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Una valutazione

Nel documento Quaderni del MIPA (pagine 172-175)

Pubbliche amministrazioni e consultazione dei cittadini

3. Una valutazione

La lettura cursoria delle esperienze di consultazionei consente di evi-denziare come esse presentino tratti differenziati36. Per l'attività di rego-lazione, si può parlare di sperimentazioni appena avviate a livello stata-le e nelstata-le regioni, mentre stata-le autorità amministrative indipendenti sem-brano aver già iniziato ad affinare e a consolidare l'utilizzo di queste tec-niche. Con riferimento all'attività amministrativa di programmazione si assiste ad un notevole sviluppo delle consultazioni che cominciano ad essere utilizzate in modo non episodico, ma ancora non sistematico. Nel settore dell'amministrazione "puntuale" vi è ormai un consolida-mento degli strumenti di partecipazione.

Le tecniche di consultazione iniziano ad essere utilizzate all'interno di L’INNOVAZIONE DI FRONTIERA

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35 L. Torchia, I modelli di procedimento amministrativo, in L. Torchia (a cura di) Il procedimen-to amministrativo: profili comparati, Cedam, Padova, 1993, p. 41, evidenzia i limiti del modello partecipatorio. Infatti, "se è vero che la partecipazione consente di configurare il procedimento amministrativo come sede e strumento di composizione di una pluralità di interessi, non gerar-chizzati ex ante, è vero anche, d'altra parte, che la partecipazione ha costi alti, spesso proibitivi per gli interessi deboli, cioè proprio per gli interessi più bisognosi di tutela. Se è vero che la parteci-pazione garantisce l'openness del procedimento amministrativo, la legittimazione delle decisioni amministrative e l'acquisizione del preventivo consenso da parte degli interessati sono spesso in grado di influenzare l'azione amministrativa a loro favore, a scapito di altri interessi e, a volte, anche della razionalità e dell'efficienza". Si cfr. con A. Sandulli, Il procedimento amministrativo, in S. Cassese e C. Franchini, L'amministrazione pubblica italiana. Un profilo, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 123, secondo cui l'introduzione di istituti partecipativi può essere uno strumento per far emerge-re i condizionamenti "sotterranei" che comunque permeano l'azione amministrativa anche nel momento in cui si fa formalmente ricorso a tecniche decisionali in cui formalmente prevale la com-ponente autoritaria, e con M. D'Alberti, La "visione" e la "voce": le garanzie di partecipazione ai pro-cedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, p. 34, secondo cui le diseguaglianze prodot-te dalla parprodot-tecipazione potrebbero essere in parprodot-te bilanciaprodot-te attraverso il rafforzamento dell'experti-se tecnica delle amministrazioni, il consolidamento dell'azione svolta dalle autorità indipendenti e il potenziamento del diritto all'intervento e all'accesso del privato nel procedimento.

36 Si segnala anche il ricorso da parte di molte amministrazioni all'utilizzo delle Ict a supporto delle consultazioni. Una panoramica può essere osservata in Ministro, per l'innovazione e le tec-nologie, Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: e-Democracy, Roma, 2004. L'ispirazione di queste prime esperienze sembra provenire ancora una volta dagli Usa in cui l'E-Government Act del 2002, section 206 richiede alle agenzie federali di accettare, per quanto pos-sibile, i commenti dei destinatari sulle proposte di atti normativi "by electronic means" e che i siti di queste agenzie contengano degli spazi appositi all'interno dei quali diffondere le bozze di pro-poste di regolazione e i commenti fatti pervenire dagli interessati.

un novero sempre più ampio di attività amministrative, ma si tratta spes-so di sperimentazioni che attendono di essere affinate e messe a sistema. Nel contesto italiano queste tecniche sono spesso attuate con modalità diverse da quelle tratteggiate dall'Ocse: il ricorso a specifici strumenti di ascolto del cittadino rimane marginale; si consultano prevalentemente i soggetti o i rappresentanti di gruppi di interesse che hanno rapporti pri-vilegiati con le amministrazioni; non sono state introdotte forme di soste-gno che colmino le situazioni di squilibrio tra soggetti privati.

