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CAPITOLO 3 IONESCO E MOLIÈRE: DUE IMPROMPTUS A

3.2 L'impromptu de l'Alma: il contesto e la critica

3.2.3 Uno schema in otto fasi

Costruita su due livelli, L'impromptu de l'Alma è quindi un'opera che gioca con se stessa, e si autorappresenta sulla scena, come attraverso quello specchio che rifletteva i reali di Spagna nel famoso dipinto di Diego Velàzquez: Las Meninas.

Come il pittore spagnolo, Ionesco vuole, dunque, mostrarci quello che normalmente non si vede. In un continuo gioco di specchi, egli rende, cioè, protagonisti del palcoscenico tutti quei personaggi presenti realmente mentre la commedia di Ionesco viene scritta, incluso l’artista stesso, e non il soggetto vero e proprio – se così si può dire – dell'opera, cioè la commedia stessa nel suo insieme, allo stesso modo in cui Velàzquez non rappresenta i reali di Spagna, i due legittimi soggetti del quadro, al centro della scena de Las Meninas, ma solo attraverso il riflesso della coppia nello specchio posto alle sue spalle.

Attraverso lo sviluppo della commedia, dunque, vediamo inserirsi nella trama principale, o storia “esterna”, un'altra storia “interna”, composta, cioè, dalla trama della commedia che l'attore Ionesco sta scrivendo sulla scena: Il camaleonte del pastore.

Cécile Vilvandre, nella sua analisi di questo atto unico, senza scene numerate, ne ha proposto una divisione in sette fasi, seguite da una conclusione. Osserviamo, per cogliere l’ampiezza e l’articolazione dell’opera, lo schema che sorregge L'impromptu dell'Alma attraverso l'analisi della critica.

La prima fase, la parte iniziale dell'opera, vede intenti i tre Bartholomeus nella rieducazione di Ionesco, del quale non condividono le convinzioni teatrali, e contro il quale si scagliano, affinché l'autore cambi idea sulla propria visione dell'opera teatrale, basata sull'eterna e insolvibile dinamica del circolo vizioso.

Successivamente, nella seconda fase, i critici iniziano a sottoporre l'autore ad un serrato interrogatorio, partendo dall'indagare sui suoi modelli letterari di riferimento, chiedendo a Ionesco informazioni sulle sue preferenze letterarie. Dopo una veloce rassegna dei grandi drammaturghi classici, Ionesco nomina tra gli autori anche Shakespeare e Molière.

E qui la disputa inizia a diventare violentemente più amara. I critici si indispettiscono di fronte alla scelta di queste letture “borghesi” e dopo una disamina severa, e paradossale, con spiegazioni totalmente erronee e senza senso sul motivo dell’inadeguatezza di questi autori, i tre dotti iniziano a sentire ancora più forte il bisogno di correggere, di “raddrizzare” l'autore – non importa in quale direzione – e, subito, essenziale diventa la

necessità di emendare e di insegnare qualcosa, contrastando per principio, a prescindere, la visione dell'autore.

Ancora una volta è chiara la parodica allusione all'inutile e severa aggressività di alcune correnti di pensiero della critica, le quali contestano per principio i drammaturghi, gli artisti, come fosse una missione, un compito sacro, come già sosteneva precisamente Bartholomeus II: “il critico deve rimproverare tutto: è la sua missione”.

Successivamente, in una terza fase, a Ionesco viene posta la domanda capitale: che cosa è il teatro? Questa trovata permetterà così, chiaramente, di dare libero spazio all'autore per esprimere la propria concezione artistica di teatro.

Attraverso l'assurda ridicolizzazione delle teorie dei tre Bartholomeus, dunque, Ionesco annuncia violentemente ciò che per lui non è l'arte teatrale. I tre critici, infatti, espongono un'idea del teatro totalmente assurda, totalmente opposta alla propria e, dunque, parodizzata da Ionesco.

Bartholomeus I e II si battono, infatti, per un “teatro istruttivo”, in cui lo spettatore non si deve affatto divertire, non deve ridere, bensì dovrebbe imparare, essere educato, addirittura studiare, come se si trattasse di un corso, una “scuola serale”, per la precisione. La parodia raggiunge eccessi parossistici nei discorsi fra i tre Bartholomeus, quando questi arriveranno a dettare delle vere e proprie leggi, delle istruzioni per il loro teatro “scientifico”250:

Bartholomeus I: Il teatro, signore, è una lezione sopra un avvenimento istruttivo, un avvenimento pieno di insegnamenti... bisogna elevare il livello del pubblico...[...] Bartholomeus II: Si deve andare a teatro per imparare!

Bartholomeus I: Non per ridere! Bartholomeus III: Né per piangere! […]

Bartholomeus III: Un autore deve essere un istitutore...

Bartholomeus II: E siamo noi, critici e dottori, che formiamo gli istitutori251.

