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Almeno in due riprese, nelle due ultime settimane del dicembre 1843, durante quel periodo estremamente delicato che precedette la tonsura e nei giorni immediatamente successivi, Renan scrisse i Principes de conduite. Questo breve testo, nel quale è formalizzata buona parte delle riflessioni annotate da Renan in margine agli Esquisses de philosophie morale di Dugald Stewart, esprime una forte presa di posizione rispetto al proprio ruolo nella Chiesa cattolica così come una significativa svolta nella concezione di Dio. Ma in primo luogo, imporsi dei principi di condotta significa per Renan irregimentarsi al fine di perfezionarsi dal punto di vista morale. Non sorprende che tale impegno sia stato preso in concomitanza del suo primo passo verso il sacerdozio. Allo stesso periodo risale anche un Règlement particulier pubblicato postumo nel volume IX delle sue

Œuvres complètes e che consiste in una breve regola in otto punti alla quale attenersi per la

preghiera, la messa, la sacra scrittura, gli studi, ecc., inizialmente concepita in forma ben più estesa, come rivela il manoscritto, e che sembrerebbe essere una sorta di antecedente dei Principes de

conduite780.

La dichiarazione d’intenti che inaugura i Principes de conduite è quella di un figlio del secolo. Si è già visto, a proposito delle note agli Esquisses di Stewart, come Renan avesse rilevato tra i «caractères les plus frappants de [son] siècle»781 l’inclinazione di certi individui a dotarsi di un’apparenza contraddittoria rispetto alla loro natura. Egli stesso non sfuggiva a questa inclinazione, come dimostra l’esordio dei Principes che è un richiamo alla coerenza interiore: «[...] la perfection pour chaque homme n’est pas de sortir de son naturel, mais de rester dans son naturel»782. È pertanto il nosce te ipsum dei filosofi (meno probabilmente lo scito te ipsum di Abelardo), quell’esperienza interiore alla quale rimanda Agostino in apertura dei Soliloqui783 e che

per Proclo era «la source de toute la philosophie»784, il presupposto della miglior condotta possibile. Ma su tutti è ancora Pascal la guida di Renan al perfezionamento morale: «Il faut se connaître soi- même: quand cela ne servirait pas à trouver le vrai, cela au moins sert à régler sa vie, et il n’y a rien de plus juste»785. La stessa intenzione, come si è visto, era emersa in forma di abbozzo nel manoscritto delle Confessions, in quello intitolato Introduction e, nel mese di gennaio, in una lettera alla sorella:

je pose toujours en principe que chacun pour connaître l’état auquel il est destiné, doit chercher dans l’étude de soi-même la solution de ce problème [...] Les goûts et les penchans

780

Entrambi gli scritti sono stati raccolti postumi nei Fragments intimes et romanesques e successivamente ripubblicati in F.I.R.,

O.C. IX, pp. 1480-1492. Il ms. del Règlement (NAF 11476, ff. 139r-142v) è ben più ampio rispetto al testo edito. Si divide in quattro

sezioni intitolate: Piété, Etude, Caractère intérieur, Rapports avec mon prochain. Ad esse fa seguito una quinta sezione che reca nuovamente il titolo di Règlement particulier e che corrisponde al testo edito. La scelta di ridurre l’edizione del Règlement alla sua ultima parte è stata dettata probabilmente dal fatto che le altre quattro parti, con alcune modifiche, furono integrate da Renan nei

Principes de conduite, anch’essi conservati nel summenzionato ms. (ff. 143r-150r). Al tempo, Renan aveva anche copiato il Réglement particulier de Franklin, nel quale l’autore rimembrava il suo giovanile progetto «d’arriver à une perfection morale» e per

il quale aveva concepito un sistema di tredici virtù (Temperanza, Silenzio, Ordine, Risoluzione, Economia, Lavoro, Sincerità, Giustizia, Moderazione, Pulizia, Tranquillità, Castità, Umiltà). «J’ai copié ce morceau», aveva scritto Renan in conclusione, «comme caractéristique de la vertu humaine». Tuttavia, ritornandoci in seguito, aveva aggiunto a matita: «Rien de plus insipide. Absence complet d’idéal. La vertu n’est pas de n’avoir pas d’enfant; mais d’avoir devant soi un haute et celeste conception du parfait [...] Franklyn ressemble au petit poète qui ne cherche qu’à polir ses vers [...] l’homme vraiement verteux ressemble au poète qui ne songe quà poursuivre le beau [...]». NAF 11479, f. 328.

