5.3 Le gerarchie di genere e le rappresentazioni di equità nello
5.3.1 Habitus di genere e idee di famiglia nella migrazione
zione ghanese in Italia
La costruzione, operata e rappresentata dalle istituzioni locali, dello spa- zio domestico e famigliare ghanese come coincidente o omologo a quello ita- liano, entrambi ristretti ad una tipologia specifica e normativa che non tiene conto della pluralità delle forme concrete, viene confermato anche dalla let- tura interpretativa dei ricongiungimenti famigliari che sembrano avvalorare questa modellizzazione, e quindi collocare il collettivo ghanese, rispetto ad altri gruppi, in prossimità con l’idea di famiglia italiana. Sebbene questa lettura dei ricongiungimenti necessiterebbe di ulteriori indagini antropolo-
giche, perché la prospettiva di sedentarizzazione ipotizzata potrebbe invece essere negata non solo da un immaginato ritorno nel paese d’origine ma nelle strategie messe in campo dagli emigrati ghanesi che, attraverso il ricongiun- gimento, modificano l’entità ed anche i destinatari delle rimesse. Il circuito delle rimesse, infatti, consente l’invio di risorse a due gruppi uterini piuttosto che ad uno soltanto; le mogli arrivate in Italia, lavoratrici salariate, divengo- no esse stesse produttrici di reddito nel gruppo emigrato ma anche per coloro che sono rimasti a casa, con l’invio di risorse alla propria madre e/o sorella classificatoria. Contro intuitivamente potrebbe, dunque, addirittura pensarsi come strategia per anticipare il ritorno in Ghana.
Storicamente, il mondo Akan si contraddistingue per una discendenza ma- trilineare in cui il lignaggio, contrariamente alle ipotesi struttural-funzionaliste di Fortes (1950, 1970), è un principio organizzativo che modifica costante- mente le sue frontiere includendo o escludendo i suoi membri, in cui l’unità domestica non coincide con la famiglia, proprio perché in quel contesto l’i- dioma di parentela ha travalicato i confini del gruppo biologico e sociale per informare le relazioni di produzione e di lavoro (Bloch, 1971; McCaskie, 1995).
La non coincidenza tra unità domestica e famiglia, è un tema di rifles- sione con cui l’antropologia si è confrontata nel tentativo di trovare, in una prospettiva comparativa e quindi nella variabilità culturale una “struttura” di produzione, riproduzione, consumo e socializzazione. Raccontare, investigare l’unità domestica significa quindi individuare le opportunità e le abilità delle donne all’accesso delle risorse, al lavoro ed al reddito (Moore, 1988). Senza entrare in merito al confronto tra antropologia e economia, disciplina che ha fondato diversi modelli descrittivi del funzionamento dell’unità domestica, pensandola in termini individuali (unitary model ) o collettivi (cooperative conflict e bargaining model ) si potrebbe, quindi, riflettere sugli effetti della migrazione transnazionale sull’unità domestica interpretata, invece, come si- to di negoziazione e contrattazione tra generi, generazioni e forse si potrebbe dire tra vissuti personali translocalizzati. Nel caso dei migranti ghanesi in Italia dunque, un primo livello di attenzione da porre nelle analisi che gui- dano gli attori sociali locali italiani consiste proprio nel ridefinire i confini tra unità domestica e famiglia, che nelle rappresentazioni prodotte invece coincidono chiaramente.
Sebbene le discrepanze tra household e famiglia siano state ripetutamen- te sottolineate dalla teoria antropologica e dall’epistemologia femminista con un attenta valutazione e ripensamento della validità dei modelli sopraespo- sti (Jones, 1986; Kabeer, 1994; O’Loughlin, 2007), l’uso di queste categorie descrittive e la loro applicazione potrebbe consentire la lettura di alcune dina- miche sociali che, se non oscure, sono rimaste sullo sfondo della teorizzazione
e pratica etnografica delle migrazioni transnazionali in cui si parla di una generica e poco descritta famiglia allargata.
Gli interlocutori ghanesi, se e quando sollecitati su cosa sia famiglia, im- mediatamente ribattono senza alcuna esitazione che la famiglia di cui fanno parte è “lunga”, che in “quanto africani ” fanno parte di una “famiglia estesa” e che questo comporta obblighi sociali, supporto e transazioni economiche con diverse persone, rimaste in Ghana. Questo tipo di obbligazione, nel- l’emigrazione, a parere di molti studiosi (Osella e Osella, 2000; McGaffey e Bazenguissa-Ganga 2000; Landolt, 2001; Riccio, 2007) vincolerebbe il mi- grante all’invio di rimesse costanti e rivolte a diverse persone, o per lo stesso principio indurrebbe a sottrarsi a questo tipo di obblighi, celando alcune ri- sorse o chiedendo ad amici e persone non legate da vincoli di parentela di gestire gli eventuali interessi o investimenti nel paese d’origine (Smith, 2007a; Smith e Mazzuccato, 2008).
