CAPITOLO 1 EUGÈNE IONESCO: LE PREMESSE
1.4 La Grande Romania: il contesto storico
La Grande Romania del 1920 è appena uscita vittoriosa dalla pace di Versailles, e inizia ad intravedere davanti a sé un fiorente futuro, dopo aver assistito, in pochi anni, al raddoppiamento del proprio territorio, ed essere stata finalmente riconosciuta dalle grandi potenze europee. Assieme al territorio, in breve tempo, duplica anche la popolazione, ereditando così una nutrita serie di minoranze non romene, in maggioranza ebraiche, tedesche e ungheresi74.
È chiaro che in un paese che possiamo definire quasi come “appena nato”, l'introduzione di minoranze etniche con differenti lingue, fedi e culture, mise in crisi quella nascente identità basata su un recente, e per questo ancora più genuinamente energico, sentimento nazionalista. A livello sociale la Grande Romania degli anni Venti è scissa fra una piccola élite francofona, che segue le impronte della cultura occidentale e vorrebbe entrare a farne parte, e una maggioranza contadina (più o meno l'80% della popolazione). Le enormi disparità sociali si aggiungono a un sistema burocratico fragile, sovrastato da una classe politica corrotta e un clero onnipotente.
Eppure la crescita è evidente a tutti, e Bucarest diventa, nel corso degli anni Venti, “la più brillante, la più vivace, la più elegante, anche la più occidentale, nonostante sia quella
73 Sul tema vedi anche gli studi di Marta Petreu.
più a est, delle capitali dei Balcani”75. Bucarest si trasforma infatti in una metropoli cosmopolita che aspira a un posto a fianco alle grandi città di cultura europee, come Londra, Parigi o Vienna. Eppure l'estrema povertà della massa popolare, il disagio portato da un cambiamento così improvviso in un popolo e una nazione impreparati, accanto al forte e prepotente desiderio di modernità di una piccola cerchia di europeisti, non poté non sfociare in una condizione di criticità. La situazione divenne infatti esplosiva con la crisi economica del 1929, accompagnata dal parziale fallimento di una riforma agraria, coincidente con la morte improvvisa del re Ferdinando I, e dalle sconvolgenti trasformazioni che gli ultimi anni stavano portando con sé (forti flussi migratori verso la città, l'emergere di un'economia industriale governata da forze straniere). Il malcontento cresceva e, come spesso accade, necessitava di una valvola di sfogo. Non è un caso quindi che, seguendo l'ondata europea di nazionalismo, anche la Romania soccomba a questa seducente allucinazione.
Il sentimento di chiusura ‘patriottico’ si accompagna da subito anche ad un violento antisemitismo, soprattutto negli ambienti universitari della capitale. È cosi che la questione ebraica inizia, appunto sulla scia dei grandi paesi europei, a confondersi con la questione sociale e nazionale. È qui che entra in scena il movimento più forte e enigmatico di quegli anni in Romania: il Movimento Legionario. Nato dalla precedente Fratellanza della Croce, in ambito universitario, il movimento di estrema destra e di spiccata ispirazione fascista, venne fondato da Corneliu Zelea Codreanu, nel 1927.
Come nel resto d'Europa, gli ideali di stampo nazifascista prendono sempre più piede, violentemente e pericolosamente fra gli intellettuali della giovane generazione romena – di cui Ionesco e amici fanno parte – ispirati e guidati dal famoso filosofo antisemita, di estrema destra Nae Ionesco, che Mircea Eliade, ad esempio, considerava espressamente uno di suoi principali maestri. Mescolando sentimenti politici di forte patriottismo a un forte misticismo di stampo religioso, il Movimento ultranazionalista e antiborghese diventa perciò, al tempo stesso, cristiano-integralista e antisemita. Come i vicini movimenti di estrema destra occidentali, i Legionari cercavano di contrastare soprattutto – anche con l'uso della violenza armata – il bolscevismo e il capitalismo (con ‘capitalismo’ ci si riferiva in particolare al sistema economico amministrato dai “nuovi ebrei” borghesi), visti come due facce della stessa medaglia.
