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miamo nel nostro gergo interno 'prestazioni a sostegno del reddito'. Queste prestazioni, così come per altro anche quelle previdenziali, hanno bisogno di una 'progettazione', in una visione che abbia un respi-ro non particolarmente corto nel tempo, perché come tutte le presta-zioni - ripeto che anche quelle previdenziali non si improvvisano - non si reinventano a fronte di un'emergenza.
Dal punto di vista della platea degli immigrati, queste tutele, che pure sono le stesse previste per gli altri lavoratori, hanno evidentemente bisogno di una cura particolare, innanzitutto di tipo informativo e comunicativo.
In tal senso ci stiamo prima di tutto sforzando di dare ai lavoratori nuovi entranti nel territorio nazionale quel tipo di informazioni che consentano loro di affrontare quel contesto di particolare complessità che è oggi il mercato del lavoro italiano, oggetto di riforme come la 'Biagi', riforme che - diciamolo pure - dal punto di vista della com-prensione immediata che può averne un cittadino straniero, che proba-bilmente non parla particolarmente bene la nostra lingua, che non ha una frequentazione usuale con le regole del mercato del lavoro, non sono proprio di immediata maturazione; è già abbastanza difficile orientarsi fra tutte le tipologie dei nuovi lavori per un cittadino nazio-nale, figuriamoci per un cittadino extra comunitario!
Ci sono però alcune contraddizioni dal punto di vista della durata del 'soggiorno per lavoro' in Italia in rapporto ai trattamenti erogati: dicevo poc'anzi che l'INPS incassa contribuzioni dagli immigrati extra comuni-tari, ma restituisce loro soltanto una parte delle prestazioni corrispondenti da loro attese, le prestazioni 'di tutela' ma non almeno a breve -quelle pensionistiche, in quanto la legge 189 del 2002, cosiddetta "Bossi-Fini", fa cessare l'esistente possibilità di restituzione dei contributi ver-sati dai lavoratori extra comunitari nel momento in cui questi ritornano nel loro paese di origine. Se consideriamo che siamo di fronte, in gene-re, a lavoratori ben lontani dalle condizioni di età per la pensione, vedia-mo come, facendo cadere questo incentivo al ritorno dato dal recupero di una sorta di 'risparmio forzoso', la legge sembrerebbe incentivare - al di là degli intenti dichiarati - la trasformazione dell'occupazione di que-sti lavoratori in occupazione stabile e la loro permanenza sul territorio nazionale in una permanenza di lungo periodo.
Parlando di permanenza di lungo periodo occorre raccogliere uno spunto lanciato poco fa dal professor Livi Bacci, quando diceva che le politiche per l'immigrazione, se intese anche come politiche per l'inte-grazione, sono degli investimenti in cui è richiesto uno sforzo bilatera-le: da una parte dello Stato che accoglie, dall'altra parte dell'individuo immigrato che deve integrarsi nello stato di arrivo.
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Immigrazione di qualità Ora, a prescindere da ovvie considerazioni sulla sperequazione tra gli sforzi richiesti (da una parte uno Stato, dall'altra un individuo 'entran-te'), la brevità del periodo di permanenza, ipotizzata dalla normativa attuale attraverso la durata 'breve' del permesso/contratto di soggiorno, fa a pugni in particolare con i tempi necessari al ritorno dell'investi-mento sociale, e possiamo anche presumere (mi pare che Livi Bacci lo dicesse) che ci sia un ritorno negativo evidentemente anche dell'investi-mento individuale, dato dalla brevità del periodo che la norma prevede come permanenza, diciamo 'garantita' sul territorio nazionale.
Se così è, c'è un ritorno assolutamente negativo dell'investimento socia-le, perché lo sforzo per l'integrazione dell'immigrato è una cosa che costa allo Stato, costa alle nostre istituzioni, dicevo prima che costa anche all'INPS quando ha necessità di progettare o ri-progettare i suoi sistemi di tutela sociale anche in funzione di questo fenomeno nuovo, l'immigrazione 'di massa'.
Evidentemente questo investimento sociale non ha il tempo di esplica-re i suoi effetti positivi se l'immigrato, per un motivo o per l'altro, torna indietro; in genere, tornerebbe "per scelta individuale" come affermava il dr. Silveri.
Lasciatemi esprimere una perplessità sul fatto che gli immigrati decida-no di ritornare nei loro paesi spinti dal desiderio di mettere a frutto l'e-sperienza che hanno fatto nel nostro paese, reinvestendo quanto gua-dagnato: certo questo tipo di spinta è un fenomeno sicuramente pre-sente, ma ho qualche dubbio che possa costituire la motivazione della maggior parte dei ritorni verso i paesi di origine; credo che nella mag-gior parte dei casi ci siano altri tipi di spinte che non rappresentano pro-prio delle scelte di tipo individuale.
Sempre in tema di 'immigrazione buona' (e cerco di chiudere), una delle forme che si dovrebbe cercare di incentivare è quella dell'im-prenditoria immigrata, che appare intuitivamente positiva per vari motivi, perché è sicuramente immigrazione di qualità che comporta trasferimento e importazione nel nostro paese anche di know-how (quindi un arricchimento del nostro paese), e perché è immigrazione che a sua volta genera occupazione.
