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41I livelli essenziali delle prestazioni e i poteri sostitutivi

Nel documento Quaderni del MIPA (pagine 41-45)

stenza attribuita, sempre in via esclusiva, alle regioni. Questa lettura di tipo duale, in base alla quale ciascuna istituzione esercita in modo sepa-rato le proprie funzioni, lascia in ombra la molteplicità delle modalità di cooperazione multilivello che è necessario attivare per garantire al cit-tadino il raggiungimento di uno standard di prestazione che renda effet-tiva la tutela del diritto sociale. La cooperazione tra i livelli istituzionali è, infatti necessaria in diverse fasi della complessa sequenza di fasi sot-tesa alla messa in opera dei Lep. In particolare, questa cooperazione può generare rapporti di tipo:

a) persuasivo, in quanto lo Stato realizzi azioni di comunicazione che evidenzino nei confronti dei cittadini il diverso grado di meritevo-lezza delle amministrazioni, attivi dei laboratori dell'innovazione e favorisca lo sviluppo di comunità di pratiche tra gli operatori ammi-nistrativi, promuova la costituzione di reti civiche che diffondano tra i cittadini una maggiore conoscenza degli strumenti per la tutela dei propri diritti e sostenga l'autonomia attuando interventi di forma-zione e consulenza;

b) incentivante, laddove si introducano forme di competizione per l'ac-cesso alle risorse finanziarie aggiuntive o di emulazione attraverso la realizzazione di premi che mettano in luce le best practices, o di interventi di valutazione comparativa e di benchmarking;

c) cooperativo, legato alla ricerca del consenso e della integrazione fun-zionale tra i diversi livelli di governo nella definizione dei Lep, del sistema informativo, nel finanziamento, nel monitoraggio e di eser-cizio del potere sostitutivo e dei rimedi all'inosservanza degli stan-dard.

In conclusione, appare necessario rilevare come, a metà della nuova legislatura, l'impianto del sistema delineato dalla l. n. 328/2000 non è stato rivisto, è solo rimasto inattuato. Appare invece necessario opera-re con la massima speditezza un ripensamento del disegno organizzati-vo ministeriale, il quale valorizzi al massimo le funzioni che lo Stato deve esercitare all'interno di un nuovo rapporto tra i livelli di governo. L’INNOVAZIONE DI FRONTIERA

Una serie di analisi e ragionamenti fin qui esposti sono assolutamente condivisibili e, personalmente, mi trovo d'accordo con molte delle riflessioni sviluppate nel corso degli interventi finora succedutisi. Per questa ragione non vorrei sottolineare ulteriormente temi come quelli già esaminati, ma approfitterei dell'occasione offertami per discutere brevemente di due questioni apparentemente diverse tra di loro, ben integrabili non solo con quanto fin qui detto, ma anche tra di loro. In primo luogo mi sembra importante affrontare la questione della (effettiva) disponibilità di un sistema integrato di statistiche capaci di rendere conto delle politiche sociali attuate nel nostro Paese. Infatti, anche se ad alcuni ancora oggi potrà sembrare che una tale questione non si ponga in modo urgente, poiché molto c'è da fare e il problema del deficit di offerta di politiche sociali può sembrare l'elemento più acuto su cui proporre l'intervento e, dunque, il tema da mettere assoluta-mente in agenda, dal mio punto di vista di analista delle politiche socia-li devo sottosocia-lineare il fatto che, nonostante quanto fosse previsto a pro-posito di "sistemi informativi integrati sulle politiche sociali" nella legge quadro del 2000, tuttora siamo nella condizione di non sapere chi fa, che cosa, per chi e sostenendo quali spese effettive di offerta dei servi-zi sociali (soprattutto) comunali.

Il secondo tema che vorrei portare all'attenzione dei partecipanti è quello della determinazione dei "livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sociale" ovvero - per focalizzare meglio la questione che pongo - vorrei porre il problema della misurazione degli effettivi livelli di offerta e, conseguente, della determinazione, sulla base di un fonda-mento empirico pertinente ed affidabile, non solo di ciò che potrà rite-nersi "essenziale", ma anche di come colmare, eventualmente, eventua-li gap locaeventua-li rilevati, a quaeventua-li costi e con quaeventua-li effetti prevedibieventua-li.

Per quel che riguarda il primo tema, in particolare, vorrei prendere lo

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Politiche sociali e "governance informata": Il

ruolo della statistica pubblica per la

misurazio-ne dei livelli essenziali dell'assistenza sociale

spunto da una associazione che sento fare qualche volta tra "sistema sanitario" e "sistema dell'assistenza sociale". Non ne faccio una que-stione nominalistica (anche se spazio ce ne sarebbe per invocare una maggiore attenzione nei confronti di un termine come quello di "siste-ma", soprattutto se applicato, in Italia, al caso dell'offerta di interventi assistenziali!). La perplessità che metto in luce riguarda il ritenere che questi due complessi di politiche pubbliche risultino, …in ultima anali-si, molto omogenei, quasi identici, insomma assimilabili.

