L’art. 568, co. 4 c.p.p. stabilisce un principio di carattere generale che, integrando il diverso profilo concernente la legittimazione ad impugnare, «importa a carico dell’impugnante l’onere di manifestare al giudice dell’impugnazione il vantaggio meritevole di tutela giuridica ricavabile dal gravame affinché possa realizzarsi la messa in movimento del meccanismo di controllo del provvedimento»200.
Statuendo, infatti, che per proporre impugnazione è necessario avervi interesse, la norma pone al centro del sistema delle impugnazioni un requisito di ordine (innanzitutto) logico201 costituito dalla concretezza dei
risultati che, attraverso l’attivazione di uno dei mezzi previsti, il soggetto dotato di legittimazione intende perseguire, escludendo dall’ambito delle impugnazioni ammissibili202 quelle che non appaiono finalizzate a conseguire
un’effettiva utilità pratica.
L’interesse ad impugnare, dunque, «deve essere inteso non come pretesa all’esattezza giuridica sotto il profilo meramente teorico bensì, posti gli stretti legami che esistono tra impugnazione e tutela di diritti fondamentali a garanzia dell’individuo, come la misura dell’utilità pratica derivante dall’impugnazione, come cioè direzione verso un risultato giuridicamente apprezzabile, qual è quello di evitare un pregiudizio ai propri diritti soggettivi o interessi giuridici di qualunque natura»203.
Le conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza in ordine alla relativa nozione, di rilievo centrale nella dinamica del sistema e da accertare in base ad una valutazione oggettiva del tutto sganciata dall’opinione personale dell’impugnante204, sono abbastanza risalenti e sufficientemente consolidate, 199 V., per tutte, Cass. pen., Sez. un., 28 maggio 2009, Tettamanti.
200 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 28.
201 Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, cit., 621.
202 Che l’interesse costituisca una condizione di ammissibilità dell’impugnazione non vi è dubbio alcuno. In
giurisprudenza v., tra le più risalenti, Cass. pen., Sez. I, 13 novembre 1992, Sanneris.
203 Leone, Impugnazioni (diritto processuale penale: principi generali), cit., 9. Ma v., anche, Tonini,
Manuale di procedura penale, cit., 919; De Caro, Il sistema delle impugnazioni penali: legittimazione, forme e termini, cit., 45. Critico rispetto al ricorso ad un concetto di matrice processuale civilistica, con riferimento al codice abrogato, Tranchina, Impugnazione (diritto processuale penale), cit., 713.
204 Leone, Impugnazioni (diritto processuale penale: principi generali), cit., 9. Nonché, negli stessi termini,
essendosi da tempo chiarito che l’interesse richiesto dall’art. 568, co. 4 c.p.p. quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste soltanto se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una nuova situazione pratica, più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente205.
Poco prima, difatti, era stato puntualizzato che la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso, con l’ovvia conseguenza – come già visto, posta bene in evidenza dalla dottrina – che la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione e senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole: essa, in altri termini, deve essere finalizzata a soddisfare una posizione soggettiva giuridicamente rilevante, e non un interesse squisitamente di fatto206.
Come elemento caratterizzante idoneo a proiettare il contenuto dell’impugnazione sulla realtà quale potrebbe essere per effetto dell’eventuale accoglimento di essa, l’interesse – che, è stato puntualmente precisato, deve essere tenuto distinto dall’oggetto dell’impugnazione ovvero dal suo contenuto207 – deve
persistere fino al momento della decisione208.
La previsione del requisito dell’interesse, come è di immediata intuizione, incide (e non poco) sul contenuto dell’atto di impugnazione, costituendo esso – certamente affrancato da qualsiasi giudizio prognostico circa la fondatezza dei motivi proposti209 – ed i caratteri – anche contenutistici ma, soprattutto,
impositivi – del provvedimento impugnato i punti di riferimento della correlata valutazione.
Per siffatte ragioni, oltre che al fine di evitare iniziative poco serie e temerarie, «si impone alla parte non solo di indicare specificamente le proprie ragioni – in fatto ed in diritto – ma anche di correlarle alle singole richieste»210.