781 CR3, p. 51. 782

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1481.

783

Sant’Agostino, Soliloqui I, 1, in id., Opere di Sant’Agostino. Dialoghi, vol. III/1, Città Nuova Editrice, Roma 1970, p. 383.

784

Cfr. Panthéisme, p. 137.

785 B. Pascal, Pensées, p. 64 [66-72]. Ancora alcuni esempi: «L’homme n’est donc que déguisement, que mensonge et hypocrisie, et

en soi-même et à l’égard des autres». Ivi, p. 81 [100-978]; «[...] nous voulons vivre dans l’idée des autres d’une vie imaginaire, et nous nous efforçons pour cela de paraître». Ivi, p. 93 [147-806].

de chaque homme en sont les véritables données, et je crois qu’il n’y a si peu d’hommes à leur place que parce qu’il y en a si peu qui se connaissent786.

I Principes de conduite, da questo punto di vista, coronano in forma breve eppur compiuta quel percorso interiore avviato e interrotto nelle Confessions, successivamente ripreso da Renan nella sua riflessione non scritta e nella corrispondenza con Henriette e con François Liart. Fin dalle prime righe dei Principes cogliamo la portata rivoluzionaria di questi pensieri nei quali il valore della coerenza a se stessi, il «rester dans son naturel», è anteposto a ogni cosa. La radice di tale coerenza è la «verità», alla quale questi Principes intonano una sorta di inno in prosa, richiamandosi alle parole di Lamennais in apertura al secondo volume sull’Indifference en matière de religion: «Rien ne subsiste que par la vérité, car la vérité est l’être, et hors d’elle il n’y a que le néant [...] De là cette ardente recherche du vrai et cette joie vive et pure que nous éprouvons à sa vue»787. I Principes sono il rifiuto dell’uomo affettato, camuffato, costruito, dei “pulcinella”, degli scimmiottatori che si esibiscono sui diversi palcoscenici del mondo. Esprimono dunque, in primo luogo, il rifiuto di sé per come Renan si era colto nelle Confessions: uno spirito incline alla vanità e alla “mondanità”. La coerenza a se stessi — non la coerenza di pensiero, si badi bene, ma di natura — assurge a principio morale e sola rende possibile una «vie serieuse»788. L’onesta mediocrità che non ambisce a farsi grande, l’onesta freddezza che non vuol sembrare appassionata, secondo il lettore di Pascal, salvano dal ridicolo e non precludono la massima elevatezza morale789. Nell’essenza del singolo è già inscritto il suo naturale percorso di vita, giacché è impossibile che Dio abbia predisposto una natura in modo tale che essa finisca per contraddirsi. Ciò contrastrerebbe, altrimenti, con quelle finalità del

dessein divino — ne abbiamo parlato a proposito delle note a Stewart — alle quali ogni uomo è

disposto. Per l’allievo degli scozzesi, l’uomo è criterium di verità logica e morale: depistarlo sarebbe «contraire à tous les analogies de la création»790. Ogni uomo nasce con certe disposizioni, alcune di esse costituiscono la sua natura generale di uomo, altre quella particolare di individuo. Esse dovettero essere buone in origine ma dato che la sola ragione non è sufficiente a spiegarne l’attuale disarmonia, è soltanto accettando i principi della Rivelazione, lo si è visto, che per Renan è possibile rendere conto del loro stato di corruzione. Il dogma della caduta, tra le altre cose analizzato approfonditamente nella Recherche di Malebranche, spiegava come tali facoltà che un tempo disponevano di forza soltanto verso il bene, nello stato attuale possano indirizzarsi in egual misura verso il male. Esse non hanno perduto la loro intrinseca bontà e, pertanto, l’uomo non deve tentare di annientarle, quanto piuttosto, appoggiando sulla ragione e sulla Rivelazione per mezzo della sua forza di volontà, preservarle nella linea del bene. Il primo passo in questa direzione è, per Renan, la conoscenza di se stessi, dalla quale derivare la propria ligne de conduite. Ora, di quale tipo di conoscenza si tratta? Abbiamo visto come Renan si fosse dedicato, nella parte finale della sua permanenza a Issy, seguendo le orme di Stewart ed esplorando anche in direzioni diverse, a

dissequer — termine che compare oltre che nelle note agli Esquisses anche nei Principes de conduite — l’anima umana, analizzandola, enumerandone e classificandone i principi e le facoltà.

