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nell’Unione Sovietica (1917-1991)

Nel documento DELLE FORZE ARMATE (pagine 85-93)

Con il rovesciamento avvenuto nell’ottobre 1917 del “go-verno provvisorio”, che nel febbraio dello stesso anno si era sostituito al regime zarista crollato in seguito alle proteste po-polari sorte a causa della cattiva gestione della guerra da parte dell’esecutivo imperiale, le forze rivoluzionarie assunsero il potere nel territorio dell’ex Impero russo.

Formata ufficialmente nel 1922, l’Unione Sovietica, nel corso della sua storia, è stata retta da tre testi costi-tuzionali approvati tra il 1924 e il 1977, rispettivamente la “Prima costituzione federale dell’Unione Sovietica”

redatta il 31 gennaio 1924 nella quale ancora si evidenziavano le tendenze universalistiche della rivoluzione, cui seguirono la “Seconda costituzione dell’Unione Sovietica”, varata il 25 novembre 1936 da Stalin, in cui si sanciva la realizzazione degli obiettivi dello Stato socialista e poi la “Terza costituzione dell’Unione Sovietica”, approvata il 7 ottobre 1977 durante l’era Brezhnev, dove si dichiarava come il paese fosse arrivato a uno Stato di “socialismo avanzato” in attesa di giungere all’effettiva “società comunista”.

E quindi opportuno descrivere il funzionamento della struttura costituzionale e politica sovietica proprio per meglio comprendere il suo sistema di comando militare. La Costituzione sovietica del 1977 fissava alcuni principi guida dell’ordinamento dello Stato i quali erano espressi in diversi articoli del testo costituzionale. Tra questi, all’art. 2 si enunciava il “principio dell’unità del potere statale” in base al quale, a ogni livello, tutto il potere era conferito al “Soviet”, all’art. 3 invece, quello del “centralismo democratico”, per cui gli organi elettivi inferiori erano subordinati alle decisioni prese da quelli posti in posizione più elevata, e infine all’art. 6 dove si affermava il principio della preminente funzione direttiva attribuita al Partito Comunista (PCUS) il quale costituiva la forza incaricata di dirigere la società sovietica. Uno dei tratti salienti dell’assetto costituzionale dell’Unione Sovietica era proprio la “sovrapposizione” tra la struttura istituzionale dello Stato e quella del Partito Comunista che, pro-prio al suo ruolo politico egemone, veniva a controllare tutti gli organismi del sistema. Formalmente, al vertice della struttura vi era posto il “Soviet Supremo dell’Unione Sovietica” che rappresentava l’organo più importante ed era suddiviso in due camere, il “Soviet dell’Unione”, eletto ogni quattro anni a suffragio universale, e il “Soviet delle Nazionalità” che si componeva dei delegati designati da ognuna delle quindici “Repubbliche Socialiste So-vietiche (RSS) e dalle venti “Repubbliche Socialiste SoSo-vietiche Autonome” (RSSA), nonché da quelli delle “Re-gioni Autonome” e dei “Circondari Nazionali”. Al “Soviet Supremo dell’Unione Sovietica” spettava il compito di approvare le leggi, designare il Consiglio dei ministri ed eleggere i giudici della Corte suprema (108), il Pro-curatore generale, unitamente ai componenti del “Praesidium del Soviet Supremo” il quale, pur essendo formal-mente responsabile davanti al “Soviet Supremo”, per le sue funzioni veniva a costituire l’organo più importante della struttura statale sovietica.

Difatti, dato che il “Soviet Supremo” era, di fatto, solo un organo chiamato a ratificare le decisioni prese dal PCUS e quindi non era convocato per lunghi periodi di tempo, quando questo non si trovava in sessione, le sue funzioni venivano esercitate proprio dal “Praesidium” il cui Presidente esercitava le funzioni di capo di Stato dell’Unione Sovietica disponendo anche di tutta una serie di prerogative formali. Riguardo al potere esecutivo, l’organo posto in posizione più elevata era il Consiglio dei ministri, il cui Presidente era indicato dal “Soviet Su-premo” e aveva l’incarico di designare i membri del governo i quali avrebbero poi ricevuto l’approvazione di quest’ultimo. L’Unione Sovietica era uno Stato di tipo federale suddiviso in quindici “Repubbliche Socialiste Sovietiche”, venti “Repubbliche Autonome” — sedici delle quali si trovavamo all’interno della RSFS (Repubblica Socialista Federativa Sovietica) russa, due nella Georgia e una rispettivamente nell’Azerbaigian e nell’Uzbekistan