Nonostante questa rappresentazione che a volte, per le modalità, sembra essere quasi una retorica, non si può negare che la famiglia transnazionale in quanto prodotto di fattori economici, politici e simbolici stratificati, abbia spesso modificato la forma sociale della famiglia ma di rado la sua rappresen- tazione. Van Dijk (2002) , nel suo studio sulle famiglie ghanesi, suggerisce che la religione e le chiese pentecostali plasmino l’idea di famiglia attribuendole caratteristiche che la rendono “moderna” e soprattutto facilmente integrabi- le nelle localizzazioni diasporiche in Europa. L’attenzione sull’individuo e sul gruppo parentale che si trasforma in famiglia nucleare, non solo consen- te di pensare più serenamente la vita di migrazione e ricostruisce una rete di sostegno nella vita altrove in nome dell’appartenenza comune alla chie- sa, ma si concede la possibilità di pensare ed agire ulteriori interpretazioni e riformulazioni nei contesti locali di approdo e nelle storie sociali dei sin- goli paesi d’immigrazione. Bisogna anche precisare che nel pentecostalismo, in particolare in Ghana e Nigeria, assume sempre più importanza la coppia matrimoniale, confermata da una produzione piuttosto cospicua di manuali, redatti dalle singole chiese sul funzionamento e sui ruoli nel matrimonio, che sottolinea la devozione e la cura dello spazio domestico e famigliare come confacente al genere femminile (Newell, 2005).
I discorsi che plasmano la famiglia nella migrazione sono molteplici: li- miti d’accesso e politiche istituzionali di ricongiungimento, rappresentazioni storico-culturali del paese d’approdo che ridefiniscono “il nucleo” familiare (Ambrosini, 2005) naturalizzandolo ed universalizzandolo, gli stereotipi ri- spetto all’alterità ed alle relazioni tra i generi, le risorse economiche e mate- riali. Nel caso ghanese dunque il ruolo delle ideologie di parentela, il discorso sul pentecostalismo e della dottrina cristiana, la stratificazione tra i codici di definizione della parentela, quelle del contesto Akan e quelle offerte dal re-
pertorio delle forme nel contesto di arrivo contribuiscono tutti a tratteggiare l’idea di famiglia che, nelle narrazioni, viene raccontata in modo ambiva- lente. Nella collettività ghanese di Modena, in sintesi dunque, si assiste da una parte ad un processo di nuclearizzazione delle relazioni parentali e ad un’unità domestica non sempre coincidente con il nucleo famigliare residen- ziale; dall’altra, ad una rappresentazione agita, periodicamente attraverso le rimesse al proprio gruppo uterino come poi nelle conversazioni, in cui l’unità domestica talvolta si rende addirittura transnazionale e la famiglia estesa, se pur non ben precisata, prende forma.
Questo processo di trasformazione, ma anche di stratificazione della de- finizione del nucleo domestico famigliare che potrebbe forse ricodificare la mascolinità e la femminilità o i ruoli e le relazioni tra i generi, è negata dalle istituzioni politiche italiane e la struttura famigliare ghanese è disegnata, a differenza di altri collettivi immigrati, come coincidente al modello famigliare Euro-Americano.
Ma a prescindere dall’effetto specchio che i ghanesi e gli italiani attribui- scono all’habitus di genere mi sembra anche qui evidente che la naturalizzazio- ne, le codificazioni e le “ideologie” di parentela sono incarnate e significanti nelle relazioni di potere che, come hanno sostenuto Franklin e McKinnon (2000) disegnano linee di gerarchia ed esclusione producendo subordinazione dipendenza. Utilizzando tattiche retoriche che rendono i protagonisti “mo- derni”, simili agli italiani oltre che “volenterosi di imparare dal contesto di immigrazione”, a mio parere è interessante esplicitare come i modelli e le rela- zioni di genere e le rappresentazioni della coniugalità siano state agite, dentro il co-sviluppo, per ricodificare le relazioni di genere subordinanti e gerarchiz- zate delineando e confermando, a dispetto di una rappresentazione politica della complementarità coniugale come luogo di costruzione di pratiche di empowerment delle donne, asimmetrie di potere.