Si era trattato di un percorso faticoso alla portata esclusiva di uno spirito filosofico, un’indagine complessa senz’altro utile alla comprensione della natura umana in generale, così come della propria, ma che nei Principes cede il passo a un altro modo della conoscenza, a una una «connaissance d’instinct»791

. Si tratta di una conoscenza non scientifica che affonda le sue radici nel sentimento e, precisamente, in quel sentimento che in maniera spontanea dice all’uomo: «Voilà ma vraie ligne de conduite! [...] Cela est ou n’est pas dans mon type»792

. Si tratta di un istinto che si rende chiaro nei momenti di solitudine e riflessione interiore, vale a dire, nei momenti nei quali un

786

Lettre à H. Renan, 17 janvier 1843, C.G., t. I, pp. 353-354.

787 F. de Lamennais, Essai sur l’indifférence en matière de religion, t. II, 4e éd., Chez Méquignon fils ainé, éditeur, Paris 1822, p. 1.

Non sappiamo con precisione quale edizione possedette Renan.

788

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1481.

789

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1482.

790 Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1482. 791

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1483.

individuo non si fa dominare dal principe d’affectation e «depose son masque»793. Così stanno le cose: il passo ulteriore nel perfezionamento consiste nel sottrarsi, per quanto possibile, al principe

d’affectation e a quello di imitation (ai quali, lo sappiamo grazie alle note a Stewart, Renan non

ritiene possibile sottrarsi del tutto). È il principio di imitazione che, più di ogni altro, agisce su Renan: «Je suis assez porté naturellement, quand je vois quelque caractère qui me plaît, à en prendre la couleur»794. Come si è visto, tale principio ha risvolti positivi così come negativi. Esso permette, ad esempio, lo sviluppo intellettuale e in generale favorisce la maturazione dell’individuo in funzione dell’adempimento del suo scopo sociale. Accogliere in sé elementi non originari, da questo punto di vista, non per forza è un male. L’istinto deve però essere un correttivo a tale inclinazione, ed aiutare a espungere ogni elemento eterogeneo e falsificante rispetto al carattere naturale. Emerge ancora una volta il rigore morale di Renan:

[...] quand je sentirai ce désir d’imiter un tel ou un tel, ni surtout m’amuser à argumenter avec ce penchant; il faut revenir aux occupations et à la couleur d’idées de mon type, quoique restant sous l’impression du type étranger, et cinq minutes après, je serai rentré dans mon naturel795.

I Principes de conduite, assieme alle note agli Esquisses, rivelano molto sulla personalità di Renan. Questi pensieri testimoniano del suo desiderio estremo di piacere a coloro che lo circondano, piacere che sa di poter suscitare accomodandosi alla loro personalità796, ma costringendosi, in tal modo, ad alterare la propria. Si era spesso ripetuto che ciò non gli avrebbe in fin dei conti procurato alcun male e, per tale ragione, aveva ceduto più volte alla camaleontica tentazione, durante le vacanze, alle riunioni tra i catechisti e in diverse altre circostanze. A fronte di questa penosa ammissione a se stesso, il seminarista constata anche l’impossibilità di ritornare alla coerenza senza, per forza di cose, piacere ad alcuni e dispiacere ad altri: «Il faut donc s’y résigner et ne pas altérer son unité, pour plaire à un tel ou un tel»797. D’altro canto una maggiore coerenza, se può metterlo in contrasto con certe persone, può altresì convincerle della sua veracità, può preservarlo da ruoli poco consoni alla sua natura, e dal mediocre successo nell’assumerli, atteggiamento «indigne d’un homme qui prend les choses sérieusement»798. Ma qual è il modello che Renan ha in mente ? Lo scopriamo nella sua dichiarazione di intenti: «Je devrais donc garder en tout un type invariable, quelque chose d’un peu haut, peu flexible, sans roideur, faisant entendre que c’est là un gendre arrêté, que rien ne me le ferai changer, parce que je le suis par conscience»799. Ovviamente, a lungo andare, Renan fallirà su tutta la linea, mantenendo inalterato soltanto il suo carattere aristocratico, questo sì, elemento davvero costitutivo della sua natura intellettuale. Si tratta dunque di porre molta attenzione alla corrispondenza tra il proprio carattere interiore e la sua manifestazione esteriore, giacché «nous sommes invinciblement portés à conformer le type intérieur à celui que nous croyons que les autres se forment de nous»800, giudizio nel quale ritroviamo, al solito, la saggezza di Pascal che aveva scritto: «[...] nous voulons vivre dans l’idée des autres d’une vie imaginaire, et nous nous efforçons pour cela de paraître»801. Ora, ancora nel 1846, in una nota del quaderno ילתפנ, troveremo formulata quasi come una legge la massima pascaliana e, al suo seguito, il ricordo della sofferta disciplina al controdiscorso su di sé:

