• Non ci sono risultati.

Omnia vincit amor: la relazione schiavo-padrone

CAPITOLO 2 DA MACBETH A MACBETT: LO SHAKESPEARE

2.6 La libido dominandi da Shakespeare a Ionesco: un tormento

2.8.1 Omnia vincit amor: la relazione schiavo-padrone

Come nota Miskei190, le relazioni fra i personaggi del Macbett sono tutte relazioni di potere, giochi di forza fra un leader e un suo sottoposto, e questo stesso meccanismo è attuato anche nella relazione amorosa. Non è un caso infatti che il linguaggio usato fra Macbett e la sua singolare Lady Macbett sia un linguaggio mutuato dall'ambito della relazione schiavo-padrone. Il concetto stesso d'amore sembra essere messo in ridicolo da Ionesco, se analizziamo questi discorsi fra i due amanti Macbett e Lady Duncan:

MACBETT: Vorrei essere vostro schiavo.

LADY DUNCAN (a Macbett, porgendogli il pugnale) Sta a te che sia, io, la tua schiava. Lo vuoi? Ecco lo strumento della tua ambizione e della nostra ascesa. (Con voce da sirena) Prendilo, se lo vuoi, se mi vuoi. Ma agisci con decisione. Aiutati, che l’inferno ti aiuterà. Guarda in te stesso, guarda come cresce il desiderio, come l’ambizione segreta si manifesta e ti infiamma. È questo il pugnale con cui ucciderai Duncan. Prenderai il suo posto accanto a me. Sarò la tua amante. Sarai il mio re. Un’indelebile macchia di sangue si stamperà su questa lama affinché tu possa ricordare il tuo successo ed essere incoraggiato a compiere altre imprese più grandi ancora, imprese che affronteremo, uniti in un’unica apoteosi di gloria.

L'amore qui offerto dall'“amante” è chiaramente abbassato solamente al livello della concreta soddisfazione immediata del desiderio sessuale fra i due. Ionesco sembra dire che l'Amore, così esaltato nel teatro di Shakespeare, è morto, sparito come lo sono gli esseri umani, trasformandosi in un semplice gioco sopravvalutato e fondamentalmente irrilevante, come tutte le altri ambizioni e desideri umani.

A sottolineare la parodia è l'aulica sentenza finale in latino della strega: “omnia vincit

amor”, proprio prima della consumazione dell'atto sessuale fra i due amanti. La relazione

amorosa, quindi, è completamente ridicolizzata e abbassata a uno sciocco divertimento fra una coppia di adolescenti, che si lasciano irretire e giocano ad usare il linguaggio stereotipato dell'amor cortese, che vede l'amante prostrarsi davanti all'amata, vista come una specie di divinità ai suoi occhi. Più che una divinità, Lady Duncan è però una “Signora… Maestà… o meglio mia sirena”191, agli occhi imbambolati di Macbett.

Un amore, dunque, che ha perso qualsiasi valore e che cerca di nascondere dietro al velo di pompose parole elevatrici l'evidente e primario istinto sessuale che governa di fatto le azioni dei personaggi.

Riporto la scena finale che precede l'amplesso tra i due, in cui si nota chiaramente l'ironico tentativo di Ionesco di innalzare l'atto sessuale ad un livello superiore, quasi ad un evento mistico, nascosto da un alone di culto religioso, grazie anche ai giochi di luce e all'uso della formula in latino: “L’oscurità invaderà progressivamente il palcoscenico. […] Macbett si abbatte ai piedi di Lady Duncan. Si vedrà unicamente la splendente nudità di Lady Duncan. La voce della dama di compagnia dice: DAMA DI COMPAGNIA: Omnia

vincit amor. Buio totale”192.

Questo delineare nella scena un alone di sacro viene riconosciuto anche da Kalyanee Rajan che, nella sua analisi sugli adattamenti moderni del teatro di Shakespeare, addirittura scrive: “it is intersting to note how Ionesco seems to justify the act of reigicide as Lady Duncan, Macbett and Banquo become the unholy trinity affecting the crime with willing complicity”193.

Edmund Chambers, studioso di Shakespeare, parlava invece di Macbeth come un uomo profondamente superstizioso, un uomo tormentato, ma che soffre di pura paura, non di rimorso né di senso di colpa. Al contrario descrive la moglie, Lady Macbeth, come il suo esatto contrario: “she has banished all superstition from her soul”, lei è la mente macchinatrice, ma essendo una donna Lady Macbeth “scheme and plot, but she cannot act”194. È lei poi, però, a provare rimorso, insofferenza e soffrire di quella famosa agonia

191 Eugène Ionesco, Macbett, cit., p. 56. 192 Ivi, p. 57.

193 Kalyanee Rajan,Analysing Shakespearean Adaptations in Modern European Absurdist Drama: Alfred Jarry's Ubu Roi and Eugene Ionesco's Macbett, in «Lapis Lazuli -An International Literary Journal

(LLILJ)» Vol.3, n.2, autunno 2013, p. 46.

194 William Shakespeare, Macbeth, a cura di Edmund Chambers, Blackie & Son Ltd, London and Glasgow 1968, p. 14.

mentale che la porterà sull'orlo della pazzia; non è quindi, come il marito, la paura che la perseguita, ma vero e proprio senso di colpa. Il famoso gesto di lavarsi le mani, ad esempio, fulcro centrale nella descrizione del personaggio shakespeariano, in Ionesco, al contrario, viene totalmente svilito in un'azione meccanica e assorta che intende evidentemente parodizzare la profonda inquietudine psicologica della Lady Macbeth cinquecentesca.

Il nostro drammaturgo aggiunge a questa scena cardinale addirittura il personaggio dello straccivendolo che vende “…iolo, abiti, stracci!”, abbassando così in maniera esibita la profondità e la pesantezza della scena shakespeariana, rendendola simile ad una insignificante “sciacquata di mani” qualunque di una nobile signora dopo aver preso il suo thè con i pasticcini:

Durante tutta l’azione seguente, aiutato dalla dama di compagnia, recherà un asciugamano, una bacinella e una saponetta, oppure dell’acqua di colonia per Lady Duncan, che si laverà le mani caricando i gesti, come ad esempio, per togliere una macchia: ella deve però fare tutto ciò in modo un po’ meccanico e un po’ svagato.

Per concludere, la Lady Duncan di Ionesco, confermando e completando totalmente lo stereotipo della donna infida e manipolatrice, nel finale, come liberata da un imprigionamento, rinnegherà la propria responsabilità nell'azione adducendo la scusa di un incantesimo inverosimile:

Non è al mio matrimonio che avete assistito. Avete assistito al matrimonio di Macbett con la strega che ha preso i tratti del mio volto, le forme del mio corpo e il suono della mia voce. Essa mi ha scaraventato nelle prigioni del palazzo e mi ha incatenata. Oggi le catene si sono sciolte e le serrature si sono aperte per incantesimo. Io non ho niente a che fare con te, Macbett. Non sono tua complice, assassino del tuo padrone e dei tuoi amici, usurpatore ed impostore!

E ancora: “Non te la caverai. Non regnerai. […] Il paese ti è contro. Non hai più amici, Macbett. (Si odono grida: “Abbasso Macbett! Viva Macol! Abbasso Macbett! Viva Macol”)”195. E per concludere questa folle rappresentazione femminile, alla fine, dopo queste invettive, la Lady Duncan di Ionesco letteralmente “scompare” senza lasciare traccia, come giustamente scrive Rajan, “like a wicth”196, appunto.

195 Eugène Ionesco, Macbett, cit., p. 87.