205 Cass. pen., Sez. un., 13 dicembre 1995, Timpani.
206 Cass. pen., Sez. un., 27 settembre 1995, Serafino. Negli stessi termini, nell’ambito di una giurisprudenza
come già detto risalente e conforme, v. Cass. pen., Sez. II, 19 marzo 2003, n. 15478.
207 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 30.
208 Cass. pen., Sez. un., 9 ottobre 1996, Vitale. V., negli stessi termini in materia di trattamento penitenziario,
Cass. pen., Sez. un., 24 marzo 1995, Meli. La tesi era sostenuta, nella vigenza del codice abrogato, anche da Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, cit., 623.
209 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 30.
210 Spangher, Impugnazioni penali, cit., 226. V., inoltre, De Caro, Il sistema delle impugnazioni penali:
legittimazione, forme e termini, cit., 53. Secondo Galati, Le impugnazioni in generale, cit., 456, «la verità la formulazione dell’art. 581 lett. c c.p.p. non è delle più felici perché […] potrebbe ingenerare il dubbio che “motivi” e ragioni di diritto e elementi di fatto che sostengono le censure siano cose diverse. Il dubbio, però, sarebbe del
In relazione alla posizione dell’imputato, il cui agire è determinato da interessi personali e meramente egoistici211, non v’è dubbio che le esigenze
di garanzia tipiche del sistema delle impugnazioni – esigenze che inducono l’ordinamento ad attribuire ai predetti interessi, ancorché individuali, una funzione dinamico-processuale212 – si debbano quanto mai confrontare con
le istanze di protezione correlate al valore della funzionalità del processo ed il punto di equilibrio è individuabile, innanzitutto, proprio nell’interesse, il quale assicura che «l’impugnazione tenda a rimuovere una sentenza ingiusta (ovvero lesiva di diritti soggettivi tutelati) e non […] a tutelare ragioni puramente individualistiche o non assicurate dall’ordinamento»213.
Naturalmente, siffatta considerazione non può determinare restringimenti suscettibili di influire negativamente sulla sfera degli interessi meritevoli di tutela comunque coinvolti nel processo penale ed incisi dal provvedimento conclusivo di esso.
Ed allora, è senz’altro condivisibile la statuizione di matrice giurisprudenziale secondo la quale, premesso che l’interesse ad impugnare assume un contenuto di concretezza tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato – da intendere nella sua lata eccezione, comprensiva anche della motivazione – possa derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame, il requisito di ammissibilità ricorre non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi (quali, ad esempio, l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio), ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli, come quelle che l’ordinamento rispettivamente fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno, dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi.
Stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, infatti, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole214.
tutto ingiustificato, in quanto – e si tratta di un dato davvero pacifico – i “motivi” sono proprio “le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda il petitum dell’impugnante”».
211 Cosi, testualmente, Tranchina, Impugnazione (diritto processuale penale), cit., 715. 212 Tranchina, Impugnazione (diritto processuale penale), cit., 715.
213 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 33. Ma v., ancora una volta, Tranchina, Impugnazione (diritto
processuale penale), cit., 716.
214 Cass. pen., Sez. VI, 14 febbraio 1997, n. 624. Ma v., anche, Cass. pen., Sez. V, 9 gennaio 1990, Rabito,
Con riferimento specifico alle sentenze di assoluzione, mentre non può porsi in discussione la ricorrenza di un interesse dell’imputato ad impugnare al fine di ottenere una diversa formula di proscioglimento, dalla quale scaturiscono diversi effetti con riferimento all’efficacia della sentenza nei giudizi amministrativo, civile o disciplinare215, la Corte di cassazione ha in
più occasioni ribadito che non vi è l’interesse dell’imputato assolto perché il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530, co. 2 c.p.p. a proporre impugnazione, atteso che tale formulazione – relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova – non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, né segnala residue perplessità sull’innocenza dell’imputato, di talché non può in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal codice di rito abrogato. Ed allora, se si dovesse ritenere ammissibile un ricorso che, senza incidere sul dispositivo di una sentenza, si limitasse a contestare la motivazione, si finirebbe paradossalmente con il riprodurre la differenza tra prova carente e prova insufficiente, differenza che il nuovo codice ha voluto espressamente sopprimere, nella maturata consapevolezza che sia la totale mancanza della prova che la sua incompletezza o contraddittorietà sono incapaci di conferire certezza al convincimento di colpevolezza e, quindi, inidonee a superare quella presunzione di innocenza che rappresenta un’irrinunciabile conquista del nostro ordinamento216.
