L’INNOVAZIONE DI FRONTIERA
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paiono quando escono dalla fabbrica, sicuramente non siamo di fronte ad un'immigrazione di qualità. E, badate, in alcuni casi in questo paese si cerca esattamente questo tipo di immigrazione silenziosa ed invisibile...
Quarto, l'ho già detto, un immigrazione che non sia spreco di pro-fessionalità degli immigrati, che non comporti ghettizzazione ed etnicizzazione del mercato del lavoro, che non trasformi "filippi-na" in sinonimo di colf...
Quinto un'immigrazione che non sia in qualche modo pura per-dita per i paesi di origine, brain...drain, che non comporti che essi paghino i costi della formazione di quadri e tecnici e noi ne rica-viamo soltanto i vantaggi.
Sicuramente ci sono altre caratteristiche, ma credo che queste prime appena indicate siano sufficienti per definire un po' il nostro tema e per valutare a questo tavolo e con questi parametri l'adeguatezza delle poli-tiche di immigrazione e per l'immigrazione.
Questo tipo di immigrazione, l'immigrazione di qualità, così come ho provato a definirla, rinvia a una serie di problemi, non secondari: per esempio: chi sono queste persone, quale definizione dobbiamo dare del termine stesso di migrante, perché si possa parlare di migrazione di qualità, quali fenomeni abbiamo davanti a noi, eccetera, eccetera.
La letteratura sul tema, oramai vastissima, utilizza categorie diver-sificate: si parla di " immigrati qualificati", di "immigrati intellet-tuali", di "High skilled migrants" ... Tra le persone che hanno com-petenze, che hanno un valore tra i vari mercati, abbiamo di tutto dagli studenti, ai tecnici, esistono diverse classificazioni, ma comunque la prima nota problematica è questa, chi sono queste persone?
Secondo aspetto problematico: qual è il modello entro il quale leg-giamo queste immigrazioni? Per esempio ormai si calcola, meglio si stima, che su 175 milioni di immigranti nel mondo, circa un milione e mezzo siano migranti altamente qualificati, provenienti da paesi del sud e presenti nei paesi del nord. Questo milione e mezzo (ed è sicuramente una stima al ribasso), costituiscono un effetto di brain drain o no? Non è un problema di terminologie: è un problema di politiche. Negli anni '50, negli anni '60 i paesi che ritenevano di essere vittima di brain drain hanno voluto fare poli-tiche attive di disincentivazione, se non aperta repressione, del-l'emigrazione oppure politiche di richieste di compensazione per il danno subito. Pensare che siamo di fronte a fenomeni di brain
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Immigrazione di qualità drain rinvia in qualche modo ad una logica compensatoria. Pensare invece che siamo, per esempio, di fronte a casi di diaspora (è per certi versi il nuovo paradigma che sta nascendo) fatta da migranti altamente qualificati, che possono essere eventualmente utili suc-cessivamente ai paesi di origine in un ciclo che è di andata e ritor-no dai paesi di origine ai paesi di approdo, ovviamente ridefinisce e rovescia in qualche modo il rapporto tra paese di origine, migran-ti e paese di accoglienza. In questo caso il migrante acquisisce all'estero competenze, aumenta il proprio "capitale sociale" che può reinvestire nel paese di origine... Ma è per l'appunto un pro-blema di definizione concettuale che ha conseguenze pragmatiche. Il terzo elemento su cui approssimare qualche analisi è la situa-zione in Italia. Vi cito dei dati "a volo di uccello": abbiamo, secon-do Unione Camere qualcosa come 200 mila immigrati richiesti dalle imprese ogni anno. Di questi la gran parte sono persone con basso titolo di studio e con bassa prospettiva professionale, (il 40% con la sola scuola media), ma abbiamo qualcosa come 7 mila migranti richiesti dalle imprese che abbiano una laurea o un tito-lo comunque di liveltito-lo terziario; abbiamo tanti manovali, tante professioni dequalificate ma abbiamo anche dirigenti, direttori, tecnici... di difficile reperimento.
Anche nel decreto flussi annuale sono previste le professioni intel-lettuali scientifiche specializzate, tra le ragioni il perché sono ammes-si i lavoratori stranieri, anche se è vero che molte volte la gran parte di queste piccole quote (500 nel 2004) restano inutilizzati, ma , c'è da aggiungere, anche perchè non è affatto facile utilizzare queste quote particolari.
Abbiamo veramente un paradosso, l'OIM ha realizzato in Albania una banca dati per i candidati all'immigrazione verso l'Italia e abbiamo tro-vato persone che erano laureate, ma che erano disposte a venire in Italia a fare di tutto, persone che erano diplomate ma che erano disposte a venire in Italia a fare qualsiasi lavoro. Perchè? Perchè comunque fare il manovale in Italia era meglio che fare l'ingegnere disoccupato o sotto occupato in Albania...