Il ramo più violento e armato del movimento, denominato dal suo fondatore Guardia di
Ferro, reputava apertamente responsabile di entrambi i sistemi la presenza di minoranze
ebraiche (riversatesi in massa nel paese dopo la fuga dalle persecuzioni nei paesi vicini), considerate appunto come le principali beneficiarie del nuovo sistema capitalistico. Come nel resto d'Europa, la questione degli ebrei e della purezza della razza diventa velocemente centrale anche all'infuori del movimento tanto che:
I legionari erano riusciti a convincersi e a convincere che il problema nazionale era un problema ebraico. In breve, che non si trattava che di questo. E infine che se mai scomparissero, il capitalismo, la povertà, il bolscevismo, il declino nazionale troverebbero il loro rimedio e il loro antidoto76.
In breve tempo gli studenti ebrei cominciano ad essere perseguitati, vessati ed esclusi dai corsi universitari. La stessa sorte tocca ai professori di origine ebraica; dilaga ormai quel terrore impotente che abbiamo sentito nelle parole rivolte da Ionesco all'amico Sebastian. Nonostante nel 1923 la Grande Romania si fosse dotata di una costituzione democratica che prevedeva il suffragio universale, risultò subito evidente a tutti come questa apparente svolta non fosse altro che una semplice disposizione di facciata per un paese, invece, sempre più chiuso in un aggressivo e vanaglorioso nazionalismo.
Eppure questo atteggiamento discriminatorio risale addirittura al secolo precedente. La Romania aveva infatti già ricevuto la prima esplicita manifestazione di biasimo internazionale, quando le grandi potenze, sulla scia del Congresso di Berlino del 1878, avevano dichiarato che “la piena indipendenza del Regno [sarebbe stata] subordinata al cambiamento del trattamento riservato alla popolazione ebrea (all'epoca priva di diritti civili e politici) che non rispetta i criteri degli stati civili”77.
Ma nonostante l'apparente vittoria dell'iniziativa di Bismarck, che sembrò occuparsi personalmente della situazione, il provvedimento ebbe come risultato una risposta difensiva ancora più violenta e nazionalista da parte delle élite romene che, sentendosi minacciate, cercarono di rafforzare la propria identità andandosi a rifugiare in meravigliosi e antichi miti di purezza originaria. Scrive Ionesco negli anni Trenta:
I professori, gli studenti, gli intellettuali diventavano nazisti, Guardie di ferro, gli uni dopo gli altri. In principio, certo, non erano nazisti, noi eravamo una quindicina, ci riunivamo, 76 Serge Moscovici, Chroniques des années égarées, Stock, Parigi 1997, pp. 131-132.
77 Alexandra Laignel - Lavastine, Il fascismo rimosso: Cioran, Eliade, Ionesco. Tre intellettuali rumeni
discutevamo, trovavamo argomenti da contrapporre ai loro. Non era facile: c'erano una dottrina nazista, una biologia nazista, una sociologia nazista. E poi valanghe di discorsi, di conferenze, di saggi, di articoli di giornale ecc...78.
Obiettivo principale del Movimento era infatti non solo una riforma sociale, ma prima ancora una rivoluzione ‘spirituale’, in grado di creare, tramite un più forte radicamento nella religione cristiana, quell'’uomo nuovo’ che avrebbe saputo guidare il nascente paese: la Grande Romania. “Mi ero fatto un certo numero di amici […] ora molti di loro - si era nel 1932, 1933, 1934, 1935 - passavano al fascismo [...] A Bucarest c'era una vera e propria lacerazione. Mi sentivo sempre più solo”79. Preoccupate infatti per la potenziale scomparsa della propria piccola neo-nata nazione, quella parte delle élites romene mescolano il dramma identitario con altri antichi sentimenti di rivalsa dovuti alla storica subordinazione del paese nel panorama internazionale. Da qui l'ambivalente venerazione mista a latente frustrazione nei confronti dell'Europa occidentale, con la sua grandezza, le sue vittorie e le sue nobili origini. Ionesco non riesce invece ad accettare come un paese che aveva fatto, in pochissimi anni, tanti passi avanti verso il mondo occidentale e la sua cultura, potesse lasciarsi ingannare da un tale delirio collettivo:
Quella che [Ionesco] rifiutava con l'ultima energia era proprio quell'auto-emarginazione – per nulla volontaria, del tutto inconscia – di un'intera generazione, gremita di menti illustri e per nulla prive di carattere nell'identità opprimente di una comunità etnico-religiosa artificiale, ridotta in fondo, in modo totalmente arbitrario, a dei tratti minimali80.
