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I termini per la proposizione dell’impugnazione

Nel documento Le impugnazioni in generale (pagine 96-103)

L’instaurazione della fase di impugnazione è retta dal principio della domanda, ragione per cui l’avvio dei segmenti processuali successivi al primo grado di giudizio richiede un’iniziativa della parte interessata, inequivocabilmente finalizzata a sottoporre a verifica l’esito dell’accertamento fino a quel momento compiuto.

«Nel concetto di impugnazione» – poneva in evidenza autorevolissima dottrina – «è implicita l’idea d’un atto volontario, con il quale l’interessato dichiari d’insorgere contro un determinato provvedimento affermandolo erroneo per motivi di fatto e di diritto, e chieda un nuovo giudizio per rimediare agli asseriti errori»352.

Escluso, dunque, qualsiasi automatismo nella movimentazione degli strumenti di controllo, diviene indispensabile «la fissazione di rigide scansioni temporali entro le quali attivare la procedura di gravame»353.

La disciplina generale delle impugnazioni, pertanto, compendia una stringente regolamentazione dei termini di impugnazione, stabiliti a pena di decadenza354 alla luce della connotazione di perentorietà conferita

dall’art. 585, co. 5 c.p.p. e l’inosservanza dei quali è, quindi, sanzionata mediante il ricorso all’inammissibilità (art. 591, co. 1 lett. c c.p.p.).

La soluzione legislativa prescelta è, però, abbastanza articolata e secondo alcuni autori finanche contorta355 dal momento che sia l’ampiezza, sia il

momento di decorrenza dei termini sono correlati a valutazioni di complessità effettuate sul piano astratto dal legislatore stesso e riferite al contenuto dell’atto da sottoporre a verifica, a sua volta diversamente stimato in ragione dei tempi di predisposizione del compendio motivazionale di esso.

La logica di un itinerario così articolato è evidente: «qualora si desideri che l’apertura della fase d’impugnazione non sia automatismo, indotto dalla logica del dum pendet, rendet, ma mossa riflettuta e responsabile della parte, occorre anche fornirle congrui tempi, appunto, di “riflessione”»356.

351 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 181.

352 Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, cit., 597.

353 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 183. Lo ribadisce, inoltre, Tranchina, Impugnazione (diritto

processuale penale), cit., 722.

354 «La decadenza» – osserva Tonini, Manuale di procedura penale, cit., 200 – «denota la perdita del

potere di porre un atto a causa del mancato compimento dello stesso entro un termine perentorio».

355 Valentini, I profili generali della facoltà di impugnare, cit., 250, la quale ricollega il risultato ottenuto dal

legislatore al motto: “chi troppo vuole, nulla stringe”.

Inoltre, al fine di assicurare che la parte interessata abbia una conoscenza effettiva e preventiva del dies a quo, il legislatore affida il sistema di decorrenza del termine ad un duplice schema: «uno semplificato, basato su una sequenza di atti e dati produttivi di effetti immediati e ispirati a “automatismo”; l’altro, che riproduce il meccanismo del codice previgente, fondato su una sequenza formale di atti, di impulso giudiziario, dal cui positivo esito vengono fatti derivare gli effetti utili per il decorso del termine di impugnazione»357.

Come è noto, l’art. 544 c.p.p. predispone una pluralità di itinerari per la redazione della motivazione della sentenza, caratterizzati da scansioni cronologiche diversificate e, in ogni caso, fisse358.

La regola generale – per lo più rimasta priva di effettivi ambiti attuativi e, quindi, ridotta dalla prassi al rango di “buon consiglio” ovvero, come si è anche detto, di “pia speranza”359 – sancisce un principio di contestualità in virtù

del quale, conclusa la deliberazione, il giudice deve redigere e sottoscrivere il dispositivo e, subito dopo, provvedere alla redazione della motivazione (art. 544, co. 1 c.p.p.).

Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, soggiunge l’art. 544, co. 2 c.p.p. ed in ciò delineando una situazione (più che) ricorrente nella pratica, vi si deve provvedere non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia.