L’homme veut à toute force être ce que l’on croit qu’il est. Que de fois j’ai éprouvé cela! Telle opinion que je savais que tel autre avait de moi, était un feu qui me brûlait pour être ce qu’il pensait. Et aussi combien de fois ai-je combattu contre la pensée de telle fausse

793

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, pp. 1483-1484.

794

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1484.

795 Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1484. 796

«[...] vu que les hommes ne peuvent apprécier que ce qui est dans leur type». Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1484.

797

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1484.

798

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, pp. 1484-1845.

799 Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1485. 800

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1485.

appréciation qu’on faisait de moi. Un poids terrible me portait à être ce que je croyais que l’on pensait de moi, quand même je croyais que ce n’était pas moi (ילתפנ [44]).

La ricerca e il perseguimento del vero sul piano pratico e su quello intellettuale assurge a idea dominante del modello renaniano, quello sacerdotale: «J’envisagerai le sacerdoce comme le dévouement, la consécration à la vérité, la tonsure que je vais recevoir comme le dépouillement de tout superflu pour m’attacher à la seule vérité»802

. Ma che tipo di sacerdote vorrebbe essere Renan? Non certo un pescatore o un pastore d’anime, giacché non ha la benché minima vocazione al proselitismo e ritiene che alla pietà si sia inclinati esclusivamente dalla grazia803. Egli non lo è; non riesce ad amare Dio profondamente («Je ne me tordrai pas la tête à faire par raison certains actes de piété, qui ne peuvent venir que de la grâce [...] l’amour de Dieu»804

). È questa una percezione chiara che emerge con mestizia dalla sua corrispondenza (nel confronto con Liart), così come da certe note di lettura; di tale percezione riparleremo anche a proposito della nota 51 di טקל. Renan ha una vocazione da studioso: «je me contenterai du rôle modeste de chercheur, trop heureux de trouver pour lui et les autres une parcelle de vérité»805 — ora, pur potendo citare illustri precedenti806, non è chieder poco chiedere di essere dispensati d’ogni onere ecclesiastico per potersi dedicare in santa pace alla propria ricerca! Ammesso il proprio egoismo filosofico, ma disposto a correggersi conciliando alla ricerca la disponibilità nei confronti dei condiscepoli, ammesso inoltre un istinto di carità soltanto nei confronti degli spiriti avidi di verità e «flétris par le scepticisme», Renan finalmente invoca il suo Dio: «Vérité, vérité, n’es-tu pas le Dieu que je cherche?» 807

