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Il rapporto tra inammissibilità e declaratoria delle cause d

Nel documento Le impugnazioni in generale (pagine 123-126)

14. L’inammissibilità e la rinuncia all’impugnazione

14.1. Il rapporto tra inammissibilità e declaratoria delle cause d

È noto che sotto il vigore del codice di procedura penale precedente il problema dei rapporti tra l’inammissibilità dell’impugnazione e la declaratoria delle cause di non punibilità – ambito, questo, estremamente delicato «poiché si tratta di stabilire se il giudice dell’impugnazione, che si renda conto del contemporaneo ricorrere di una causa d’inammissibilità dell’impugnazione e di una causa di non punibilità, sia tenuto a dichiarare l’inammissibilità o debba, invece, emettere la declaratoria di proscioglimento»487 – era stato

affrontato attraverso il fondamentale riferimento alla distinzione tra cause originarie e cause sopravvenute di inammissibilità, distinzione a sua volta resa particolarmente agevole dalla scissione, prevista dalla disciplina processuale dell’epoca, tra dichiarazione e motivi di impugnazione488.

482 Bargis, Impugnazioni, cit., 758. Compie un’analisi approfondita del fondamento dell’inoppugnabilità

dei provvedimenti della Corte di cassazione, anche in chiave storica e comparativistica, Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, cit., 4.

483 V., per l’affermazione del principio, Cass. pen., Sez. II (Ord.), 21 giugno 2018, n. 40139. Sull’istituto,

introdotto dalla l. 26 marzo 2001, n. 128, v. Conti, Le nuove norme sul giudizio in cassazione, in Processo penale: nuove norme sulla sicurezza dei cittadini (legge 26 marzo 2001, n. 128), a cura di Gaeta, Padova, 2001, 183; Dinacci, Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in Trattato di procedura penale, a cura di Spangher, V, Impugnazioni, Milanofiori Assago, 2009, 867; Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, cit., 109.

484 Cass. pen., Sez. I, 10 novembre 1992, Paglia.

485 Turco, L’impugnazione inammissibile. Uno studio introduttivo, cit., 84.

486 Fonti, L’inammissibilità degli atti processuali penali, cit., 121. Come precisato da Cass. pen., Sez. V, 4 marzo

2016, n. 9191, l’ordinanza dibattimentale con cui il giudice d’appello dichiara l’inammissibilità del gravame è impugnabile nel termine di quindici giorni decorrente, ex art. 585, co. 2 c.p.p. – per le parti da considerarsi presenti nel giudizio, ancorché non presenti alla lettura del provvedimento – dalla data della lettura di esso.

487 Fonti, L’inammissibilità degli atti processuali penali, Padova, 2008, 99.

488 Bargis, Impugnazioni, cit., 759; Nappi, Guida al codice di procedura penale, cit., 768. Analizza il

Con l’entrata in vigore del nuovo codice, era stato attento precursore delle problematiche che si sarebbero poste chi, in dottrina, aveva evidenziato come «[a]nche se la razionalizzazione delle procedure di controllo, conferendo le relative attribuzioni al solo giudice ad quem, è suscettibile di semplificare il novero delle questioni sottese al problema evidenziato, restano aperti gli interrogativi che si agitavano sotto il vecchio codice, riproponendo anche il ventaglio delle possibili soluzioni»489.

Ed infatti, benché si tratti di una tematica le cui implicazioni erano emerse in maniera evidente sotto la vigenza del codice abrogato, il legislatore della nuova codificazione non ha offerto una soluzione esplicita al riguardo, ragione per cui «anche attualmente la disciplina in esame si caratterizza per la contemporanea presenza di due norme che impongono al giudicante delle obbligatorie declaratorie dal contenuto antitetico senza stabilire alcun esplicito ordine di priorità tra le rispettive pronunce»490.

La giurisprudenza aveva adottato un orientamento proteso a superare la dicotomia tra cause di inammissibilità e, valorizzando la dinamica formativa del giudicato penale, aveva stabilito che dalla lettura coordinata degli artt. 648, co. 2 e 591, co. 2 c.p.p. emerge che, quando un’impugnazione diversa dalla revisione sia ammessa dall’ordinamento, la sentenza diventa automaticamente irrevocabile soltanto nel caso in cui non sia stata affatto proposta impugnazione, mentre in presenza d’impugnazione, anche se tardiva, il passaggio in giudicato si realizza soltanto allorché sia divenuto definitivo il provvedimento che dichiari inammissibile l’impugnazione.

Conseguentemente, fino alla formazione del giudicato il processo non può considerarsi concluso ed il giudice deve pronunciare, ricorrendone i presupposti, la sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.491.