Cioran e Eliade, grandi amici di Eugène, per primi cadono sotto la “rinocerontizzazione” dilagante.
Ionesco esprimerà così la propria incredulità su questo aspetto:
È quasi una colpa non essere rinoceronti. Ecco uno slogan rinocerontesco, uno slogan da «uomo nuovo» che un uomo non può capire: tutto per lo Stato, tutto per la nazione, tutto per la razza. Ciò, evidentemente, mi sembra mostruoso […] Com'è possibile essere per lo Stato che è soltanto una macchina amministrativa? […] È un'astrazione, o meglio una macchina giuridica, ma, per i rinoceronti, lo Stato è diventato un Dio. Come la cosa ha potuto accadere? Che cosa hanno potuto versare in questo vuoto, con cosa hanno potuto riempirlo, che cosa hanno potuto proiettarvi dentro?81.
78 Eugène Ionesco, Antidoti, Spirali, Milano 1988, p. 81 [ed. orig. Antidotes, Gallimard, Parigi 1977]. 79 Eugène Ionesco, Entre la vie et le rêve, Gallimard, Parigi 1996, pp. 24-25.
80 Mihai Șora, L'incomparabile Ionesco, cit.
Sono dunque forti in Ionesco anche tutte queste motivazioni di stampo politico-sociale nel giustificare una tale conflittualità con il proprio passato, legato ad un paese così pieno di ambiguità complesse, quale la Romania appena descritta. Tali elementi saranno evidentemente complici di quella profonda e radicata crisi esistenziale che non abbandonerà mai Ionesco, lasciandolo sempre alla continua ricerca di un'identità perduta.
Eppure Eugène Ionesco non cederà mai alle semplificazioni di un'ideologia di massa, solo per potersi finalmente sentire parte di una comunità, distinguendosi da altri intellettuali romeni della sua generazione, che spesso hanno invece celato, o addirittura rimosso a livello più profondo, le loro origini, e soprattutto la loro appartenenza a movimenti estremi come i Legionari.
I primi e principali autori di questa profonda rimozione sono sicuramente due grandi amici di Ionesco, ma considerati da lui più colpevoli per la loro precoce e prolungata rinocerontizzazione: Mircea Eliade e Emil Cioran. È con questa feroce lettera che Ionesco rompe ogni tacito patto di silenzio, accusando gli amici per questa colpa imperdonabile e distaccandosene definitivamente con queste crude parole prive di possibilità di appello:
“Nel giorno del giudizio io sarò o alla sinistra o alla destra del padre – e loro dalla parte opposta, se andrò all’inferno, loro andranno in paradiso; se andrò in paradiso, loro saranno all’inferno […]. Mai e poi mai ci daremo la mano: Dio, Lui stesso ci ha separati per sempre gli uni dagli altri, Lui ci ha scelto, gli uni da una parte, gli altri dall’altra”. La lettera continua così: “Eliade e Cioran non li posso proprio vedere. Sebbene «non siano più legionari» (almeno così dicono) – non possono più rompere l’impegno che hanno preso, una volta per sempre, per l’eternità, rimangono legionari […]”82.
Ma nonostante l'apparente durezza di queste parole, per l'amico Mihai Şora è evidente che per il fragile Ionesco “nessuna perdita era stata per lui più grave di quella degli amici di giovinezza, abbattuti uno dopo l'altro dal morbo orrendo della «rinocerontizzazione»”83.