L’assunto, d’altra parte, si pone in linea con l’arresto giurisprudenziale secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 530, co. 2 c.p.p. non costituisce affatto un’autonoma formula di proscioglimento, come accadeva in passato, bensì una semplice ed importante regola di giudizio alla luce della quale il giudice deve superare il dubbio probatorio ed assolvere l’imputato con una delle formule previste all’art. 530, co. 1 c.p.p. che risulta essere l’unica norma ad elencare tassativamente le formule assolutorie conclusive del processo217.
Tra l’altro, la Corte ha posto in evidenza che un siffatto interesse non è ravvisabile nemmeno in riferimento all’efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo, posto che l’art. 652 c.p.p. non effettua alcuna distinzione nell’ambito dell’art. 530 c.p.p.218, in linea con
condizione di ammissibilità anche nel nuovo codice processuale, assume un contenuto di incontestabile concretezza e rilevanza tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare la eliminazione di un qualsiasi effetto pregiudiziale per la parte che invoca il riesame della decisione, e quindi anche evitare il consolidarsi di un pregiudizio di carattere esclusivamente morale.
215 Cass. pen., Sez. IV, 5 novembre 2002, n. 45976. V., altresì, Cass. pen., Sez. VI, 9 gennaio 2001, n. 2227;
Cass. pen., Sez. IV, 30 ottobre 1998, n. 57.
216 Cass. pen., Sez. un., 23 febbraio 1993, Fachini.
217 Cass. pen., Sez. un., 3 febbraio 1990, Saviano. V., inoltre, Cass. pen., Sez. II, 4 dicembre 1992, De Vita. 218 V., innanzitutto, Cass. pen., Sez. un., 23 febbraio 1993, Fachini. Successivamente v., poi, Cass. pen., Sez.
V, 24 novembre 2005, n. 842. Nonché, poco dopo e negli stessi termini, Cass. pen., Sez. II, 4 luglio 2007, n. 32879; Cass. pen., Sez. I, 19 novembre 1999, n. 384.
la portata della modifica introdotta con il passaggio dal vecchio al nuovo codice, compiuta dal legislatore con la precisa finalità di abolire la capitis deminutio derivante dalla formula dubitativa ed insieme ad essa gli effetti pregiudizievoli che a livello sociale colpivano l’imputato219.
Il discorso relativo all’interesse ad impugnare si configura in maniera diversa rispetto al pubblico ministero, essendo la tematica direttamente correlata alla sua funzione istituzionale220.
L’interesse all’impugnazione, in altri termini, mentre per il pubblico ministero è istituzionalmente correlato alla connotazione pubblicistica delle sue funzioni, soltanto per l’imputato va accertato in concreto, caso per caso221.
Esso, dunque, si configura in maniera del tutto peculiare e non può essere assimilato a quello delle altre parti, né può essere inquadrato negli stessi schemi, sussistendo tutte le volte in cui si miri a non far ricadere sull’imputato effetti dannosi, ascrivibili ad errori del giudice, di talché il pubblico ministero può proporre impugnazione, al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, anche se a favore dell’imputato222.