La stesura di compendi motivazionali particolarmente complessi – la norma li vorrebbe così qualificabili in ragione del numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni oggetto del giudizio, ma la prassi (anche qui) consente generici riferimenti alla complessità anche rispetto ai processi mono-soggettivi ed in assenza di plurime imputazioni – e tali da rendere inesigibile l’osservanza del termine stabilito dalla legge consente al giudice, infine, di indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia (art. 544, co. 3 c.p.p.).

Con una disposizione introdotta dall’art. 4, d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv. con mod. in l. 19 gennaio 2001, n. 4, e chiaramente finalizzata ad evitare la scarcerazione di detenuti particolarmente pericolosi per effetto della decorrenza dei termini di custodia cautelare, l’art. 533 c.p.p. è stato integrato mediante la previsione, contenuta nel nuovo co. 3-bis, secondo cui quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all’art. 407, co. 2 lett. a) c.p.p., anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo

357 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 185.

358 Esso, sottolinea Spangher, Impugnazioni penali, cit., 227, «è finalizzato ad evitare adempimenti onerosi

alle cancellerie ed a ridurre i tempi morti della fase di passaggio del processo da un grado all’altro».

stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà.

In relazione a siffatta ipotesi, l’art. 544, co. 3-bis c.p.p., anche esso introdotto dal sopra menzionato decreto legge, prevede che il giudice provvede alla stesura della motivazione per ciascuno dei procedimenti separati, accordando precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare e il termine di cui al comma precedente è raddoppiato per la motivazione della sentenza cui non si è accordata precedenza.

L’art. 4, d.l. 24 novembre 2000, n. 341 ha modificato, inoltre, l’art. 154 disp. att. c.p.p., introducendo un co. 4-bis ai sensi del quale il presidente del tribunale in relazione ai giudizi di primo grado ed il presidente della corte d’appello negli altri casi possono prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione e con provvedimento di cui è data comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, i termini previsti dall’art. 544, co. 3 c.p.p. per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi.

Immediatamente dopo la pubblicazione ai sensi dell’art. 545, co. 1 c.p.p. – nel caso di redazione contestuale della motivazione, la cui lettura (ovvero esposizione sintetica) deve seguire a quella del dispositivo – ovvero entro i termini previsti dall’art. 544, co. 2, 3 e 3-bis c.p.p., la sentenza – già pubblicata, quindi, con la lettura del dispositivo in udienza e successivamente corredata della motivazione – deve essere depositata in cancelleria (art. 548 c.p.p.), di modo che divenga disponibile alle parti ed ai difensori per ogni valutazione circa la proposizione di eventuali mezzi di gravame.

Come può notarsi, l’articolazione cronologica appena descritta si basa sul una valutazione di complessità della motivazione da redigere, la quale non può che essere rimessa al giudice – unico soggetto in grado di diagnosticare il grado di problematicità che l’esame degli atti processuali pone – e proietta i propri effetti in termini di relazione univoca sull’estensione del termine per proporre la correlata impugnazione e, prima ancora, sull’individuazione del dies a quo.

L’art. 585, co. 2 lett. b) c.p.p. stabilisce, difatti, che quando la motivazione è redatta contestualmente con il dispositivo (e, dunque, letta ai sensi dell’art. 545, co. 2 c.p.p.) il termine per proporre impugnazione decorre, per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio sebbene non siano state presenti alla lettura, dalla lettura del provvedimento in udienza, adempimento che, precisa infatti l’art. 545, co. 3 c.p.p., equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all’udienza.

Nelle ipotesi ulteriori prese in esame dall’art. 544 c.p.p. – le quali, per quanto detto, implicano una scissione cronologica tra il momento della pubblicazione e quello del deposito – il termine per impugnare, statuisce l’art. 585, co. 2 lett. c) c.p.p., decorre dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza, di talché è del tutto irrilevante la data di effettivo ed anticipato deposito del provvedimento360.

Il carattere ordinatorio dei termini compendiati dall’art. 544 c.p.p. per il deposito della sentenza361 ne rende processualmente ininfluente l’inutile

decorrenza, di talché la prassi ha (ancora una volta) finito per conoscere frequenti casi di inosservanza di essi.