Successivamente interviene Bartholomeus III a dare il proprio parere, ma, nell'esprimere la propria opinione riguardo all'essenza del teatro, fa uso di una dialettica talmente paradossale e ossimorica, da finire per creare solo ulteriore confusione, senza riuscire ad esprimere alcun concetto sensato e comprensibile.

Nella quarta fase, questo stesso procedimento, questo tipo di linguaggio paradossale cioè, composto di ossimori e contraddizioni, viene fatto proprio e utilizzato dallo stesso

250 Ivi, p. 437; p. 407. 251 Ivi, p. 405.

Ionesco come astuto espediente per difendersi dall'aggressività dei critici e per giustificarsi della furtiva fuga verso la porta, che aveva tentato per sfuggire alla loro irruenza.

Bartholomeus II: Dov'è il nemico? (scorgendo Ionesco che sta presso la porta) Tradimento! […]

Bartholomeus I: Lei voleva sfuggire, se ne andava?

Bartholomeus III (a Bartholomeus I e a Bartholomeus II): Che vergogna! Merita la forca! [...]

Ionesco (balbettando): Me ne stavo andando solo per meglio restare; me la battevo,

precisamente, cioè confusamente, me la battevo per non andarmene... (con più sicurezza) Sì, me ne andavo per restare...

Bartholomeus II (a Bartholomeus I e a Bartholomeus III): Quello che dice mi pare sensato: infatti, più si resta, più si va via...252.

Nella quinta fase, invece, Ionesco lascia la sua posizione centrale sulla scena, ponendosi, anche fisicamente, lateralmente, in disparte. Da questo momento in poi, infatti, l'opera diventa praticamente tutta una lezione teorica dei tre dottori a Ionesco, il quale, ormai sopraffatto, dopo essere stato scoperto nel suo tentativo di fuga, si è arreso ai tre critici, e si è posto docilmente ad ascoltare in silenzio, arreso.

La quinta fase è l'unica in cui si presenta un evento dall'esterno, l’ingresso sulla scena di Marie, la vicina di casa di Ionesco che, sentendo le urla dei tre dottori da fuori, e preoccupata per il signor Ionesco, chiede a gran voce che le si apra la porta. I tre professori esitano, Ionesco invece è sempre più smanioso di andare ad aprire, anche per la crescente ansia e pressione di Marie, che intanto continua a battere alla porta, minacciando anche di aprirla con la forza.

In questo momento inizia una nuova fase, la sesta, che apre la strada al ribaltamento parodico della teoria brechtiana più esplicito dell'opera. L'arrivo di Marie, infatti, dà inizio all'assurda e frettolosa preparazione, da parte dei dottori, del cosiddetto “dispositivo scenico”253, il quale deve essere necessariamente preparato prima di poter aprire la porta ad un'esterna, che, in questo momento, per i professori, si trasforma subito in esempio accidentale ma concreto di un pubblico esterno.

I Bartholomeus iniziano così a “derealizzare il reale” dello studio dell'autore, apponendo cartelli ovunque, sui mobili, e in ogni luogo della scena, addirittura su Ionesco stesso.

252 Ivi, pp. 413-414. 253 Ivi, p. 419.

Il tentativo dei critici è infatti ora quello di lavorare sul suo “gestus sociale” (cioè, secondo la terminologia di Brecht, quell'insieme di gesti, comportamenti, linguaggi che di un individuo fanno trasparire la condizione sociale, e il contesto nel quale questo è inserito) e andare a modificare anche, dunque, l'aspetto esteriore di Ionesco, che non si presenta come dovrebbe un autore, in quanto “il vestito è un'investitura [e] il suo costume è molto malato”254, spiegano i Bartholomeus all'autore.

Dopo aver applicato dei cartelli sul corpo di se stesso, autore in scena, con scritto “poeta” e poi “sapiente”, il nostro Ionesco si diverte ad estremizzare, come suo solito, la situazione, che inizia a degenerare sempre più, fino a sfuggire totalmente di mano ai tre dottori, i quali la spingono verso dei risvolti assurdi. Sulla testa del personaggio, vengono, infatti, infine, applicate delle orecchie d'asino, poi accompagnate, addirittura, dal rumore di ragli e di strida, non solo dell'autore, ma, alla fine, anche dei tre critici stessi:

Bartholomeus I (a Ionesco): E ora...balli... Bartholomeus II: ...canti....parli...

Ionesco (sgambetta e raglia): Hi....haa...hi...haa...hi...haa... Bartholomeus II: scriva! […]. E sapientemente!

Ionesco (modulando i ragli): Hi... haa... hi... haa...

