanto quanto Leibniz e indipendentemente dai suoi risultati e dal metodo impiegato nella sua ricerca filosofica. Ma in fin dei conti, cos’è per Renan che spinge l’uomo ad abbandonare un metodo e a sceglierne un altro? Cosa porta il filosofo a rinunciare al suo arido razionalismo per abbracciare il contenuto della Rivelazione stessa? Come aveva scritto Jules Simon nella sua introduzione alle Œuvres di Descartes, è la ragione stessa, la quale «en prenant le principe de la révélation pour maître, le choisit et ne le reçoit pas, et fait en abdiquant acte de souveraineté»130. Ora è singolare che Renan chiami in causa proprio Simon, che nella sua Introduzione alle Œuvres di Descartes aveva tenuto ben distinte filosofia e religione, e, aveva riconosciuto, giustamente, nell’autore del Discours sur la méthode un «sage et ferme génie [qui] a cru qu’il pouvait être philosophe et rester chrétien», proclamando, per restare fedele al suo spirito, «que le principe de la révélation, pour être admis doit être contrôlé par la raison»131. Renan sembra non curarsi molto della separazione tra filosofia e religione alla quale accenna Simon e, se non le identifica, quantomeno fa della religione cristiana la filosofia più elevata.

Potremmo azzardarci a trarre qualche altra conclusione da questo breve scritto? Poiché appare che per Renan l’uomo può dire di essersi realmente appropriato di una scienza soltanto se essa è illuminata dalla morale, intuisce egli già il pericolo — o le opportunità — di un ribaltamento nel rapporto funzionale tra progresso ed essere umano? Difficile a dirsi; se tuttavia Renan non anticipa, nella vivacità della sua riflessione giovanile, idee che svilupperà negli scritti filosofici della maturità132, più semplicemente, riflette sotto l’influsso evangelico e col pensiero rivolto a Pascal, a Malebranche, a Descartes o a quel Reid, di cui una rara menzione è contenuta proprio in questo manoscritto e che, già si è visto, ricorderà nei Souvenirs d’enfance et de jeunesse come il suo ideale di allora. Negli anni Sessanta ritroveremo nella produzione di Renan l’idea di una necessaria complementarità tra la ragione scientifica, con i suoi prodotti, e la morale. Si prenda ad esempio, la controversa prolusione del 21 febbraio 1862, De la part des peuples sémitiques dans l’histoire de la

civilisation, pronunciata da Renan al Collège de France in occasione del suo insediamento alla

cattedra di lingue ebraica, caldaica e siriaca. Come tutti sanno, questa esposizione comporterà la sospensione immediata del suo incarico, per aver “bestemmiato” la divinità del Cristo definendolo un «homme incomparable»133. Non questo ci interessa al momento, quanto piuttosto la ripartizione ariano-semitica operata da Renan nello stabilire i contributi al progresso della civiltà umana. Se la

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Cfr. CR3, p. 23. I due direttori saranno diametralmente contrapposti a Gosselin in S.E.J., O.C. II, p. 837.

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NAF 11481, f. 661r.

131

J. Simon, Introduction, in R. Descartes, Œuvres, Charpentier, Libraire-Éditeur, Paris 1844, pp. VII-VIII. Si ricorre per comodità a questa edizione.

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Mi riferisco, ovviamente, ai Dialogues philosophiques.

razza ariana ha dalla sua il patrocinio della scienza e dell’arte, quella semitica è, per il filosofo bretone, creatrice della vera religione, del monoteismo. È grazie a questa invenzione che essa domina sul resto del mondo. Il contributo della razza semitica, con tutto il razzismo positivista che certa parte della critica134 ha voluto trovare tra le righe di questa provocatoria conferenza, è stato un «service capitale»135 reso all’umanità. La religione monoteistica, fondata sul dogma chiaro e semplice dell’unicità divina, col suo testo sacro, è la «depositaire d’enseignement moraux élevés et d’une haute poésie religieuse»136

. Ora, già negli anni Quaranta, anche grazie alla lettura di Fleury137, su questo punto, le idee di Renan avevano raggiunto una certa stabilità. Tra i suoi manoscritti leggiamo infatti che ciò che i semiti non riuscirono a fare nell’ordine delle cose esteriori,

ils le firent dans l’ordre de l’esprit, et on peut sans exagération leur attribuer la moitié des grands résultats et désormais acquis à l’humanité (légués par l’héritage des siècles) Des deux mots {en effet} qui jusqu’ici ont servi de symbole à l’esprit humain dans sa marche infatigable, celui de philosophie ne fut jamais le leur, mais toujours ils entendirent avec un instinct supérieur, un sens spécial si j’ose le dire, celui de religion, et qui voudrait soulever ici un de ces questions de prééminence entre les faces parallèles...138.

La complementarità di scienza e morale (o religione), costituirà dunque un sottofondo costante dell’intera produzione di Renan, sino a esasperarsi nei Dialogues philosophiques, in quella religione della scienza professata e custodita da una casta di ieratici savants al vertice di un organismo sociale finalizzato al progresso della Ragione e fondato sulla morale del sacrificio.