Al fine di evitare il prodursi di situazioni di incertezza suscettibili di incidere sulla tutela di diritti fondamentali, il legislatore, attraverso la norma contenuta nell’art. 548, co. 2 c.p.p., ha predisposto rispetto a siffatte ipotesi362 un

meccanismo comunicativo incentrato sull’istituto dell’avviso, il quale afferisce al deposito della sentenza ed ha come destinatari il pubblico ministero, le parti private cui spetta il diritto di impugnazione e chi risulta difensore dell’imputato al momento del deposito della sentenza.

Un difetto di coordinamento tra l’art. 544, co. 2 c.p.p. – il quale, nella versione antecedente alla modifica operata dall’art. 6, d.l.1 marzo 1991, n. 60 conv. in l. 23 aprile 1991, n. 133, prevedeva quale termine per il deposito della sentenza quello di trenta giorni – e l’art. 548, co. 2 c.p.p. – norma che, non modificata dall’atto normativo citato, continua ad indicare in trenta giorni il termine decorso il quale diviene obbligatoria la notificazione dell’avviso di deposito – aveva determinato una evidente incongruenza formale e, conseguentemente, notevoli incertezze soprattutto in ordine alla necessità dell’avviso di deposito alle parti per le sentenze depositate oltre il quindicesimo, ma non oltre il trentesimo giorno dalla pronuncia.

Esse, però, sono state superate dall’univoco indirizzo interpretativo adottato dalla Corte di cassazione, la quale, analizzando la vicenda legislativa da cui sono derivati sia la nuova formulazione dell’art. 544, co. 2 c.p.p. che il mancato coordinamento di tale disposizione con l’art. 548 c.p.p. ed operando una ricostruzione sistematica della normativa in questione, è giunta alla conclusione che anche la seconda disposizione deve ritenersi modificata in

360 Cass. pen., Sez. III, 15 aprile 2002, n. 24841.

361 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 186. Merita di essere evidenziato che, secondo la

giurisprudenza, il termine per la redazione della sentenza di cui all’art. 544 c.p.p. non è soggetto alla sospensione nel periodo feriale prevista dall’art. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742, con la conseguenza che, ove venga a cadere in detto periodo, l’ulteriore termine per proporre impugnazione comincia a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. V., in questi termini e per tutte, Cass. pen., Sez. un., 19 giugno 1996, Giacomini.

362 Si sarebbe dovuto trattare, rileva Spangher, Impugnazioni penali, cit., 226, di situazioni del tutto

conformità, nel senso che l’avviso di deposito deve essere effettuato quando la sentenza non è depositata entro il quindicesimo giorno, invece dell’originario trentesimo giorno363.

A prescindere dall’osservanza dei termini e dalla contestualità della motivazione (“in ogni caso”, specifica infatti l’art. 548, co. 3 c.p.p.) in ragione dell’estraneità all’ufficio giudiziario da cui promana il provvedimento, l’avviso di deposito con l’estratto della sentenza deve essere comunicato al procuratore generale presso la corte di appello, mentre l’eliminazione del processo contumaciale ad opera della l. 28 aprile 2014, n. 67 ha determinato l’abrogazione della previsione della notificazione all’imputato contumace e, correlativamente, il collegamento a siffatto adempimento della decorrenza del termine per impugnare (art. 585, co. 2 c.p.p.)364.

La medesima esigenza di garanzia sorregge la previsione di cui all’art. 128 c.p.p., secondo la quale, salvo quanto disposto dall’art. 424 c.p.p. per i provvedimenti emessi nell’udienza preliminare365 e dalle disposizioni

concernenti il dibattimento, gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione e, quando si tratta di provvedimenti impugnabili, l’avviso di deposito contenente l’indicazione del dispositivo è comunicato al pubblico ministero e notificato a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione.

In tutte le ipotesi prese in considerazione dalle disposizioni appena richiamate ed in linea con la funzione del meccanismo comunicativo escogitato dal legislatore, il termine per impugnare decorre dalla comunicazione ovvero notificazione degli avvisi.

Soffermando sull’ipotesi di proroga dei termini per la redazione della motivazione, disposta ai sensi dell’art. 154, co. 4-bis disp. att. c.p.p., la Corte di cassazione ha statuito che essa non comporta il prolungamento del periodo fissato per il deposito della sentenza, ragione per cuiil dies a quo dei termini di impugnazione coincide non già con la scadenza del termine stabilito per il

363 La predetta chiave interpretativa, prefigurata da C. cost., 30 luglio 1993, n. 364, è stata ribadita da Cass.

pen., Sez. un., 20 aprile 1994, Vigorito.