— sette “Province Autonome” e dieci “Circondari Nazionali”, quest’ultimi situati tutti all’interno della RSFS russa (109). Ognuna delle prime due entità statali disponeva di una propria Costituzione il cui testo doveva essere approvato dal governo nazionale con un’organizzazione che doveva riprendere i principi di quella degli organi statali centrali. Questa aveva al vertice un “Soviet Supremo” unicamerale eletto a suffragio universale ogni due anni e mezzo e che a sua volta designava i componenti del “Preaesidium” unitamente al Presidente del Consiglio dei ministri e agli altri ministri del governo. Ma la particolarità del sistema istituzionale sovietico stava appunto nella sovrapposizione esistente tra la struttura costituzionale statale e quella del Partito Comunista, il quale di-sponeva di un ruolo politico e sociale egemone, dato che, come fissato dall’art. 100 della Costituzione, il compito di presentare le candidature per i deputati spettava solo al PCUS, ai sindacati, all’organizzazione giovanile del

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partito (Komsomol) e a tutte le altre associazioni collegate. In questo modo gli elettori, al momento delle elezioni, si trovavano sulla scheda il nome di un solo candidato il quale, non essendo il voto né libero né segreto, veniva a ricevere un’approvazione unanime (110).

Inoltre, tutte le alte cariche dello Stato erano effettivamente proposte dal PCUS con nominativi tratti da elenchi redatti dallo stesso partito che li teneva continuamente aggiornati. In base allo statuto organizzativo del partito, questo era strutturato con un sistema piramidale, dove solo gli organismi al livello più basso, quali le “Sezioni”

e le “Unità”, risultavano eletti dagli iscritti, mentre per quelli in posizione immediatamente superiore, a partire dalle “Conferenze di Distretto”, le regole prevedevano che questi provvedessero a designare i rappresentanti delle assemblee di importanza più elevata fino ad arrivare al “Congresso del PCUS” che ne costituiva la struttura di grado più alta.

Questo, a sua volta designava un “Comitato Centrale” il quale nominava sia l’“Ufficio politico” (Politburo) che il “Segretariato” al vertice del quale vi era il “Segretario generale” che, di conseguenza, costituiva la figura più importante dell’intera struttura politica sovietica (111). Difatti, tutte le decisioni riguardanti la politica e l’eco-nomia erano prese all’interno degli organi direttivi del PCUS e poi in seguito trasmesse per l’approvazione ai

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Sopra, e nell’immagine delle pagine successive: schieramenti di reparti dell’Esercito russo.

petenti organi statali, mentre non di rado, quelle più im-portanti erano delineate in riunioni congiunte tra il “Co-mitato Centrale” del Partito Comunista, il Consiglio dei ministri e il “Praesidium del Soviet Supremo” (112).

L’assetto costituzionale sovietico, dopo l’arrivo di Michail Gorbačëv al vertice del PCUS, andava incontro nel 1989 a una ristrutturazione in base alla quale era istituito un “Congresso dei deputati del popolo del-l’Unione Sovietica” composto da 2.250 membri eletti direttamente dai cittadini che avrebbero poi designato i 542 deputati del “Soviet Supremo” cui sarebbe spettato il compito di eleggere il Presidente dell’Unione Sovie-tica (113). Secondo le intenzioni di Gorbačëv, raffor-zando il ruolo presidenziale questo sarebbe stato dotato di prerogative e poteri ben più ampi di quelli largamente cerimoniali attribuiti al Presidente del “Praesidium” che esercitava le funzioni di capo dello Stato, mentre con la riforma il “Soviet Supremo” si sarebbe trasformato in un’Assemblea legislativa permanente e il “Soviet delle Nazionalità” avrebbe così dato più spazio agli interessi delle varie componenti della Federazione in modo da ri-durne le spinte separatiste e indipendentiste (114). E il particolare assetto istituzionale sovietico, con la sua in-tersezione tra gli organismi statali e quelli del Partito Comunista, si rifletteva anche nella struttura di comando dell’apparato militare.