Quel che soprattutto emerge dall’Introduction del 1842, e che ci interessa qui maggiormente, è la concomitanza di filosofia e vita139. Ora, la vita è, per Renan, un sistema complesso e dinamico che non può esaurirsi nello spirito o nella ragione, e che se trae ricchezza dal dogma non può subirlo come ostacolo alla libera ricerca. Come la curiosità che si traduce in scienza e in ricerca di sé, gli affetti, le relazioni, sono componenti altrettanto essenziali della vita dello spirito — come avremo modo di vedere soprattutto dall’analisi delle lettere familiari di Renan risalenti al biennio 1844-1845 (cap. II, 1). È vero che al cristiano dovrebbe bastare l’amore divino, ma il giovane seminarista e conoscitore di Agostino ben sapeva che tale amore si ha per grazia e non fa capo ad alcuna facoltà dell’anima. Nella separazione dalla madre, dalla sorella, da una vera amicizia, perché no, dal mondo, il giovane Renan comprende, a partire dalla sua privazione, che la felicità di un essere umano consiste nel suo realizzarsi come totalità. Essa può dunque essere raggiunta soltanto dal cattolico che opera attraverso il complesso delle sue varie facoltà,

134 Il demerito di aver distorto il pensiero Renan va all’ideologico e tuttavia non privo di interesse Orientalismo di E. Said (Feltrinelli,

Milano 2005). Si vedano piuttosto le differenti e più autorevoli posizioni espresse in: R.Pozzi, Storia, Filologia e pensiero razziale.

Una riflessione su Ernest Renan, in Id., Tra storia e politica. Saggi di storia della storiografia, Morano editore, Napoli, 1996; L.

Rétat, Renan et la symbolique des races, in L’idée de «race dans les sciences humaines et la littérature (XVIIIe-XIXe siècles), Actes du colloque international de Lyon (16-18 novembre 2000). Textes réunis et présentés par S. Moussa; P. Simon-Nahum, Renan et

l’histoire des langues sémitiques, in «Histoire Épistémologie Langage», t. 23, fasc. 2, 2001, pp. 59-75; P. Simon-Nahum, L’Orient d’Ernest Renan: de l’étude des langues à l’histoire des religions, «Revue germanique internationale [En ligne], 7, CNRS Éditions,

2008, pp. 157-168, mis en ligne le 15 mai 2011: http://rgi.revues.org/406; infine, i brevi saggi introduttivi di S. Sand in E. Renan,

Qu’est-ce qu’une nation? suivi de Le judaïsem comme race et comme religion, Flammarion, Paris 2011, pp. 9-43. 135

Cfr. E. Renan, De la part des peuples sémitiques dans l’histoire de la civilisation, M.H.V., O.C. II, p. 328. «Nous leur devons la religion. Le monde entier, si l’on except l’Inde, la Chine, le Japon et les peuples tout à fait sauvages, a adopté les religions sémitiques».

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E. Renan, De la part des peuples sémitiques dans l’histoire de la civilisation, M.H.V., O.C. II, p. 329.

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Alla moralità e alla spiritualità della religione del popolo ebraico Fleury contrapponeva la pittura, la scultura e l’architettura, arti concepite per il piacere degli occhi: «Qu’on lise tant que l’on voudra Homère le gran théologien & le grand prophète des Grecs, on n’y trouvera pas le moindre mot pour conjecturer qu’il pensât à quelque chose de spirituel & d’incorporel». C. Fleury, Des mœurs des

Israelites et des chretiens, chez Jean Mariette, Paris 1720, p. 100. Secondo Fleury, essendosi conservata presso ogni popolo la

consapevolezza dell’esistenza di una natura benevola superiore all’uomo, ma non avendo i Greci idee più elevate rispetto a quelle corporee, questi si fecero delle divinità sensibili e dedite al vizio, il culto delle quali, tutto esteriore, nuoceva al buon costume: «Leur religion n’étoit donc pas une doctrine de morale comme la veritable religion». Ivi, p. 102.

138

NAF 11475, ff. 107-108.

139 «Un homme disait un jour à un philosophe de l’antiquité qu’il ne se croyait pas né pour la philosophie. “Malheureux, reprit le

philosophe, pourquoi donc es-tu né ?”. Cette parole est ridicule, si on entend, comme le vulgaire, par philosophie, un amas d’hypothèses vagues et creuses, mais elle est vraie et profonde in sensu supra definito». NAF 11481, f. 661.

intellettuali, morali, affettive, creative, ecc. Un uomo completo è un essere molteplice e soltanto un essere molteplice può essere un filosofo. Ma la molteplicità va prima conosciuta e, come vedremo, Renan tenterà di farlo attraverso delle incompiute Confessions, accodandosi alle fila di coloro che rivolsero il proprio pensiero e ogni loro sforzo alla soluzione dei singolari problemi dell’esistenza e della loro natura. Sono questi, ricordiamolo, gli uomini «dignes de la plus haute admiration, comme ayant excellemment rempli leur fin, soit qu’ils soient réussi à trouver la vérité, soit qu’ils ne l’aient pas»140. Per il Renan di Issy, la verità poteva ancora essere trovata? A parte quella porzione di essa rappresentata dai principi della fede, non nella sua interezza. Entro pochi mesi avrebbe proclamato se stesso cercatore della verità: grazie alla ricerca — più che alla scoperta — l’uomo soddisfa ai suoi doveri e conquista il proprio merito, realizzando se stesso nella conoscenza di sé, nel suo essere

filosofo. Crollati i principi cattolici, è pur sempre in questo spirito che, nel 1846, Renan si esalterà