Il pubblico ministero, infatti, avuto riguardo alla natura di parte pubblica che lo caratterizza ed alla fondamentale funzione di vigilanza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia che gli è assegnata dall’art. 73 della l. di ordinamento giudiziario, deve ritenersi titolare di un interesse ad impugnare tutte le volte in cui ravvisi la violazione o l’erronea applicazione di una norma giuridica, sempre che tale interesse presenti i caratteri della concretezza e dell’attualità, e cioè che con il proposto gravame si intenda perseguire un risultato non soltanto teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole223.
La diretta correlazione pocanzi individuata tra l’interesse ad impugnare e le funzioni istituzionali del pubblico ministero opera, tuttavia, anche in senso delimitativo, dal momento che se è vero che egli, in quanto parte pubblica, ha
219 Grilli, Sull’interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione pronunciata ex art. 530 comma 2 c.p.p.:
una scelta conforme ai princìpi accusatori, in Cass. pen., 1994, 952.
220 Lo evidenziava, in particolare, Leone, Impugnazioni (diritto processuale penale: principi generali),
cit., 10, riconoscendo che siffatto interesse «si identifica con l’interesse all’osservanza della legge e in particolare di quei valori di libertà che questa tutela sulla base dei principi costituzionali». Ma v., anche, Tranchina, Impugnazione (diritto processuale penale), cit., 714, il quale, in riferimento al pubblico ministero, ritiene «indubitabile la sua essenza di organo costituito pro iustitiae et legis tutela». Per Cordero, Procedura penale, Ed. VII, cit., 1108, il pubblico ministero agisce au nom de la loi a mosse formalmente disinteressate.
221 Cass. pen., Sez. un., 19 gennaio 2000, Neri.
222 Cass. pen., Sez. un., 11 maggio 1993, Amato. In dottrina v., come già detto, Leone, Impugnazioni (diritto
processuale penale: principi generali), cit., 10. V., inoltre, Tranchina, Impugnazione (diritto processuale penale), cit., 715.
223 Cass. pen., Sez. un., 24 marzo 1995, Boido e altri. Evidenziava, in dottrina, Leone, Impugnazioni (diritto
processuale penale: principi generali), cit., 10, come anche l’interesse del pubblico ministero dovesse essere attuale, reale e specifico.
interesse ad impugnare anche per contrastare l’ingiustizia di provvedimenti, sia a tutela della funzione punitiva dello Stato, sia a garanzia della posizione dell’imputato e della parte offesa – e, quindi, pur nell’ambito del processo accusatorio, il pubblico ministero può sostituirsi, nell’impugnazione dei provvedimenti, alle parti private per contrastare provvedimenti emessi in violazione del principio di legalità o per far valere questioni di interesse pubblico, rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del procedimento – non può, viceversa, sostituirsi all’imputato o alla persona offesa per censurare l’illegittimità della mancata concessione di benefici e per sindacare statuizioni ritenute pregiudizievoli di interessi civili224.
Il pubblico ministero, infatti, è estraneo al rapporto civilistico incidentalmente instauratosi nel procedimento penale – tra l’altro regolato da norme in cui l’elemento indisponibile ha scarso rilievo225 – e pertanto è indifferente alle
questioni ed ai profili propri dell’azione risarcitoria civile, ancorché spiegata nel procedimento penale, con la conseguenza che non è legittimato ad impugnare un provvedimento all’esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, né a surrogarsi all’eventuale inerzia di quest’ultima che rimanga acquiescente alla decisione a sé pregiudizievole, così consentendo il formarsi del giudicato sul punto226.
Rispetto alla posizione della parte civile, il cui interesse deve essere ovviamente esaminato alla stregua della sua posizione processuale correlata a pretese di carattere civilistico, merita di essere evidenziato l’orientamento giurisprudenziale, ribadito di recente, che ritiene sussistente l’interesse ad impugnare la decisione di assoluzione con la formula “perché il fatto non costituisce reato” anche a prescindere dall’assenza di un effetto preclusivo nell’ambito di un giudizio civile, in ragione del fatto che chi intraprende un giudizio civile dopo avere ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito dell’imputato si giova di tale accertamento e si trova, quindi, in una posizione migliore di chi deve cominciare dall’inizio il giudizio227.