Bartholomeus I, II, III, e Ionesco (insieme): Hi! Haa! Hi! Haa! Hi! Haa!255

Qui emerge prepotentemente il tema fondamentale nella poetica ioneschiana – reiterato spesso nelle pièce di Ionesco – della regressione dell'essere umano ad animale, a bestia; un essere umano vinto dalla propria parte istintuale, mostra, così, limpidamente, uno dei segni della vittoria delle forze antispirituali su quelle spirituali, per citare le parole di Vilvandre256.

Nel medesimo modo, il linguaggio stesso dei critici, regressivo, degradato e abbrutito, è segno di questa vittoria; un linguaggio che è più che altro un insieme di suoni, sempre più simili a rumori, capaci solo di esprimere i più bassi istinti e le emozioni primarie degli uomini, come la paura o l'aggressività.

A questo punto, la situazione sul palcoscenico sembrerebbe pronta ad accogliere l'intrusa, ma il drammaturgo Ionesco vuole divertirsi ancora un po', e inserisce un ultimo paradosso. Nel momento in cui l'autore, così mascherato, tenta di andare finalmente ad aprire la porta all'implorante Marie, viene di nuovo bloccato dai tre dottori.

254 Ivi, pp. 424-425. 255 Ivi, p. 429.

Ancora una volta, qui, Ionesco inserisce una parodia del teatro brechtiano giocando con l'effetto del distanziamento, quando, in questa scena già paradossale, i dottori ordineranno a Ionesco di allontanarsi dalla porta, proprio per andare ad aprirla, così da attenersi al meglio al principio brechtiano del distanziamento poco sopra descritto, spingendolo a fare un passo avanti e due indietro, in questo modo:

Bartholomeus I (a Ionesco): Ma faccia attenzione: andando ad aprire, dovrà recitare questa scena secondo i principi del distanziamento.

[…]

Bartholomeus I (a Ionesco): Avanzi di un passo... Bartholomeus II: Ma tornando indietro di due!... […]

Bartholomeus II: Così va bene... si è distanziato! Si è distanziato!

Ionesco deve arrivare fino al fondo, nella direzione opposta alla porta257.

Finalmente soddisfatti, solo in quel momento i professori sono finalmente pronti ad aprire la porta e a mostrare la scena “derealizzata” al “pubblico”, impersonato da Marie, la quale, però, logicamente, una volta messa a parte dalla nuova condizione della camera, il nuovo aspetto dello studio del signor Ionesco che si trova di fronte, rimarrà totalmente sbigottita e contrariata.

Nella settima e ultima fase, dunque, Vilvandre inserisce la scena in cui Marie, ormai allarmata da quell'insolita e agitata riunione, entra precipitosamente, dopo che a Ionesco è stato concesso di aprirle la porta. La donna, sconvolta, inizia subito a spogliare Ionesco dei suoi cartelli, e scaccia via i dottori dalla stanza, con convincenti e logiche argomentazioni, mentre questi, invece, continuano ad insultarsi e contraddirsi a vicenda. L'azione di Marie palesa, in questo modo, la differenza fra i due metaforici schieramenti in scena: quello dei critici insensati e confusi, contro quello del pubblico, da lei impersonato, sano, concreto e diretto nei giudizi.

Nell'epilogo, però, Ionesco attore si riprende e torna ad esporre le proprie teorie in un lungo monologo. Con questo, l'effetto di distanziamento raggiunge gli apici estremi della parodia quando l'autore, sorprendendoci, si rivolge direttamente al suo pubblico annunciandogli che l'opera è terminata, come scrive in didascalia: “(Poi, al pubblico della

sala) Signore e i signori... il testo che avete sentito (cava di tasca alcuni appunti, si mette gli occhiali)”258.

257 Eugène Ionesco, L'improvviso dell'Alma, cit., pp. 418-429. 258 Ivi, p. 435.

Il discorso di Ionesco però, iniziato come una perorazione della propria causa, si trasforma poco a poco da una saccente ramanzina, di cui si è detto, a una vera e propria lezione accademia di poetica teatrale, simile alla lezione imposta dai tre dottori, arrivando così a ridicolizzare anche se stesso.

L'intento, sintetizza perfettamente Vilvandre, sembra essere proprio quello di porsi contro ogni forma di linguaggio critico, ogni forma di morale pedagogica, a favore del silenzio puro e semplice, senza spiegazioni259. L'obiettivo parodico e dissacratorio dell'uso di questo tipo di linguaggio pedagogico è sottolineato dal contributo di Marie, che, mentre ascolta il signor Ionesco, gli si avvicina per mettergli bruscamente il “robone” – la toga dei critici – sulle spalle, così da rendere ancora più evidente il paragone fra i due medesimi saccenti modi di parlare, volti entrambi ad insegnare e a imporre la propria teoria, l'unica considerata corretta.

La continua satira, dunque, ora addirittura riorientata verso se stesso, fa sì che l'opera, fondata solo sul dialogo, si presenti, in definitiva, come una vera e propria riflessione teorica pura, senza che sia necessaria la presenza di alcuna azione.