Le innovazioni introdotte nel corso del decennio non sono riuscite a riorientare le relazioni tra le amministrazioni pubbliche e i cittadini, tradizionalmente improntate ad una mescolanza di autoritarismo e di debolezza. E' accaduto l'inverso: i retaggi storici e culturali hanno condizionato e vincolato i cambiamenti, per cui le tecniche e le meto-dologie sviluppate in altri paesi, nel momento in cui sono state tra-piantate all'interno delle amministrazioni pubbliche italiane, sono state adattate o rigettate. Gli interventi di cambiamento hanno finito per essere pesantemente condizionati dalla specificità del contesto in cui si è tentato di realizzarli. Determinando non solo attuazioni tardi-ve e limitate, ma anche distorsioni.

Anche laddove la partecipazione ha assunto un carattere maggior-mente attivo e incisivo (le autorità di regolazione e, in parte, lo Stato), sembra che l'attenzione delle amministrazioni pubbliche sia rivolta in modo preponderante, se non esclusivo, alle associazioni di categoria e di rappresentanza di interessi collettivi. In questo modo, però, non si risolve il problema della legittimazione democratica delle decisioni pubbliche37, ma si apre quello relativo alla legittimazione degli orga-nismi di rappresentanza di interessi collettivi o diffusi.

4. Conclusioni

L'utilizzo delle consultazioni non sembra stia alterando in modo significativo il rapporto tra il cittadino e gli apparati burocratici. Esso

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Metodologie e procedure della consultazione

37 Sul fatto che la partecipazione al processo decisionale rappresenti un fattore di legittimazione della scelta si v. N. Luhmann, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Giuffrè, Milano, 1995. J. G. March e J. P. Olsen, Governare la democrazia, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 111 osser-vano come: "La politica democratica è il luogo attraverso il quale i cittadini avanzano le proprie interpretazioni dei problemi collettivi, delle loro cause, dei loro rimedi, avviando così un dibattito sugli scopi, il fine e il significato, in termini di identità, dell'azione politica.... Nel momento in cui, nel corso di decisioni pubbliche, gli attori in conflitto si mettono a sostenere le proprie ragioni facendo riferimento non tanto e solo ai propri interessi individuali, ma a interessi più vasti e gene-rali, essi si rendono partecipi di un'impresa che li accomuna e che li spinge ad ascoltarsi l'un l'al-tro e ad assumersi obblighi reciproci".

non sembra preannunciare l'avvento di improbabili forme di demo-crazia diretta38. Infatti, l'amministrazione, continua a rispondere verso l’"alto" - al Governo e al Parlamento - del proprio agire , pertanto non può, corrispondere, se non in misura limitata, alle istanze che pro-vengono dal "basso", da parte dei privati.

A ciò si deve aggiungere che la partecipazione introduce due ordini di rischi. Il primo è quello che essa apra la strada a nuovi ed ulteriori divari nella capacità di rappresentanza degli interessi in gioco. Il secondo è che le amministrazioni e i vertici politici finiscano per esse-re deesse-responsabilizzati rispetto agli esiti delle scelte compiute, i quali-che potrebbero essere "addossati" al cittadino di cui le istituzioni si limiterebbero a raccogliere le preferenze manifestate.