.Nel pathos di queste righe giovanili, Dio arretra dai canoni del cattolicesimo e assume connotati sempre più astratti; esso non suscita l’amore del cristiano808, ma del filosofo. Non mi pare sia mai stato messo in evidenza come l’istanza di Renan ricalchi un’espressione analoga di Fénelon privata, però, di ogni residuo antropomorfo: «Où est-elle cette raison suprême ? N’est-elle pas le Dieu que je cherche?»809. Renan compie, lo vediamo, un rovesciamento dell’ego sum veritas giovanniano: non è il Cristo-Dio la verità, bensì è la Verità a esser Dio. Abbiamo già detto, nel paragrafo dedicato alla lettura degli Esquisses di Stewart, come tale rovesciamento comporti una cesura rispetto al Dio d’amore e provvidenza che per il cattolico è anche verità. Se Dio coincide con la verità, la mente divina è massimamente indeterminata e capace di accogliere ogni forma possibile. Viceversa, la mente umana, determinatissima e in grado soltanto di cogliere un vero parziale e relativo, viene separata radicalmente dal divino, per la sproporzione incolmabile tra un Dio totalmente disantropomorfizzato e un uomo che la Genesi vuol fatto a sua immagine e somiglianza. Non arretra al contrario il Cristo — seppur ridotto quasi a una forma autonoma del divino — baluardo della fede del seminarista e tramite nel dialogo impossibile tra l’uomo e Dio: «Je me tiendrai invinciblement collé à Jésus-Christ, la vraie vérité des hommes»810. Nel processo di riduzione di Dio al Vero, la religione assume una funzione meramente strumentale di intermediazione tra il piano umano e quello divino. Essa diviene l’unico modo per comunicare con un Dio altrimenti

802

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1485.

803 Cfr. Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1489. 804

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1489.

805

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1485.

806

Renan era in compagnia di almeno un papa: «[...] Dovendo attendere alla cura pastorale, il mio animo è infastidito dagli affari degli uomini, e dopo la visione di una così amena tranquillità è insozzato dalla polvere dell’attività di quaggiù [...]». Gregorio Magno, Dialoghi, t. I, cit., p. 9.

807

Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1485.

808

«Je ne me tordrai pas la tête à faire par raison certains actes de piété, qui ne peuvent venir que de la grâce, par exemple, la contrition, l’amour de Dieu. C’est comme si on voulait prouver la géométrie par sentiment». Principes de conduite, F.I.R., O.C. IX, p. 1489.

809

Fénelon, Démonstration de l’existence de Dieu, in Œuvres, t. II, édition présentée, établie et annotée par J. Le Brun, Gallimard, Paris 1997, p. 565. La Verità-Dio, in Renan, sostituisce infatti quella Ragione suprema-Dio, «si près de moi, et si différente de moi», che Fénelon aveva messo in corrispondenza con la fallace ragione umana. La possibilità di venire illuminati da questa ragione superiore è per lui una traccia della divinità nell’uomo: «Voilà donc deux raisons que je trouve en moi. L’une est moi-même, l’autre est au-dessus de moi». Ivi, p. 564.

incapace di intendere la lingua degli uomini811. Questo Dio, Renan ne è certo, lo ha taillé per una vita di studi, nella quale si propone di riversare ogni devozione: la scienza si fa religione. L’«inquisition du vrai» assurge a fine totalizzante del seminarista ed è nel sacrificio assoluto a questo ideale che Renan pretende di trovare il percorso naturale del proprio spirito. Ma consacrasi alla verità significa al contempo proclamarsi spirito massimamente libero, in primo luogo da qualsiasi autorità terrena nel momento in cui essa appare in contrasto col vero. Significa inoltre esporsi con sobrietà nell’affermare, per evitare il rischio di sbagliare e trascinare altre menti nel proprio errore: «Je ne jetterai pas mes idées à tout venant [...] quand je verrai que je ne pourrai me faire entendre, je me tairai très soigneusement»812. Il silenzio diviene una morale par provision in grado di evitare disaccordo, scandalo, malinteso, polemica, menzogna, ecc. Questa pratica preserva dalla falsificazione di sé, dal rischio dell’errore, dall’inclinazione mimetica e dal moto d’orgoglio. Lo vediamo, se da un lato Renan richiama rigidamente se stesso al principio di verità, egli non crede fino in fondo nella possibilità di affermare una verità assoluta. Pretende che il suo linguaggio diventi scientifico ma non secco, non tranchant. Qui risiede la radice del prospettivismo renaniano che di anno in anno andrà schiudendosi sino alla concezione di una verità attingibile solo sottoforma del molteplice.

Accanto a questa impostazione scientifica, restano da una parte gli affetti («Sine amico non

potes bene vivere»813) dall’altra la pratica cristiana. Renan cerca di richiamare se stesso alla pietà, sempre nella consonanza col vero, con la morale e con le forme della scienza («Je n’aime pas ceux