364 V., rispetto a siffatte correzioni normative, Santalucia, Il processo in absentia e il giudizio di appello, in

Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di Conti, Marandola, Varraso, Milano, 2014, 295.

365 Come chiarito da Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2002, Alterio, alle parti presenti nell’udienza

preliminare non deve essere dato avviso del deposito della sentenza di non luogo a procedere emessa a norma dell’art. 424 c.p.p., nel caso in cui la stessa, anziché contestualmente, sia motivata entro trenta giorni dalla pronuncia, di talché il termine di quindici giorni stabilito dall’art. 585, co. 1 lett. a) c.p.p. per l’impugnazione di tale sentenza decorre dalla scadenza del termine di trenta giorni stabilito dall’art. 424, co. 4 c.p.p., quando la motivazione sia depositata nello stesso termine. Rispetto alla sentenza emessa a conclusione del giudizio abbreviato v., invece, Cass. pen., Sez. un., 15 dicembre 1992, Cicero, la quale valorizza il richiamo contenuto nell’art. 422, co. 1 c.p.p. agli artt. 529 ss. c.p.p. per ritenere applicabili le decorrenze ed i termini stabiliti per l’impugnazione delle sentenze dibattimentali.

deposito aumentato del periodo prorogato, ma con la data di notificazione alle parti dell’avviso di deposito366.

A differente conclusione dovrebbe pervenirsi, invece, rispetto al caso di raddoppio del termine per la redazione di motivazioni “non prioritarie” previsto dall’art. 544, co. 3-bis c.p.p., costituendo il termine pari al doppio di quello indicato nel dispositivo un parametro legale di riferimento legato ad accadimenti processuali conosciuti dalle parti e non il prodotto di itinerari interni all’ufficio giudiziario Come si diceva, la complessità dell’attività valutativa preordinata al deposito della sentenza – e, dunque, l’ampiezza del termine che all’esplicazione di essa si correla – si proietta sugli ipotizzabili tempi della corrispondente attività preordinata alla predisposizione di un atto di impugnazione completo di motivi367, assimilandone le geometrie, anche se, è stato autorevolmente

specificato, le scelte del legislatore relativamente ai termini per proporre l’impugnazione nascono da ragioni composite e non soltanto dalla maggiore o minore complessità della decisione, dato che vengono in rilievo, altresì, l’ambito di efficacia della pronuncia e la necessaria celerità della procedura in relazione agli interessi coinvolti dalla statuizione368.

Infatti, l’art. 585, co. 1 c.p.p. coordina l’estensione del termine per proporre impugnazione al grado di complessità della motivazione desumibile dai tempi richiesti per il deposito della sentenza, di talché esso è, per ciascuna delle parti, di quindici giorni per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall’art. 544, co. 1 c.p.p., di trenta giorni nel caso previsto dall’art. 544, co. 2 c.p.p.369 e di quarantacinque giorni

nell’ipotesi considerata dall’art. 544, co. 3 c.p.p.

Rispetto alla prima ipotesi, la Corte di cassazione ha adottato un approccio opportunamente rigido alla lettura della norma370, precisando in primo luogo

che nel caso in cui la motivazione sia depositata lo stesso giorno della lettura del dispositivo, non opera in relazione ai termini per impugnare la previsione della lettura contestuale di dispositivo e motivazione371.

366 Cass. pen., Sez. II, 21 ottobre 2005, n. 1514. 367 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 186.

368 C. cost., 27 giugno 1997, n. 206, con la quale è stata ritenuta infondata la questione di legittimità

costituzionale relativa all’art. 585, co. 1 lett. a) c.p.p., sollevata in riferimento agli art. 3 e 112 Cost., nella parte in cui prevede quale termine per proporre appello avverso le sentenze di non luogo a procedere quello di quindici giorni.

369 Cass. pen., Sez. un., 30 aprile 1997, Bianco, ha chiarito che qualora il giudice ritardi il deposito della

motivazione della sentenza, senza aver preventivamente indicato un termine nel dispositivo letto in udienza, ai sensi dell’art. 544, co. 3 c.p.p. il termine di impugnazione è quello di trenta giorni previsto dall’art. 585, co. 1 lett. b) c.p.p., decorrente dalla data di notificazione o di comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza.