In base al dettato costituzionale, il controllo delle Forze armate era attribuito sia al Partito Comunista sia ai due organi dello Stato più importanti, il “Praesidium del Soviet Supremo” e il Consiglio dei ministri. Sul piano effettivo però era il PCUS a esercitare il controllo sull’apparato militare, dato che le più importanti deci-sioni riguardanti la difesa nazionale erano prese dal

“Politburo”, mentre la posizione preminente del Partito Comunista veniva poi rafforzata dal ruolo del “Consiglio di difesa”, il quale era composto dai più alti esponenti politici, militari e del PCUS, e a cui spettava inoltre il com-pito di fissare le linee guida della difesa nazionale (115). E dato che il “Consiglio di difesa” era presieduto dal

“Segretario generale” del PCUS, questo veniva quindi a ricoprire il ruolo di “Comandante in capo” delle Forze armate sovietiche.

Immediatamente posto sotto il “Consiglio di difesa” si situava poi il “Consiglio militare del ministero della Di-fesa” alla cui guida vi era il ministro della Difesa, e al quale prendevano parte anche il “capo dello Stato Maggiore”

e il comandante delle Forze del “Patto di Varsavia”, che serviva come organo consultivo incaricato in tempo di pace di pianificare la strategia delle Forze armate (116). In caso di guerra, il “Consiglio di difesa” si sarebbe tra-sformato nell’“Alto comando supremo” (VGK), il quale sarebbe stato guidato dal “Segretario generale” del PCUS che avrebbe quindi assunto le funzioni di “Supremo Comandante in capo”. E in questa situazione lo stesso

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gretario generale” avrebbe diretto il “Comando centrale generale” (Stavka) dell’“Alto comando supremo” che avrebbe avuto il compito di dirigere e pianificare le operazioni militari.

Con ogni probabilità poi, nell’eventualità di un conflitto, i dirigenti sovietici avrebbero anche reinsediato il “Co-mitato per la difesa dello Stato”, un organismo già operativo nel Secondo conflitto mondiale, del quale avrebbero fatto parte i membri più importanti del “Politburo” e cui sarebbe spettato il compito di coordinare l’intera organiz-zazione bellica (117). Per mantenere il controllo sull’apparato militare, il Partito Comunista disponeva inoltre del

“Direttorato politico per l’Esercito e la Marina sovietica” il quale era incaricato di assicurarsi che le Forze armate seguissero le direttive emanante dal PCUS nonché di dirigere l’attività degli “ufficiali politici” presenti nelle diverse unità cui spettava il compito di indottrinare e di controllare che il personale fosse politicamente allineato (118).

E sempre al PCUS competeva, poi, assegnare le risorse finanziarie per la difesa, proporre le designazioni per gli ufficiali e i vertici militari unitamente alla determinazione della dottrina che poi lo Stato Maggiore avrebbe

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avuto il compito di mettere in pratica. Sul piano amministrativo, la gestione dell’apparato militare spettava invece al ministero della Difesa, il quale era incaricato del reclutamento, dell’equipaggiamento dei reparti e dello svi-luppo delle strategie nonché di assicurare che le Forze armate fossero politicamente fedeli e allineate al PCUS.

Dal lato organizzativo, il ministro della Difesa era affiancato da tre primi vice Ministri e da undici vice Ministri, cinque dei quali erano rappresentati dai Comandanti dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, delle Forze di difesa antiaerea e delle Forze missilistiche strategiche. All’interno del ministero della Difesa, l’organo più im-portante era costituito dallo “Stato Maggiore”, il quale in tempo di pace aveva la funzione di pianificare le strategie militari da sottoporre al “Consiglio di difesa” nonché di assicurare che le Forze armate fossero sempre al più alto grado di efficienza, mentre in tempo di guerra gli sarebbe spettato il compito di rendere operativi gli ordini e le direttive impartite dall’“Alto comando supremo” (119). Composto di alti ufficiali selezionati direttamente dal

“Dipartimento degli organi amministrativi” del PCUS proprio per il prestigio e l’importanza del loro incarico, lo “Stato Maggiore” era diretto da una personalità dotata di prerogative maggiori rispetto a quelle attribuite al suo omologo statunitense, dato che il “capo di Stato Maggiore” sovietico occupava la seconda posizione più im-portante dietro al comandante delle Forze armate ed era autorizzato a impartire, in suo nome, gli ordini alle di-verse unità militari (120).