E' evidente checome, per evitare che l'introduzione delle tecniche di consultazione comporti delle distorsioni, è necessario operare degli interventi correttivi. In particolare, la cattura delle amministrazioni e la limitatezza delle informazioni che esse forniscono ai privati sono, in misura notevole, frutto figlie delle carenze dei sistemi informativi pubblici. Pertanto, occorre che essi siano rivisti e rafforzati. Inoltre, occorre procedere ulteriormente nelle sperimentazioni al fine di arti-colare maggiormente le tecniche di consultazione, adeguandole alle specificità che caratterizzano le diverse tipologie di processo decisio-nale. Infatti, in ragione della numerosità dei destinatari, dell'ampiezza dell'oggetto considerato, del livello delle conoscenze disponibili, della rilevanza della scelta da compiere, della durata del processo decisio-nale e del numero dei soggetti regolatori coinvolti, l'ascolto dei sog-getti privati può essere più o meno efficace.

I limitati risultati conseguiti negli ultimi dieci anni attraverso le con-sultazione e i problemi generati dall'utilizzo di questo strumento, non possono condurre a rigettarlo. Infatti, anche sulla base delle limitate esperienze realizzate in Italia, è evidente che l'ascolto dei privati può servire a rendere più efficace l'azione delle pubbliche amministrazio-ni, adeguando le forme di intervento alle esigenze degli specifici seg-menti di utenza, nonché a rendere più trasparente e condiviso il pro-cesso decisionale.

L’INNOVAZIONE DI FRONTIERA

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38 Si v. G. Bosetti, S. Maffettone (a cura di), Democrazia deliberativa: cosa è, Luiss University Press, Roma, 2004, J. S. Fishkin, La nostra voce, Marsilio, Venezia, 2003 e si cfr. con R. Dahrendorf, Dopo la democrazia, Laterza, Roma - Bari, p. 74 e soprattutto con H. Kelsen, La democrazia, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 96, il quale mette in luce i limiti di un processo decisio-nale pubblico affidato ad un negoziato tra le corporazioni. Per un esame comparativo del grado di partecipazione dei gruppi di interesse alla formazione delle decisioni pubbliche, si v. A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 196 e ss.

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Io mi propongo di svolgere qualche rapida riflessione intorno al pro-blema delle forme di democrazia partecipata, ovviamente dal punto di vista che mi è più congeniale, quello del politologo. Secondo questa prospettiva, i meccanismi di consultazione tipici della democrazia par-tecipata si collocano a metà fra le forme proprie della democrazia dele-gata, o rappresentativa, e le forme della democrazia diretta, o assem-bleare. L'idea è che tra le procedure deliberative di stampo assembleare della democrazia diretta, con i limiti che esse comportano di fronte a decisioni complesse, e quelle altamente specialistiche della democrazia rappresentativa, vi sia spazio per forme intermedie, in grado di allarga-re le maglie della consultazione in sede deliberativa, attraverso una sorta di compromesso fra delega e partecipazione. Forme che, nell'esperien-za italiana degli ultimi dieci anni, sia in sede amministrativa locale, sia in sede di governo nazionale, sono andate progressivamente estendendo-si, fino ad assumere un'indiscussa rilevanza, soprattutto per la capacità di integrarsi (anche se in via chiaramente sperimentale) con i meccani-smi e le istituzioni della democrazia rappresentativa.

Resta inteso che, nelle democrazie contemporanee, la democrazia dele-gata è comunque centrale nella decisione politica e amministrativa, gra-zie allo stretto rapporto che essa consente di instaurare fra decisione e responsabilità della stessa. Un rapporto che, a ben vedere, la democra-zia partecipativa non è in grado di garantire, data l'inevitabile corre-sponsabilizzazione che la contraddistingue, in seguito al fatto di collo-care la decisione nell'ambito di un contesto consultivo più ampio. Malgrado ciò, esperienze di democrazia partecipativa, soprattutto nel-l'ambito degli enti locali, se ne sono verificate parecchie e molte di tali esperienze si sono dimostrate anche proficue. Penso, in modo partico-lare, ai progetti che richiamava in precedenza Natalini.

In primo luogo, progetti Urban, realizzati con fondi dell'Unione

Nel documento Quaderni del MIPA (pagine 172-175)