370 Evidenzia la correttezza e le ragioni di opportunità di un siffatto approccio, in dottrina, Marandola, Le

disposizioni generali, cit., 187.

Inoltre, ha chiarito che una semplice “comunicazione” della contestualità della motivazione, non seguita dalla lettura della stessa, non consente la decorrenza del termine previsto dall’art. 585 c.p.p. per l’impugnazione, occorrendo a tal fine almeno una esposizione riassuntiva della motivazione stessa, così da porre l’imputato nella condizione di fare una prima sommaria valutazione sulle proprie convenienze372.

In ordine al profilo afferente alla prova del requisito della contestualità, la giurisprudenza ha statuito che, derivando da tale evento il decorso del termine utile per proporre impugnazione, la lettura del dispositivo e della motivazione deve risultare con certezza dagli atti e, a tal fine, può ritenersi provata con certezza solo nel caso in cui il dato processuale risulti dal dispositivo e dal verbale di udienza, non essendo sufficiente la mera indicazione della contestualità della motivazione riportata nel frontespizio della sentenza373.

Relativamente alle ipotesi in cui vengano osservati i termini per il deposito della sentenza previsti dall’art. 544 c.p.p. si è correttamente stabilito che non spetta al difensore l’avviso di deposito della sentenza e questo a prescindere dalla personale presenza o meno del difensore di fiducia all’udienza di decisione del giudizio in quanto costui, conoscendo o potendo conoscere rapidamente il giorno ed il tenore del dispositivo della decisione, può determinare con certezza la decorrenza ed il termine per la proposizione dell’impugnazione374.

Il riferimento del sistema informativo tipico ai soli casi di inosservanza dei termini, con esclusione, quindi, delle ipotesi in cui il deposito della sentenza non sia contestuale alla lettura del dispositivo ma comunque tempestivo, ha dato luogo a dubbi sul versante della legittimità costituzionale che, però, sono stati ritenuti infondati dalla Corte di cassazione.

Secondo il Giudice di legittimità, infatti, la norma, fissando la decorrenza del termine per la proposizione del gravame alla scadenza di quello fissato dalla legge o indicato dal giudice per il deposito della sentenza, assegna alle parti uno spazio temporale sicuro ed agevolmente calcolabile nel dies a quo e nella durata e non ostacola, pertanto, l’esercizio del diritto di impugnazione. Né può ravvisarsi un’irragionevole disparità di trattamento fra le predette ipotesi e quelle in cui è invece previsto l’avviso di deposito, trattandosi di situazioni diverse che comportano necessariamente una differente disciplina alla luce della considerazione che il mancato deposito della sentenza nel tempo stabilito rende incerto il dies a quo per la proposizione dell’impugnazione e ben più gravoso l’esercizio del diritto di difesa rispetto al caso opposto, in cui la parte ha la piena conoscenza dell’inizio della decorrenza di detto termine375. 372 Cass. pen., Sez. VI, 27 maggio 2003, n. 31754.

373 Cass. pen., Sez. I, 16 marzo 2001, n. 16723. 374 Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2002, n. 42753. 375 Cass. pen., Sez. II, 23 gennaio 1997, n. 4702.

Le disposizioni concernenti i termini per l’impugnazione operano anche rispetto ai provvedimenti abnormi, ma il termine per proporre ricorso per cassazione decorre dal momento in cui l’interessato ne abbia avuto effettiva conoscenza, momento che, in difetto di prova contraria, va identificato in quello indicato dal ricorrente376.

L’unica eccezione può individuarsi nel gravame proposto avverso provvedimenti affetti da anomalia genetica così radicale da determinarne l’inesistenza materiale o giuridica dell’atto377: essi, infatti, può essere rilevata

dal giudice in qualsiasi momento e, quindi, anche dopo la formazione di un (apparente) giudicato378.

In ogni caso, stabilendo un principio di unitarietà del termine per impugnare ispirato al favor impugnationis379, l’art. 585, co. 3 c.p.p. prevede che quando la

decorrenza è diversa per l’imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo.

12. LE dIsPOsIZIONI GENERALI RELAtIvE AI PROvvEdIMENtI

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