Tuttavia, nonostante l’importanza e la considerazione che i militari ricoprivano nell’apparato statale, si può co-munque affermare come in Unione Sovietica il controllo delle Forze armate sia stato sempre nelle mani delle au-torità civili, dato che i dirigenti del PCUS in più occasioni hanno provveduto a rimuovere alti ufficiali la cui condotta era ritenuta inaccettabile oppure perché considerati un potenziale rischio politico per il sistema (121). Più sfumata si presentava la questione in merito al potere decisionale sull’uso della forza nucleare sovietica. Anche se ufficial-mente nessuna indicazione in proposito era riportata nei documenti ufficiali o nella stessa Costituzione sovietica;

era opinione degli analisti che quest’autorità spettasse al “Politburo” del PCUS. Ed essendo l’organo guidato dal

“Segretario generale” del Partito Comunista, era quindi a quest’ultimo che era attribuito il potere decisionale di utilizzo (122). Il quadro divenne più complesso però quando, a metà degli anni Ottanta, durante l’era di Yuri An-dropov, il regime sovietico decise di dotare le personalità poste al vertice della struttura istituzionale e dell’apparato militare di una “valigetta” con cui decidere l’uso della forza nucleare. Creato nel timore che in caso di un attacco non vi fosse il tempo necessario per attuare una risposta, questo sistema prevedeva che la “Cheget” — come è de-nominata la “valigetta” nucleare —, fosse in possesso del “Segretario generale” del PCUS, del ministro della Difesa e del “capo di Stato Maggiore” e avesse un particolare sistema per procedere all’autorizzazione del lancio delle testate. In caso di attivazione, la procedura stabiliva che il “Segretario generale” e il ministro della Difesa inviassero i codici per mezzo di un apposito sistema di comunicazione che li avrebbe convalidati e poi trasmessi a un altro di-spositivo dove questi sarebbero stati integrati con quelli digitati dal “capo di Stato Maggiore” e successivamente indirizzati ai comandi delle Forze strategiche per procedere al lancio (123).

E in caso di emergenza, il governo sovietico, negli anni Ottanta, aveva anche programmato un dispositivo per consentire alla forza nucleare di attivarsi in maniera semi automatica. Nell’imminenza di un attacco nucleare, i vertici del regime si sarebbero trovati, infatti, davanti a tre opzioni quali, o lanciare un attacco preventivo contro gli Stati Uniti o rispondere nel momento in cui il lancio dei missili sarebbe stato confermato oppure decidere un contrattacco di rappresaglia dopo che le testate statunitense avrebbero raggiunto e colpito il territorio sovietico.

Ma nell’eventualità che la leadership del regime fosse stata eliminata da un “decapitation strike” con un lancio attuato da un sommergibile oppure che il segretario generale del PCUS, Konstantin Chernenko, fosse stato im-possibilitato a prendere una decisione date le sue cattive condizioni di salute, nessuno sarebbe stato in grado di impartire l’ordine di contrattaccare. E in questa eventualità il controllo sarebbe passato a un apparato semi au-tomatico che avrebbe assicurato la risposta. Denominato “Perimetr”, con questo sistema, nell’imminenza di una crisi, i dirigenti sovietici potevano trasmettere le funzioni a un gruppo di alti ufficiali installati all’interno di un

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bunker ultra protetto. Così, se i vertici del regime fossero stati impossibilitati a trasmettere e a ricevere ogni co-municazione, una volta che i sistemi d’avvistamento avessero confermato l’attacco, con un apposito ordine im-partito si sarebbero attivati dei missili dotati di radio sensori i quali avrebbero trasmesso degli appositi segnali agli ICBM rimasti in funzione per consentirne il lancio contro gli Stati Uniti (124). Un discorso a parte va fatto poi per l’apparato di sicurezza interna che ricopriva un ruolo primario nel sistema di governo sovietico. Con una lunga storia di polizie segrete che in Russia pre-datavano l’era sovietica e risalivano al regime zarista, il governo bolscevico, fin dall’inizio, avviò la costruzione di una forte struttura incaricata dell’ordine interno, la quale si di-mostrerà da subito assai più efficiente di quella attiva durante l’era imperiale.