Fermo restando che, nel contrasto di interessi che costituisce lo sfondo ideologico della questione, il riconoscimento della priorità della declaratoria di inammissibilità costituirebbe la soluzione più corretta da un punto di vista tecnico sebbene eccessivamente sacrificante della posizione dell’imputato, la necessità di ridimensionare il ricorso pretestuoso ai mezzi di gravame, costituendo l’orientamento sopra richiamato una comodo strumento per favorire la proposizione di gravami utili soltanto a provocare il maturare dei termini di prescrizione492,ha determinato la giurisprudenza a riconsiderare

dal ricorso per cassazione e declaratoria delle cause di non punibilità, in Dir. pen. e processo, 2002, 1101.

489 Spangher, Impugnazioni penali, cit., 232.

490 Fonti, L’inammissibilità degli atti processuali penali, cit., 100.

491 Cass. pen., Sez. VI, 8 novembre 2002, n. 37738. La pronuncia ricalca Cass. pen., Sez. I, 8 ottobre 1990,

Martino.

l’intera tematica, recuperando la distinzione tra cause di inammissibilità originarie – ossia inidonee a determinare l’instaurazione del giudizio di impugnazione – e sopravvenute.

Affermatosi, con il nuovo codice processuale, il principio di unicità dell’impugnazione è evidente che la distinzione stessa doveva trovare differenti dati fondativi, non potendo più la costruzione teorica reggersi sulla (oramai superata) scissione tra dichiarazione e motivi.

In una prima fase della sua elaborazione, quindi, la Corte di cassazione ha adottato una soluzione ermeneutica basata sul contenuto dell’art. 581 c.p.p., disposizione regolativa dei requisiti di forma dell’impugnazione.

Ha, così, stabilito che la mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., compreso quello della specificità dei motivi, rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità493.

In tali ipotesi si è in presenza, infatti, di una causa di inammissibilità dell’impugnazione di tipo originario, la quale impedisce di rilevare e dichiarare, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., eventuali cause di non punibilità, mentre nel caso in cui, viceversa, l’atto contenga tutti i requisiti previsti, esso è idoneo a produrre l’impulso necessario per originare il giudizio di impugnazione, con la conseguenza che le ulteriori cause di inammissibilità – ivi incluse quelle ricollegabili alla manifesta infondatezza dei motivi ovvero all’enunciazione di motivi di ricorso per cassazione non consentiti o non dedotti in appello, oltre che, ovviamente, l’ipotesi di rinuncia – sono da considerare sopravvenute e quindi non ostative all’operatività della disposizione dell’art. 129 c.p.p.494.

«A dire il vero» – si è fatto notare in chiave critica rispetto all’orientamento giurisprudenziale accolto dalle Sezioni unite – «se […] la genericità dei motivi è causa d’inammissibilità originaria dell’impugnazione, non si vede perché situazioni similari […] debbano ricevere un trattamento diverso, posto che i motivi sono inscindibili dalle richieste contenute nell’atto d’impugnazione»495. 493 Cass. pen., Sez. un., 11 novembre 1994, Cresci.

494 Cass. pen., Sez. un., 11 novembre 1994, Cresci. Negli stessi termini v., successivamente, Cass. pen.,

Sez. V, 29 novembre 2000, n. 4867. Nonché, con estrema chiarezza, Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 1998, n. 4171, la quale ha ribadito che la mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., compreso quello della specificità dei motivi, rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità. In tali ipotesi, infatti, si è in presenza di una causa di inammissibilità originaria del gravame, la quale impedisce di rilevare e dichiarare, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., eventuali cause di non punibilità.

495 Bargis, Impugnazioni, cit., 760. V., in senso comunque critico rispetto alla presa di posizione della

Suprema Corte, anche Spangher, Impugnazione inammissibile e applicabilità dell’art. 129 c.p.p., in Dir. pen. e processo, 1995, 576.

Successivamente, sempre con lo sguardo rivolto verso l’obiettivo di prevenire gli effetti distorsivi connessi a possibili abusi nel ricorso al sistema delle impugnazioni, la giurisprudenza si è impegnata in un’opera di progressivo ridimensionamento dell’area delle cause di inammissibilità sopravvenuta. Così, in una prima occasione la Corte di cassazione ha precisato che le cause di inammissibilità originarie sono quelle che, riguardando i presupposti legislativamente previsti per il valido esercizio del diritto di impugnazione e non involgendo un giudizio di merito, impongo di adottare una decisione meramente dichiarativa della mancata instaurazione di un valido rapporto processuale496.

Pertanto, sulla base di siffatte considerazioni, ha espunto dall’area delle cause sopravvenute di inammissibilità sia la fattispecie della proposizione del ricorso per motivi non consentiti dalla legge, sia quella della denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello497.

Nello stesso frangente ed alla luce di un analogo compendio argomentativo veniva attratta nel gruppo delle cause originarie di inammissibilità anche la fattispecie costituita dalla manifesta infondatezza dei motivi498.

Ponendosi su un versante argomentativo ben definito, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione e, quindi, privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell’art. 581, lett. c) c.p.p. ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 c.p.p.

La fattispecie, infatti, realizzerebbe un’ipotesi di ricorso soltanto apparente, pertanto inidoneo a instaurare il rapporto di impugnazione499.

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