Ebbene, anche qui, spesso, gli usi applicativi della normativa di fatto ostacolano l'esigenza di favorire questo tipo di positiva immigrazione. Vediamo cosa succede di fatto: leggevo l'altro giorno di un caso ecla-tante, che peraltro mi era già noto, perché chiunque si occupi profes-sionalmente di immigrazione - a fronte di tutte le mille difficoltà che ci sono nella gestione di questo fenomeno, soprattutto da parte degli immigrati stessi - finisce per diventare punto di riferimento per quelle persone (lavoratori immigrati e spesso anche i loro datori di lavoro) che,
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non sapendo come risolvere i propri problemi, si rivolgono a chi pos-sono, ivi compreso il responsabile dell'immigrazione dell'INPS. Allora, il caso che conoscevo era quello di un'imprenditrice venuta da un paese africano, non senza mezzi di sussistenza, qui in Italia, dove ha rilevato un'attività imprenditoriale, già gestita da altro imprenditore immigrato.
Mi rendo conto di aver dimenticato di fare una premessa: questa signo-ra si è rivolta a me per cercare di capire perché a lei che, essendo imprenditrice, dava lavoro ad un certo numero di immigrati, veniva concesso, di volta in volta, un permesso di soggiorno per un solo anno, mentre i lavoratori che da lei dipendevano avevano un permesso di sog-giorno valido due anni, essendo lei che garantiva per loro; questa diffe-renza di trattamento, che all'interessata sembrava una bizzarria, è pre-scritta nella norma stessa, secondo la quale i lavoratori autonomi hanno diritto ad un permesso di soggiorno della durata di un anno, mentre i lavoratori dipendenti, anche se dipendono da quel lavoratore autono-mo, possono ottenerlo per due anni.
La signora in questione mi raccontava delle difficoltà burocratiche incontrate tutti gli anni per il rinnovo del suo permesso di soggiorno; essendo residente regolarmente in Italia da più di 6 anni, l'ho consiglia-ta immediaconsiglia-tamente di avviare la procedura per la 'carconsiglia-ta di soggiorno'; recatasi al suo commissariato di zona, ha scoperto di non possedere il requisito di reddito per il rinnovo del permesso di soggiorno o la carta di soggiorno. Possibile? Cos'era successo? Semplicemente che la signo-ra, avendo rilevato un'azienda 'decotta' aveva investito, nell'ultimo anno fiscale, nel suo risanamento, portando in detrazione dai suoi redditi, nella dichiarazione fiscale, quanto investito. Ciò l'aveva portata, da un punto di vista formale, al di sotto del minimo reddito individuale neces-sario per ottenere il rinnovo del permesso. Aveva un cattivo commer-cialista? Forse.
Quello che appare è che ad un imprenditore immigrato non viene con-sentito in pratica di fare quello che viene concon-sentito ad un imprendito-re nazionale e che è uso comune, positivo e giusto, in tutti i paesi in cui l'imprenditoria è valorizzata, cioè rendere gli investimenti fatti detraibi-li dai suoi redditi, avendo avuto un reddito effettivo positivo. Evidentemente l'uso burocratico è di leggere soltanto l'ultimo rigo della dichiarazione dei redditi di imposta, per cui non è importante che ci sia un reddito positivo, e che si paghino degli stipendi a dei dipendenti, è importante che il reddito positivo sottratte le detrazioni sia superiore ad una certa cifra, altrimenti non si rinnova il permesso di soggiorno. Non sono in grado di dirvi come si sia risolto il caso, che ho voluto rac-contarvi come esempio di come, se vogliamo parlare di immigrazione
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Immigrazione di qualità di qualità, dobbiamo fare i conti non soltanto con le norme, ma anche con gli usi applicativi che a queste norme ed alla loro intelligenza trop-pe volte fanno violenza.
Ritengo che sarebbe opportuno che sui temi affrontati oggi il dibattito non si spenga, rimanga attivo, perché credo che il nostro paese abbia veramente bisogno di immigrazione di qualità, ma anche di una rispo-sta di qualità delle istituzioni a questo tipo di esigenza.
Nel corso degli ultimi anni è stata data maggiore attenzione alla partecipazione del cittadino e delle organizzazioni della società nell'elaborazione delle decisioni della pubbliche amministrazioni.
Uno degli strumenti di maggior rilievo di questa partecipazione è rappresentato dalla consultazione dei portatori di interesse in ordine all'oggetto della decisione da adottare. Il diffondersi di questa prassi prefigura, pertanto, il passaggio ad una nuova filosofia di amministrazione, dove l'asse si sposta dalla autoritatività delle decisioni alla loro concertazione e condivisione.
Il seminario ha tracciato il punto della situazione nell’attuale scenario e si è parti-colarmente concentrato sullo specifico caso delle consultazioni effettuate dalle ammi-nistrazioni indipendenti (c.d. Authority), rispetto alle quali la consultazione dei destinatari delle decisioni può essere vista come una nuova forma di legittimazione politica, alternativa a quella tradizionale, fondata sulla rappresentatività. Le qualifiche attribuite ai partecipanti fanno riferimento alla data del seminario.