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LA CATENA DI COMANDO MILITARE IN URSS IN TEMPO DI PACE

LA CATENA DI COMANDO MILITARE IN URSS IN TEMPO DI GUERRA

Tralasciando una descrizione dettagliata delle diverse Forze di polizia presenti dal momento dell’instaurazione del regime sovietico alla sua dissoluzione, la formazione dell’apparato di ordine pubblico e di sicurezza interna nella struttura rimasta in funzione fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica si può far risalire all’era Kruscev, quando il nuovo “Segretario generale” del PCUS avviò un ampio programma di riforme per riorganizzare l’apparato formato durante l’era staliniana. Seguendo la relazione dell’allora ministro dell’Interno, Kruglov, in cui si affermava come la struttura del dicastero non fosse in grado di fornire un’adeguata attività di sicurezza, veniva quindi istituita una “Commissione per la sicurezza di Stato” — ovvero il “KGB” — all’interno del Consiglio dei ministri, la quale era organizzata in dieci direttorati e incaricata del controspionaggio, del controllo dei cittadini sovietici e della protezione dei quadri dirigenti dell’apparato statale e del PCUS, svolgendo quindi sia un’attività di polizia politica che d’intelligence. L’ampiezza dei poteri del KGB si è modificata nel corso degli anni, passando dal disporre di prerogative relativamente più circoscritte e con un’azione repressiva più moderata come avvenne durante l’era Kruscev, ad avere al contrario, un ruolo più ampio negli anni di Brezhnev, quando le sue funzioni investigative vennero ampliate fino a includere alcuni reati di natura economica e la sua azione contro la dissidenza interna sen-sibilmente rafforzata, tanto che anche sul piano istituzionale venne stabilito che il capo del KGB diventasse di diritto membro del Consiglio dei ministri. E questo ruolo preminente del KGB nella repressione interna fu ribadito, dopo la scomparsa di Brezhnev, sia dal suo successore Yuri Andropov, il quale si servì dei documenti dell’agenzia per eliminare gli elementi brezneviani all’interno del PCUS, che da Konstantin Chernenko, il quale ricoprì la carica di “Segretario generale” dal 1984 al 1985. Più complessi furono invece i rapporti durante l’era Gorbačëv, dato che prima questo si appoggiò al KGB per portare avanti la lotta alla corruzione, ma poi si trovò a fronteggiarne l’aperta ostilità quando decise di procedere nel programma di aperture e di democratizzazione del regime, dato che i vertici avevano apertamente espresso la loro opposizione alle riforme.

Guidato da una personalità formalmente nominata dal “Soviet Supremo” ma effettivamente scelta dal “Polit-buro”, il KGB istituzionalmente era posto sotto l’autorità del Consiglio dei ministri ma in realtà era controllato

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Il presidente russo Vladimir Putin con il ministro della Difesa Sergei Shoigu (in primo piano) e il capo di Stato Maggiore delle Forze armate russe Valery Gerasimov, assistono alle esercitazioni militari di Vostok-2018

presso il campo di addestramento di Tsugol.

dal PCUS, che lo considerava uno strumento di fondamentale importanza per garantire la sicurezza e il controllo del paese. Dal lato organizzativo, dopo l’istituzione del “Comitato per la sicurezza di Stato” deciso appunto nel 1954, l’apparato di sicurezza interna era stato diviso con, da una parte il KGB e dall’altra il ministero degli Interni (MVD), che era stato fondato nel 1917 come “Commissariato del popolo per gli affari interni” (NKVD) e che nel corso degli anni andrà incontro a numerose riorganizzazioni e ridenominazioni. Sul piano delle competenze il mi-nistero degli Interni, dal quale dipendevano le normali Forze di polizia, era incaricato del mantenimento dell’ordine pubblico, del rilascio dei passaporti interni, dell’investigazione sui crimini comuni e della gestione del sistema pe-nitenziario, mentre sul piano politico il controllo del PCUS sul dicastero era esercitato attraverso il “Dipartimento legale” del “Segretariato” che era preposto alla selezione e valutazione del personale (125).

L’assetto istituzionale e il sistema di comando

Nel documento DELLE FORZE ARMATE (pagine 85-93)