Questi fenomeni esistono in Italia e sicuramente vanno contro una gestione dell'immigrazione come immigrazione di qualità.
Né è sufficiente pensare che le politiche di governo non favoriscano la non-integrazione dei migranti, la loro ghettizzazione, che anzi in alcu-ni casi, come la formazione all'estero, puntino sulla formazione come mezzo per la qualità.
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giorno e contemporaneamente si allungano i termini entro i quali biso-gna richiederne il rinnovo, assistiamo a una sorta di precarizzazione della condizione degli immigrati: precarizzazione nel senso di control-lo di polizia più stretto, di un irretimento maggiore nella rete di con-trollo della polizia, a scapito delle politiche di integrazione. A scapito delle politiche di integrazione perchè con il permesso in "attesa di rin-novo" tante piccole cose che sono normali e garantite e sembrano banali non si possono più avere o fare. Non si può più, per esempio, lasciare l'Italia; non tutti i datori di lavoro accettano di firmare nuovi contratti ( o rinnovare i vecchi) perché temono di finire nelle maglie della legge che sanziona l'assunzione di immigrati privi di permesso di soggiorno; gli uffici della motorizzazione non accettano di far soste-nere gli esami per la patente; non si può richiedere il ricongiungimento familiare e neanche tutti i centri per l'impiego accettano di iscrivere gli immigrati. Che questa scelta sia legata ad una politica più generale del-l'ordine pubblico, alla scelta di privilegiare il controllo, è una questione sulla quale non esprimo nessun giudizio politico, ma mi chiedo sia la base migliore per una politica di immigrazione di qualità.
Abbiamo infine la necessità di pensare a progetti che favoriscano l'im-migrazione di qualità: in alcune regioni come la Toscana e l'Emilia si stanno realizzando progetti specifici e questa strada va percorsa anche a livello nazionale ed internazionale.
La formazione all'estero per esempio potrebbe essere un esempio su cui lavorare.
Ma altri esempi non mancano. L'OIM ad esempio attualmente sta rea-lizzando in Italia (tra l'altro con un finanziamento del Ministero del Lavoro) attività di orientamento culturale e linguistico per gli immigra-ti, nell'ipotesi che un immigrato che ha un lavoro una casa, ha bisogno anche di conoscere la lingua, conoscere i diritti ed i doveri vigenti in questo paese, di conoscere il mercato del lavoro, conoscere la cultura del paese di approdo.
Ecco anche questo è un modo favorire l'immigrazione di qualità.. Credo che alcuni di questi elementi siano stati estremamente sintetici, forse anche troppo, ma il tempo a mia disposizione non mi consenti-va molto di più
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Immigrazione di qualità
Il mio intervento non era previsto né preparato, ma poiché il dibattito è stato molto stimolante ed ha offerto tutta una serie di suggestioni a cui rispondere, anche con qualche accenno critico, mi ha suggerito parecchi spunti: spero di riuscire a percorrerli tutti rispettando l'input della brevità.
Intanto cosa fa nell'INPS la mia struttura che si occupa di monitorag-gio dei flussi migratori? Perché questo monitoragmonitorag-gio?
In realtà per l'INPS i lavoratori immigrati sono lavoratori esattamente come gli altri, non c'è una riga di norma che l'INPS è tenuta ad appli-care che distingua un lavoratore immigrato da un altro lavoratore. Questo vorrebbe dire che nel momento in cui il lavoratore immigrato 'arriva' all'INPS, valgono per lui regole e tutele uguali a tutti gli altri lavoratori; in teoria, quindi, non ci sarebbe bisogno di una struttura che si occupi del monitoraggio di una categoria così specifica; in realtà sostenere questo significherebbe nascondersi dietro un dito, sappiamo benissimo che i problemi dei lavoratori immigrati hanno, ahimè, biso-gno anche di un trattamento, come dire, di osservazione e di monito-raggio particolare, perché ancora oggi nel nostro paese, come nella maggior parte dei paesi civili, esiste qualcosa - nella cosiddetta 'sensibi-lità collettiva' - che non fa considerare a pieno titolo gli immigrati dei lavoratori uguali agli altri.
Poiché in questo seminario si parla di "buona immigrazione", vediamo cosa può voler dire buona immigrazione anche dal punto di vista dell'INPS.
L'INPS è un soggetto che con le contribuzioni incassate eroga delle pre-stazioni che sono in buona parte le prepre-stazioni così dette previdenziali, anzi, più rigorosamente, pensionistiche. C'è però tutta una diversa serie di prestazioni - meno immediatamente riconoscibili - che appartengono alla categoria delle 'tutele' dei lavoratori e dei cittadini, quelle che noi