Questo tipo di "rischio" assume connotati particolarmente evidenti nei casi in cui le amministrazioni pubbliche che devono costruire i sistemi informativi nei quali organizzare i flussi di dati e di riferimenti ammini-strativi e gestionali, ad esempio quelli relativi alle politiche sociali, dovendo scegliere come strutturarli, tendano ad imitare o a ricalcare formule operative già adottate in precedenza: nel caso degli interventi di assistenza sociale le soluzioni possono essere quelle già adottate in ambito sanitario. Al fondo di questa scelta informativa "per analogia" dipende, tra le altre cose (ad esempio: l'inerzia che si annida in tutte le organizzazioni ), dal fatto che non è sempre chiaro "che cosa" un siste-ma inforsiste-mativo debba includere al fine di supportare la programsiste-ma- programma-zione, la gestione e la valutazione delle politiche sociali svolte, sia local-mente, sia in coerenza con quanto è svolto in altre regioni e, nel com-plesso, in ambito nazionale ed europeo.

Tra l'altro la trattazione di questi problemi risulta poco agevole anche perché essi tendono ad essere visti secondo prospettive diverse e varia-bili seguendo lo stile disciplinare adottato dall'interlocutore di turno. Così, ad esempio, un sociologo tenderà a ricercare tutte quelle informa-zioni che gli possano consentire di sapere se, in che misura e con quali effetti inattesi una certa politica raggiunge gli obiettivi perseguiti o come mai essi non siano stati raggiunti; un analista delle politiche chiederà informazioni su come le politiche sono state disegnate, quali attori siano stati coinvolti in questo processo e nel processo di attuazione, quali risorse economiche e simboliche sono state messe in campo e come questi fattori si siano combinati per produrre i risultati rilevabili; un eco-nomista vorrà invece conoscere quali sono i costi sostenuti dalle ammi-nistrazioni pubbliche o quali siano le spese imputabili a ciascuno dei fat-tori (produttivi) utilizzati per attuare le politiche stesse; e sociologi, poli-tologi ed economisti spesso si lamenteranno per l'indisponibilità di informazioni ritagliate esattamente sulle loro esigenze conoscitive e lo faranno tanto di più quanto maggiore sarà il loro interesse per cose come la valutazione delle politiche, della loro efficienza o efficacia, oppure addirittura del loro impatto, lordo o netto che sia.

In questo ambito la statistica ufficiale può fornire un contributo discipli-L’INNOVAZIONE DI FRONTIERA

nare e concettuale che facilita la costruzione di modelli di rappresenta-zione delle politiche sociali (definite in questo caso come tutte le poli-tiche di protezione sociale normativamente riconosciute) che risultano essere non solo pertinenti ed affidabili sotto il profilo metodologico, ma che si articolano anche in modo coerente, durevole e comparabile rispetto alle statistiche ufficiali prodotte in atri paesi europei. Consideriamone brevemente i termini generali.

In primo luogo l'elemento d'ordine. E' opportuno, innanzitutto inten-dersi sul significato della parola 'assistenza' adottato anche oggi da qual-cuno in questa sede. Infatti, anche se in passato questa parola è stata al centro di intensi dibattiti, che hanno attraversato diversi circuiti sociali (accademici, politici, giornalistici, ma anche riconducibili al mondo del-l'associazionismo civile) e hanno messo in luce le degenerazioni e l'i-nefficacia dei tradizionali sistemi di trattamento e cura per coloro che vi erano inglobati1, in questi ultimi anni, fino all'approvazione della legge 328 del 2000, si è cominciato ad adottare più frequentemente la formula di 'politica sociale' indicando con questa nozione il complesso delle iniziative di politica pubblica che mirano a integrare, nei territori di riferimento, sia i diversi strumenti istituzionali, pubblici e privati, in base ai quali essi possono essere attuati, sia linee specifiche di azione, le diverse tipologie di prestazione e i cittadini portatori finali delle esigen-ze reali di sostegno ed inclusione sociale che le politiche stesse sono destinate a superare.

In questo senso quando si parla di "politiche sociali" e, corrispondente-mente, di "spesa sociale" si corre il rischio di indicare un tipo di interventi diversi da quelli ai quali ci si riferisce parlando di "assistenza sociale" e "spesa assistenziale". Le prime due nozioni si riferiscono a tipologie di decisioni e spese che, a parte altre differenze, sono riferibili ad un insie-me più vasto di interventi e di spese di quanto sia inteso nel caso in cui si utilizzi la seconda coppia di nozioni. Anche qui, dunque, è necessa-rio decidere a quale delle due nozioni si faccia riferimento e determina-re quale sia, eventualmente, l'adetermina-rea di sovrapposizione tra politiche e spese del primo tipo e quelle del secondo tipo.

In secondo luogo l'elemento definitorio. Sotto il profilo della statistica pubblica e, in particolare, della statistica economica pubblica, un intervento può essere classificato come assistenziale allorquando coloro che ne beneficiano non contribuiscono alla spesa sostenuta per attuarlo (ad esempio,

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