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Il metateatro: le commedie nella commedia

CAPITOLO 3 IONESCO E MOLIÈRE: DUE IMPROMPTUS A

3.3 Molière: L'impromptu de Versailles

3.3.2 Il metateatro: le commedie nella commedia

Così come quella di Ionesco, anche questa commedia, dunque, con il suo esperimento metateatrale, si inserisce perfettamente all'interno della lunga tradizione barocca del teatro dentro al teatro, di cui abbiamo trattato.

L'opera, infatti, è chiaramente costruita su vari livelli.

Una commedia, per così dire, “esterna”, nel corso della quale vediamo Molière regista dare indicazioni ai suoi attori durante le prove della commedia che dovranno mettere in scena quella sera per il re. Poi, una commedia “interna”, incastonata nella trama principale, che è quella che gli attori metteranno in scena, la quale poi si rivelerà essere una specie di continuazione dell'opera di Molière La Critique de l'Ècole des Femmes; i personaggi, infatti, sono gli stessi e continuano la conversazione polemica sul drammaturgo Molière e sui suoi lavori teatrali.

Ciò che rende particolarmente interessante questo esperimento teatrale, però, non è solo la struttura costruita su più livelli, ma anche, e soprattutto, il cambio veloce fra questi, che non avviene secondo una logica ordinata, ma si presenta in maniera imprevedibile, improvvisa, e talvolta neanche in modo molto marcato.

La confusione che si potrebbe venire a creare – e di fatto si crea – fra le due commedie, è scongiurata facilmente nell'opera scritta, dagli editori, i quali ricorrono solitamente a grafie o scelte tipografiche diverse per l'una e per l'altra (solitamente si sceglie il corsivo, o le virgolette uncinate per la commedia interna), per sottolineare al lettore che è avvenuto un cambio fra i due livelli.

Questa confusione, però, è anche in qualche modo un trucco ricercato da parte dell'autore, poiché riesce a rendere ancor più fedelmente l'impressione e l'illusione che porta il pubblico a sentirsi presente alle vere prove di una compagnia di attori, così da stuzzicare il voyerismo del pubblico di corte, estraneo alle pratiche teatrali. Ma le due commedie sono, in realtà, ben distinte.

Innanzitutto, la commedia primaria rappresenta in scena dei veri attori, in atto di provare una commedia su un vero palcoscenico, attori che ripassano le proprie parti, con le loro ansie e le loro personalità individuali, mentre la seconda commedia, quella che gli attori stanno provando, è composta da personaggi tipizzati, delle macchiette, così spersonalizzati e fumettistici da non avere neanche un nome proprio, ma sono caratterizzati

solamente dal loro status, come vediamo dalla didascalia sui personaggi lasciata da Molière.

Molière, marchese ridicolo Brécourt, uomo di vera nobiltà La Grange, marchese ridicolo Du Croisy, poeta

La Thorillière, marchese seccatore Béjart, impiccione

Mademoiselle Du Parc, marchesa manierata Mademoiselle Béjart, bacchettona

Mademoiselle De Brie, civetta giudiziosa Mademoiselle Molière, satirica di spirito Mademoiselle Du Croisy, peste zuccherosa Mademoiselle Hervé. servetta preziosa273.

Nonostante questa toponomastica dei personaggi, però, curiosamente, le didascalie di Molière manterranno, anche durante la commedia interna, sempre i nomi propri degli attori prima delle loro battute, e non quelli dei personaggi che rappresentano; quindi, ad esempio, scriverà 'Brecourt', e non 'Uomo di vera nobiltà'. Questa scelta particolare, secondo Fernàndez, potrebbe nascere dal desiderio dell'autore di non far dimenticare al pubblico che l'importante di quest'opera è la figura e il lavoro dell'attore, più che l'opera in sé con i suoi personaggi stereotipati274.

Oltre a questi due macrolivelli, come sottolinea il critico Kowzan, bisogna riconoscere anche una terza sottotrama, una terza commedia: la commedia che Molière aveva iniziato a scrivere per rispondere all'attacco del Portrait du peintre di Boursault, La Comédie des

Comédiens. Con questa l'autore si dà un pretesto per imitare e ridicolizzare, uno per uno,

gli attori avversari, che, avendo recitato nella commedia di Boursault, avevano prima ridicolizzato lui.

Per realizzare questa struttura a matrioska, Molière si ispira, dunque, alla tradizione barocca e a quella della Commedia dell'arte italiana, ma la vera, interessante novità del drammaturgo è quella di inserire nella tradizione dell'impromptu, per la prima volta, una riflessione esplicita sul teatro, e un conseguente disvelamento dei “segreti” del mestiere e dell'arte teatrale.

273 Ivi, p. 428.

Con la propria commedia, fatta di attori che fingono di provare un'altra commedia, Molière sta invitando, difatti, il suo pubblico ad entrare dietro alle quinte del “mondo dello spettacolo”, e a sfogare quella curiosità tipica dei non addetti ai lavori di tutte le epoche. Molière si mostra, infatti, sulla scena, nella triplice veste di autore, direttore e attore che impersona se stesso. Come direttore, egli correggerà e darà indicazioni ai suoi attori su come recitare le loro parti, aiutandoli con i movimenti, le intonazioni e i gesti da accompagnarvi, come si vede:

Molière (a La Grange): Rammentatevelo bene: voi dovete entrare inalberando la faccia, là, come un blasone; vi state pettinando la parrucca, canticchiate tra i denti una canzonetta. La, la, la, la, la, la. [….].

La Grange:«Buon giorno, marchese».

Molière: Dio buono, non è questo il tono di un marchese, va presa più dall'alto, la maggioranza di costoro affetta un modo di parlare tutto speciale, per distinguersi dal volgo:«Buon giorno, marchese». Da capo, su275.

Questo apparente ingenuo artificio, attuato dal drammaturgo per far sembrare più realistiche le prove dei suoi attori e sostenere così l'illusione del pubblico, si rivela, anche per noi, utile documento per testimoniare le tecniche teatrali dell'epoca dell'autore, il XVII secolo, in Francia.